Gianni Brera, la rockstar

Non è mia intenzione fare un racconto, una descrizione agiografica di Gianni Brera ma usare una parte della sua storia per parlare di me, di noi e tornare a lui. Sono stato educato a leggere Brera come ad un esempio di ricchezza linguistica, di creatività vicina al genio perché in grado di avvicinare il lettore alla cultura senza che questa fosse ritenuta ostile o lontana. In fondo, pensava ingenuamente qualcuno, parlava solo di calcio. Invece scriveva con un linguaggio mescolato al dialetto della Bassa, idiomi stranieri, arcaismi, e neologismi ed era un artista della lingua, che padroneggiava senza paragoni. Brera innescava polemiche che arredava sagacemente con elementi presi in prestito da altri versanti. È stato il precursore del “catenaccio” ma, anche e soprattutto, il padre di tanti termini utilizzati comunemente nella lingua italiana come “intramontabile” e, nel gergo calcistico: “contropiede”, “uccellare”, “melina”, “incornare” o “pretattica” e tanti altri.
Si divertiva a usare l’italiano levigandolo, scolpendolo, sperimentandolo e infine regalando alla lingua arricchimenti destinati a tutti.

Il punto di questo articolo è proprio che, con la sua scomparsa, il 19 dicembre del 1992, è defunta anche una forma di vita che aveva dato nobiltà e spessore al giornalismo di ogni categoria, compresa e soprattutto quella sportiva. Dal 1992 il giornalismo ha subito un rapido involgarimento e con esso la lingua italiana, frastornata negli anni da un numero di trasformazioni più volte ad impoverirla che a renderla intrigante. Oggi però l’italiano è in pericolo, assediato da inglesismi, abbreviazioni, emoticon, oltre ad un ridottissimo numero di lettori di quotidiani e dunque di libri. Perciò se oggi Gianni Brera fosse tra noi sarebbe sbertucciato su Twitter e tirato per la giacchetta da tutti per ogni virgola o provocazione, da un pubblico illetterato, aridamente polemico e senza ironia.

Brera infatti aveva delle qualità che aderivano anche grazie a lettori, in grado di cogliere il suo straordinario talento ( a 18 anni venne assunto dal Guerin Sportivo e ritenuto già una delle migliori penne della rivista) ma anche quel senso per la polemica raffinata e mai strillata, mai fuori posto.

L’aria amabilmente snob di Brera oggi riuscirebbe ad essere apprezzata, perché la sua intelligenza lo rendeva eclettico e dunque anche televisivo o radiofonico, nonostante i suoi tempi comici. Ricordo distintamente di averlo scoperto a 14 anni, più in televisione che per i suoi articoli o i suoi libri. Apriva bocca e lo studio che lo ospitava restava stregato dal momento stesso in cui apriva bocca per formulare una risposta, anche monosillabica. In un intervista fatta su un terrazzo lo ricordo mentre, a seguito di una domanda, lui abbozzava una replica prendendosi il tempo per accendere e gustare la sua pipa. Avveniva anche in studi televisivi, in epoche in cui fumare era possibile persino al cinema. Quegli istanti rendevano teatrale l’indugio per un’affermazione che diventava ancora più folgorante e carismatica. Io iniziai a leggere avidamente il Guerin Sportivo perché aveva tutto quello che ad un ragazzino poteva interessare dello sport e del calcio, a partire dalle immagini delle partite e le rubriche che rendevano la rivista un appuntamento da attendere con impazienza. Tra queste l’Arcimatto era una palestra letteraria, un incontro tra Brera e i lettori in cui calcio, letteratura, arte, storia, filosofia, cucina, storie personali, amori, vita e morte erano mescolate fino a creare un luogo in cui la conversazione era cultura e divertimento. Una rubrica diventata poi anche un libro e una memoria indelebile di un giornalismo finalmente comunicativo e spesso. Anche lui aveva idee opinabili ma dotate di forma e coraggio. Quello che lo spinse a confrontare le sue idee in un terreno tanto scivoloso come quello politico. Candidato per il partito socialista, una sera, accompagnato in un collegio senatoriale di Rozzano da Guido Gerosa, che frequentava anche casa mia, mise in mostra uno straordinario talento persino nella gestione del rapporto con il pubblico e nella soluzione al dissenso, grazie ad una mescolanza di furbizia, ironia e sfrontatezza. Le sue proposte erano forti, prive di ipocrisia e per questo non facilmente digeribili, per questo era necessario che le esponesse con l’aria sorniona di chi esprime un concetto forte, lasciando intuire che sarebbe poi stato disponibile a rimodularle.

Gianni Brera non era un uomo con cui era necessario andare d’accordo; le sue polemiche lo spingevano a esprimere concetti ruvidi con apparente noncuranza e questo gli creava nemici. Il suo stile e le sue idee erano a volte fraintese per l’assenza di convenzionalità, di ossequio, in nome di un asprezza molto più vicina alla verità delle cose e dell’animo umano.

Capace com’era di suscitare indignazione per le sue opinioni sferzanti (“abatino” a Gianni Rivera, indicando l’animo lezioso che disturbava Brera) e indisponibili al compromesso, in un mondo sportivo tanto legato all’agiografia, al ricorso smodato alla retorica e ai giudizi convenzionali.
Un uomo che ha tenuto testa a tutti e duellato, per quanto visceralemente, con giornalisti come Gino Palumbo, e capace di replicare abilmente a intellettuali come Umberto Eco, armato di un complesso di superiorità e uno snobismo che lo induceva a ritenere il giornalista sportivo, tra cui Brera, come il portatore di una cultura molto bassa. Una delle risposte di Brera fu quella di ritenere Eco come un botanico di fama mondiale. Mi manca Gianni Brera, mi manca un Gianni Brera. Oggi solo una piccola élite ha accesso all’opinione colta e non ordinaria e lo sport è in mano a polemiche sterili, chiuse dal tifo dei barbari da social, violenza verbale di un popolino armato di tastiera,sfottò e insulto libero. Oggi Brera, come all’epoca, scriverebbe divinamente ma ho la terribile sensazione che sarebbe imbavagliato e imprigionato da un giornalismo indebolito e fragile, da una massa di tifosi, a cui interessa solo che la reputazione della loro squadra non venga intaccata.
Fortunatamente Gianni Brera è stato tale anche grazie all’epoca che lo ha ospitato.

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