Jack-Kerouac

Jack Kerouac, correre senza fermarsi

Jack Kerouac fece il suo primo down nell’autunno del 1935. Aveva tredici anni. Non aveva un fisico adatto per un giocatore di football, ma aveva tanta grinta e gambe potenti che ne facevano un velocissimo halfback. Prima ancora di mollare tutto per andare verso sud e iniziare la sua carriera da sbandato americano, il padre della Beat Generation era animato da una sola ed ossessiva passione: il football.

Era un talento Kerouac, infervorato da una determinazione feroce. Ogni giorno al caldo, al freddo, sotto la pioggia, neve o il sole cocente si allenava con i ragazzi franco-canadesi, greci e polacchi che animavano il suo quartiere. In campi improvvisati preparava le partite del sabato come delle vere battaglie, come se si trattasse di una questione di vita o di morte. In un breve racconto che scrisse durante gli anni a New York, Kerouac paragona il football alla guerra di Troia e si immagina come un novello Achille nell’omerico dubbio tra una vita breve, ma gloriosa ed una sana e ordinaria. E in un certo senso, proprio come il figlio di Peleo, scelse la prima strada.

Ci si ammazza per arrivare alla tomba. In particolare, ci si ammazza per arrivare alla tomba persino prima di essere morti e il nome di quella tomba è “successo”, il nome di quella tomba è casino, frastuono e cazzate.

In Vanity of Duluoz, uno dei suoi primi romanzi a carattere autobiografico, emerge un tema che segnerà tutta la vita dello scrittore. Mentre sta correndo verso la meta sente una spinta alla nuca, uno dei suoi avversari lo prende per le spalline e lo butta giù nel terreno fangoso; lui perde conoscenza. Dopo pochi minuti si sveglia e mentre rientra in campo si chiede: “Cosa stiamo facendo in questo campo piovoso che si inclina sulla terra, la terra è storta, dove sono? Chi sono? Cos’è tutto questo?“. Non sarà l’unica volta in cui subirà traumi cranici. Durante un viaggio in Vermont, Kerouac e un amico vengono coinvolti in un incidente automobilistico e lui viene ricoverato in ospedale. Anni dopo, nel suo diario, Kerouac si chiederà se sua madre avesse avuto ragione a chiedere se l’incidente avesse avuto un effetto permanente sulla sua testa. E non solo.

Una notte di inizio aprile del 1958, Kerouac, tutto insanguinato, raggiunge l’appartamento di Joyce Glassman, un’amica conosciuta l’anno prima in un appuntamento al buio organizzato da Allen Ginsberg. Lui ed un suo amico sono stati vittima di una rissa all’uscita di un bar in MacDougal Street. Uno degli aggressori ha preso Kerouac e lo ha scaraventato contro il marciapiede, facendogli sbattere la testa contro il cordolo. Secondo i medici del pronto soccorso in cui Glassman lo accompagna non c’è nessuna commozione cerebrale, ma qualche mese dopo in una lettera a Ginsberg, Corso e Orlovsky sospetterà di essere stato diagnosticato erroneamente. 

Forse ho avuto un danno cerebrale, forse una volta ero stato sbronzo gentile, ma ora sono ubriaco intasato dal cervello con la valvola della gentilezza intasata da una ferita.

Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che Jack Kerouac soffrisse di encefalopatia traumatica cronica, la malattia neurodegenerativa progressiva che è stata finora riscontrata in oltre cinquanta ex giocatori di football. Questa potrebbe essere la causa dei suoi attacchi violenti e del suo alcolismo: bere per alleviare il dolore. Ma il football rimase ancora per qualche anno la sua passione. Il giorno del Ringraziamento del 1938 è uno dei più felici della sua vita. Davanti a 18mila spettatori e alla presenza degli scout universitari in cerca di talenti, il suo Lowell affronta i rivali di Lawrence nella la sfida più importante della stagione. Jack entra dalla panchina, realizzando il touchdown della vittoria.

Questa partita rimane nella mia memoria come la più bella che io abbia mai disputato, anche la più significativa, perché sono stato usato come un cavallo da tiro senza gloria, giocando in una maniera che solo un osservatore professionista avrebbe potuto applaudire, una partita solitaria e segreta affrontata con il sangue e il fango sulle labbra.

Quel touchdown è il suo biglietto di sola andata verso la Columbia University. A New York però, dopo un primo momento di euforia, l’entusiasmo svanisce. Gli screzi con alcuni compagni di squadra e gli scontri con l’allenatore che non ama il suo stile di gioco e lo ritiene un debole, lo fanno disinnamorare del football, avvicinandolo alla scrittura. E in questo periodo infatti, che conosce Ginsberg, Neal Cassady, Herbert Huncke e William S. Burroughs. Inizia a scrivere i primi articoli per il giornale della scuola e a commentare le interviste effettuate nel backstage di musicisti celebri. Poi, dopo la rottura della tibia l’abbandono al football è netto e senza ritorno. Qualche anno dopo ricorderà i giocatori di football come uomini terrorizzati.

Potrebbero sembrare inarrestabili, ma questa è un’illusione. I giocatori di football sono umani: corrono così ferocemente perché sono terrorizzati.

Un giorno, svanita la passione per il football, abbandona New York; lascia per sempre la vita da giocatore per essere uno scrittore. Succhiare il midollo della vita per capirne l’essenza.

Presi la metropolitana per la stazione degli autobus e acquistai un biglietto per il Sud. Volevo vedere il Sud e iniziare la mia carriera di sbandato americano. Era stata la decisione più importante della vita. Ciò che stavo facendo era dire a tutti di andare a buttarsi nel grande e grosso oceano delle proprie follie

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