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Bert Trautmann, dalla gioventù hitleriana ad eroe di Manchester

Mi alzo. Sono tranquillissimo. Vengano i mesi e gli anni, non mi prenderanno più nulla, non possono prendermi più nulla. Sono tanto solo, tanto privo di attese che posso guardare dinanzi a me senza timore

Si conclude così il romanzo di Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, con Bäumer che a pochi giorni dalla conclusione della guerra muore… felice. Il protagonista viene trovato morto con il volto sereno, quasi sollevato che tutto fosse finito in quel modo. Probabilmente è la stessa sensazione che provò Bert Trautmann, all’anagrafe Bernhard Carl Trautmann, quando nel marzo del 1945 venne catturato dagli americani; vide la morte in faccia. Era un soldato nazista, membro della Luftwaffe e coinvolto direttamente e indirettamente in molte delle tragedie che segnarono l’Europa dal 1941 al 1945, tra cui quella del massacro di Babij Jar, dove morirono circa 33.000 ebrei. All’epoca della tragedia aveva 18 anni.

Eccidio Babi Jar
L’eccidio di Babi Jar

Se fossi stato un po’ più grande, probabilmente mi sarei suicidato

Gli americani però, non lo giustiziarono; lo rinchiusero nel campo di prigionia di Ashton-in-Makerfield, nel Lancashire. E da lì, da un piccolo villaggio vicino Manchester che nasce il mito di Bert Trautmann. Nel centro in cui era rinchiuso iniziò a disintossicarsi dalle ideologie naziste, gli furono fatte vedere immagini e video dei campi di concentramento. Pian piano il suo credo ariano svanì e il rapporto con la comunità locale divenne sempre più fraterno.

A 17 anni ero già un soldato ed ho dovuto assistere all’orrore e alla bestialità della guerra. Ma la mia formazione come persona è iniziata a 22 anni, quando, come prigioniero, sono arrivato in Inghilterra. La gente fu gentile, non vedevano un soldato nemico in me ma soltanto un altro essere umano. Dopo la fine delle ostilità decisi di andare a visitare la mia famiglia che non vedevo da sei anni. Alcuni degli abitanti della zona mi diedero un cesto con tutta roba che allora era razionata, come burro, zucchero, pancetta, e una busta con 50 sterline. Mi fecero commuovere.

bert trautmann2

La vita nel campo era rallegrata da piccole partitelle a calcio nelle quali Bert, come lo avevano chiamato per facilità gli inglesi, si distinse prima come mezzala, poi come difensore ed infine, causa un infortunio, come portiere. E dalla porta non si mosse più. Adottato oramai dalla comunità di Ashton, quando gli fu proposto la possibilità di ritornare in patria decise di rimanere perché oramai quella era diventata casa sua. Iniziò a giocare nella squadra amatoriale del St Helens Town FC dove il pubblico accorreva sempre più numeroso per vedere lo straniero dal talento sopraffino. Durante un’amichevole contro il Manchester City molti osservatori rimasero stupiti dalle abilità di quel ragazzotto tedesco e così dopo pochi giorni il City gli offrì un contratto da professionista. L’intento dei dirigenti mancuniani era quello di rendere Trautmann l’erede di Frank Swift, una leggenda con cui il Man. City vinse lo scudetto del 1937. Purtroppo, come quasi sempre accade, il palcoscenico così prestigioso riportò alla luce il passato da giovane hitleriano. Agli occhi dei nuovi tifosi Trautmann era un tedesco che fino a qualche anno prima aveva combattuto e magari ucciso i loro padri, fratelli e amici. Più di 25mila persone si riunirono davanti allo stadio di Maine Road per protestare contro l’ingaggio del nazista e, considerando che ancora oggi i tifosi tedeschi vengono accolti nella Terra d’Albione con frasi come “Una Coppa del Mondo e due Guerre Mondiali”, si può ben immaginare come nel 1949 il clima dovesse essere ai limiti del parossismo. Dovette intervenire perfino Alexander Altman, il rabbino della città, massimo esponente della comunità ebraica, per rabbonire gli animi e difendere il giovane Bert. 

