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Quando Javier Zanetti divenne amico dei ribelli messicani dell’EZLN

Il 1° gennaio 1994 un esercito di circa 3.000 soldati, l’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale), prese contemporaneamente il controllo di  7 comuni dello stato del Chiapas: San Cristóbal de Las Casas, Altamirano, Las Margaritas, Ocosingo, Oxchuc, Huixtán e Chanal. Il Chiapas era ed è uno uno degli Stati più poveri in Messico; povertà e disuguaglianza erano diffuse ai massimi livelli e la popolazione di origine Maya era la più martoriata. Molti ritenevano che il governo centrale stesse gestendo male la regione, rovinando gran parte delle sue ricchezze naturali, peggiorando le condizioni di vita della popolazione locale e permettendo il sorgere di latenti tensioni sociali tra gli agricoltori di sussistenza della regione e la popolazione indigena. Questi ultimi sentivano di essere stati emarginati ed il loro modo tradizionale di coltivazione, basato sull’ejido, ovvero sulla gestione collettiva dei terreni agricoli, era sempre più a rischio a causa delle politiche governative e della lenta invasione della globalizzazione. Quando le fattorie di ejido si aprirono alla privatizzazione secondo i termini della partecipazione del Messico all’Accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA), minacciando i diritti sulla terra delle popolazioni indigene, gli zapatisti decisero che la ribellione armata era la loro unica risorsa.

L’EZLN si formò nel 1983 con l’intenzione di combattere per i diritti degli indigeni: una maggiore autonomia, il controllo delle risorse locali e la riforma agraria. Uno dei loro motti era: “Para todos todo, para nosotros nada” (“Per tutti, tutto, e per noi, niente”). E anche se fin da subito i suoi membri erano stati definiti come anarchici, socialisti, anarchici socialisti, anarco-sindacalisti, marxisti libertari, comunisti e con ogni altra etichetta di estrema sinistra, le loro motivazioni di rivolta erano molto lontane e più complesse di una semplice ideologia convenzionale. Prendendo il nome da Emiliano Zapata, uno dei leader della rivoluzione messicana e martire della causa dell’emancipazione agraria, il gruppo attirò il sostegno delle comunità indigene e rurali Maya del Chiapas, nonché l’appoggio di esponenti della sinistra e di ex ribelli dei centri urbani messicani.

La rivolta zapatista iniziò a Capodanno, giorno in cui entrò in vigore il NAFTA. Se all’inizio l’insurrezione ebbe successo con la conquista dei principali paesi del Chiapas, subito dopo con il contrattacco dell’esercito governativo, gli Zapatisti iniziarono a registrare perdite significative. Erano un gruppo di rivoluzionari improvvisati, armati alla buona e in inferiorità numerica. 12 giorni dopo l’inizio della rivolta fu negoziato il cessate il fuoco e la rivoluzione zapatista si concluse con la stessa rapidità con cui era iniziata.

Durante i successivi negoziati con il governo, l’EZLN iniziò una campagna mediatica mondiale, richiamando l’attenzione sulla difficile condizione delle comunità indigene del Chiapas e sul loro sfruttamento agrario e sociale. Guidati dal loro enigmatico leader, il subcomandante Marcos, uomo iconico sempre immortalato con passamontagna e pipa, gli Zapatisti con il passare degli anni diventarono un simbolo positivo in gran parte dell’America Latina, e in generale, in tutto il globo. Negli anni l’EZLN cambiò strategia, allontanandosi dalla lotta armata e sposando strade pacifiche come l’alleanza con forze politiche in sintonia con i suoi obiettivi e attuando un uso sapiente della comunicazione. In questo contesto entrò in gioco Javier Zanetti.

Probabilmente nel 1994, l’icona argentina non seguiva con attenzione le vicende messicane, ma con il passare del tempo la sua sensibilità sulle vicende legate ai poveri e gli emarginati emerse in maniera evidente. Nella stranezza di questo mondo in cui i più ricchi sono spesso indifferenti alle sorti di chi non sa se potrà mangiare il giorno dopo, il gesto di Zanetti resta ancora oggi un segno di speranza. Il vice presidente interista non ha mai chiuso gli occhi verso la miseria, soprattutto, della sua terra. Ha lavorato a varie iniziative di beneficenza nel corso della sua carriera in particolare, all’indomani della crisi economica argentina al volgere del millennio, fondò insieme alla moglie la Fundación PUPI, un’organizzazione senza scopo di lucro diretta a fornire aiuti ai bambini che vivono al di sotto della soglia di povertà a Buenos Aires e dintorni. Per capire perché Zanetti possa aver provato un’affinità con gli Zapatisti, bisogna guardare al suo passato. Nato da genitori di origine italiana, crebbe nel distretto di Dock Sud a Buenos Aires, un’area afflitta da una povertà radicata e dal crimine endemico. Sebbene le sue esperienze di disagio erano legate ad un contesto urbano, è possibile che abbia visto negli Zapatisti un movimento rurale che stava lottando contro lo stesso livello di privazioni. Non è neanche trascurabile il fatto che Zanetti sia un fervente cattolico e che lo stretto legame tra l’EZNL e la Chiesa (la tregua stipulata nel 1994 fu mediata dalla diocesi cattolica di San Cristóbal de las Casas, per volontà del vescovo Samuel Ruiz) possa aver attirato l’attenzione dell’argentino.

