fernando pessoa calcio

Pessoa: l’inquietudine, l’attesa, l’attimo.

Chiunque si sia avventurato per le strade di Lisbona in un qualunque pomeriggio estivo,  riconoscerà chiaramente la sensazione che oggi vorrei raccontarvi. Una luce forte soffocante, un profumo di macerie e mare, un silenzio interrotto da qualche riproduttore audio poggiato sopra un frigorifero, ma soprattutto una quiete immobile che appare irreale. Un nulla/tutto cosmico che risucchia e divora con passione ogni spinta vitale. L’immobilità che respirerete in quei pomeriggi a Lisbona è la stessa tregua esistenziale che vi capiterà di incontrare leggendo il sommo poeta della città affacciata sull’Oceano Atlantico: Fernando Pessoa.

Statua-di-Pessoa-foto-di-Shadowgate
Statua di Pessoa in Rua Garrett

Un poeta, un filosofo, un mistico in una città, non a caso, tutt’altro che casuale perché Lisbona è il proseguimento naturale di quella grande anima che Pessoa nascondeva dietro il vestito buono e il cappello sulla testa. Un città abbandonata dalle mappe mondiali dopo essere stata il centro di un grande impero e ora diventata troppo bella per essere ignorata e troppo piccola per tornare ad essere baricentro di alcun impero. In questo luogo malinconico e poetico ha vissuto tra 1888 e il 1935 Fernando Pessoa.E non può esserci espressione più chiara che vissuto a Lisbona per il maggiore poeta portoghese di tutti i tempi, per capirlo basta leggere il suo capolavoro Diario dell’inquietudine. Frammenti, come lui stesso dichiarerà nelle lettere in cui racconterà l’opera, niente altro che frammenti e appunti di vita, di momenti piccoli e forse trascurabili, diremmo oggi con Francesco Piccolo, ma portanti nell’architettura di un’esistenza vissuta come collezione di attimi e sensazioni, esterni o interni. Un’anima che diventa tante anime e tanti colori non solo per gli eteronimi, di cui parleremo fra breve, ma anche per la contaminazione fra lo spazio poetico e quello fisico. Non è un caso che nella bella edizione di Feltrinelli, almeno quella che ho amato io vent’anni fa accostandomi per la prima volta a Pessoa, compaia una cartina della città di Lisbona in cui viene tracciato il percorso compiuto quotidianamente dal poeta durante le sue giornate. Una vita semplice fatta di luoghi conosciuti e per questo da approfondire con costanza, fino a parlare con ogni muro, a chiacchierare con ogni pianta. Lisbona a Pessoa non ha nascosto i suoi segreti e anzi da vera amante, si è messa a nudo, col suo passato e col suo presente, con la sua apertura verso l’infinito a ovest e le stradine puzzolenti di baccalà verso l’Alfama.

Ma Pessoa è anche l’inquietudine del quotidiano, dell’aspettativa, della realtà che si piega alla riflessione. Esemplare per spiegare questo aspetto del poeta la sua abitudine, ma potremmo definirla anche una vera e propria mania, per gli eteronimi, ovvero la propria persona sostituita non da degli pseudonimi (nomi diversi ma corrispondenti ad una stessa persona) ma da vere e proprie personalità inventate con tanto di biografia che avrebbero di volta in volta composto le migliori opere del poeta portoghese. Un’abitudine che Pessoa associava ad un certo disagio, uno sdoppiamento della personalità che per fortuna si risolveva nella letteratura senza conseguenze nella vita reale ma che nascondeva una sensazione di angusto. Per sopportare quella sensazione Pessoa l’anima del poeta si nebulizzata in tante piccole vite immaginate. Difficile oggi non cogliere l’eredità di Pessoa nelle facce dei portoghesi importanti e in quelli comuni. Fatta esclusione per Ronaldo, discendente diretto dei conquistatores, la faccia perennemente seccata di José Mourinho è l’emblema di una nazione che possiede nel minor numero di sorrisi pro capite il proprio primato europeo. Mourinho come Pessoa che gode della solitudine e che anzi la trasforma in forza creatrice. Una nazione il Portogallo che può vincere in modo rocambolesco e bellissimo l’Europeo (grazie ad un goal di Edér appena prima dei calci di rigore) ma rimanere con un po’ di tristezza in fondo al cuore, un po’ per caso, un po’ come se fosse solo una delle tante cose successe.

Non è un caso che avendo affrontato temi come l’aspettativa, lo straordinario momento che potrebbe cambiare un esistenza, l’attesa, la ciclicità, Pessoa sia diventato uno scrittore tanto amato dagli sportivi che lo citano e lo leggono con una sconvolgente frequenza soprattutto rispetto ai loro canoni di lettura. Pessoa sarebbe divertito dall’essere coinvolto in una diatriba calcistica e non facciamo fatica ad immaginarcelo al caffè di Rua Garrett, con una birra e block notes di fianco, ad aspettare che arrivi una partita del Fenomeno fino a consumare anche quell’emozione in un attimo per poi tornare al nulla, perso fra le identità inventate.

Non sono niente. Non sarò mai niente.

Quindi, anche se probabilmente lui farebbe le pulci sulla corretta data del suo compleanno dedito com’era alla precisione cronologica e astrologica, non possiamo che augurare a Pessoa, Buon compleanno Maestro, ascoltiamo ancora le tue parole.

About

Zeta è il nostro modo di stare al mondo. Un magazine di sport e cultura; storie e approfondimenti per scoprire cosa si cela dietro le quinte del nostro tempo,

Altre storie
dorando pietri
Dorando Pietri, il “doping” alcolico e l’onore della sconfitta