Sono convinto che la rabbia dei tifosi non fosse rivolta a me, ma piuttosto alla Germania. Un tedesco che appariva in Inghilterra a pochi anni dalla fine del conflitto per giocare a calcio lasciò interdette molte persone. Riaprì ferite. Con l’aiuto dei miei nuovi compagni ho superato tutte le difficoltà. Ed è così che l’Inghilterra è diventata casa mia. Proprio come lo era stata la Germania

Fortunamente Trautmann era un portento tra i pali e l’animo umano si lascia corrompere facilmente davanti a qualcosa di bello e vincente. Già nella sua partita d’esordio contro il Fulham nel 1950 i tifosi di entrambe le squadre che ad inizio partita lo fischiarono, alla fine lo applaudirono. Partita dopo partita l’affetto nei suoi confronti aumentò di pari passo alla sua fama tanto che anche dalla sua vecchia Patria gli arrivarono offerte. Quella più allettante fu dello Schalke 04, ma Bert rifiutò, dicendo addio così anche alla possibilità di giocare in Nazionale. Orma la sua patria era a tutti gli effetti l’Inghilterra. Ecco, potremmo finire il nostro racconto così, con un giovane tedesco che entrò nei cuori degli inglesi grazie alla sua umiltà e alla sua bravura. Ma questa storia non finisce qui.

5 maggio 1956, Finale di FA Cup tra il Manchester City e il Biirmingham. Il City conduceva per 3-1 ma ad un quarto d’ora dalla fine Peter Murphy nel tentativo di recuperare la palla diede una ginocchiata in faccia a Trautmann. Il tedesco perse i sensi per qualche minuto. Si riprese, ma i dolori erano lancinanti. Lo staff medico tentò come poteva di medicarlo. Il regolamento di allora non prevedeva sostituzioni così se Trautmann fosse uscito il City sarebbe rimasto in inferiorità numerica. Mancavano 17 minuti. Bert strinse i denti, i dolori erano strazianti. Non poteva muovere il collo, cadde a terra per tre volte e nonostante tutto lasciò la porta inviolata. Quando stanco, con le fitte che gli annebiavano la vista andò a ritirare la sua medaglia, il principe Filippo gli chiese: “perché hai la testa storta?”. Il giorno dopo il dolore era ancora atroce, andò in ospedale, ma gli dissero che era solo una botta. Tre giorni dopo senza nessun miglioramento andò da un altro medico che gli fece una lastra. Vedendo i risultati l’unica cosa che il medico disse fu: “Dovresti essere morto o, almeno, paralizzato”. La radiografia evidenziò la rottura di una vertebra cervicale. Quando si sparse la notizia che Bert Trautmann aveva giocato la finale con il collo rotto tutti iniziarono a chiamarlo eroe.

The Keeper, il film dedicato a Bert Trautmann

Tutti mi cominciarono a chiamare eroe ma la verità è che se io all’epoca avessi saputo di avere un osso del collo rotto mi sarei precipitato fuori dal campo e in ospedale

Ed è così che ancora oggi tutti lo ricordano. Una leggenda che rischiò la sua salute, la sua stessa vita per la squadra. Alla sua partita di addio si presentarono in 60mila per rendergli omaggio. Gordon Banks dirà di lui:

Per me la cosa più importante è che era un incredibile uomo di sport e giocava ogni partita come se ci dovesse qualcosa, se dovesse qualcosa a tutti perché era stato un prigioniero di guerra tedesco ed era stato comunque accettato. Per me era più vero il contrario, noi avremmo dovuto essere grati a lui per essere rimasto e averci mostrato che gran portiere era. Io di sicuro ho imparato molto da lui.

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