Qualunque sia stata la ragione, Zanetti prese a cuore la causa zapatista, esponendosi pubblicamente a favore del subcomandante Marcos e dei suoi uomini. Amicizia che fece il giro del mondo quando nel 2004 Zanetti convinse l’allora presidente interista, Massimo Moratti, a donare il ricavato delle multe dei giocatori all’EZLN, circa 5.000 euro, oltre ad un’ambulanza, a palloni e magliette. Soprattutto, l’Inter finanziò la costruzione di un acquedotto e di altre infrastrutture.

Qualche mese dopo il subcomandante Marcos inviò una lettera al presidente nerazzurro e tra il serio ed il divertente ringraziò l’Inter, sfidandola ad una partita di calcio:

“L’Inter ha dimostrato ripetutamente la sua nobiltà d’animo. Davanti alla porta però, non avrei pietà né misericordia. Caro Don Massimo abbiamo ricevuto la lettera nella quale l’Inter accetta la nostra sfida fraterna. Adesso, vi scrivo nuovamente per discutere i dettagli della questione. Vi comunico che io non sono solo il portavoce. Sono stato nominato all’unanimità direttore tecnico e responsabile delle relazioni intergalattiche dell’EZLN. Va bene, in realtà nessun altro ha accettato l’incarico… Stiamo pensando di organizzare la Coppa Pozol de Barro: sette partite per raccogliere fondi da destinare agli indigeni, agli immigrati clandestini e ad altre cause. Le partite si giocherebbero nello stadio olimpico di Città del Messico, a Guadalajara, a Los Angeles, davanti alla base americana di Guanatanamo, a Milano, a Roma e nei Paesi Baschi. Se per lei va bene l’EZLN vorrebbe che le partite in Messico fossero arbitrate da Diego Armando Maradona. I guardalinee sarebbero Javier Aguirre (tecnico messicano, ndr) e Jorge Valdano (ex calciatore argentino, ndr). Il quarto uomo, invece, sarebbe Socrates (icona della Democracia Corinthianandr). La cronaca delle gare, per conto del Sistema Zapatista di Televisione Intergalattica potrebbe essere affidata agli scrittori uruguayani Eduardo Galeano e Mario Benedetti. Il progetto forse è un po’ ambizioso. Sette partite potrebbero essere troppe. Avete ragione, Don Massimo, forse è meglio limitarsi a due gare, una in Messico e l’altra in Italia. D’altra parte, noi non vogliamo macchiare la storia dell’Inter infliggendovi sconfitte a ripetizione… Il calcio, ogni tanto, dovrebbe smettere di essere un affare e tornare ad essere uno sport divertente. Un gioco, come avete detto voi, basato su veri sentimenti. Il vero motivo per cui scrivo però, è un altro. Voglio ringraziare ancora l’Inter e i suoi tifosi per l’affetto e il sostegno nei nostri confronti.

P.S. Mi rivolgo alla federcalcio messicana, al Real Madrid, al Bayern Monaco, all’Osasuna, al Liverpool, all’Ajax e alla squadra della ferramenta Gonzalez: mi dispiace, ho un contratto in esclusiva con l’EZLN.”

Il vero motivo per cui scrivo però, è un altro. Voglio ringraziare ancora l’Inter e i suoi tifosi per l’affetto e il sostegno nei nostri confronti.

La partita non si giocò mai. Alcuni dissero per motivi organizzativi, altri ancora per riserve diplomatiche (gli Zapatisti organizzarono un sistema non ufficiale di autogoverno che di fatto li mise in contrasto con l’amministrazione centrale del Messico, e forse l’Inter non voleva correre il rischio di inimicarsi il governo messicano). Per certi versi è stato meglio così, evitando in questo modo il rischio di compromettere la sicurezza dei ribelli, la cui identità resta tutt’ora sconosciuta. Ma il fatto che un giocatore di fama internazionale abbia convito uno dei club più famosi del mondo ad aiutare una piccola, improvvisata comunità di emarginati dell’altra parte dell’oceano dà la dimensione di quanto il calcio possa essere uno strumento di unione e pace potentissimo. Peccato, però, se quella partita si fosse giocata, quanto ci saremmo divertiti?

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