Bruce lee

Come Bruce Lee ci ha spiegato come dovremmo vivere

La semplicità è l’essenza di ogni arte

A. Schopenhauer

Il 15 maggio è il giorno dell’Overshoot, data che segna il giorno in cui le risorse della Terra non sono più sufficienti a soddisfare le nostre esigenze. Anno dopo anno questo giorno arriva sempre più in anticipo: appena 4 anni fa era il 29 luglio, nel 2000 era il 23 settembre, nel 2004 l’1 settembre. Un’escalation sempre più preoccupante (nel 1970 era il 29 dicembre). Abbiamo confuso il benessere con la ricchezza e la ricchezza con l’eccesso, senza renderci conto che niente è infinito. Le generazioni che ci hanno preceduti hanno prosperato nell’idea che si potesse postergare il conto, lasciando alle successive il rischio e l’onere di gestirlo. Il conto è arrivato. Ci siamo resi conto (forse) che l’abbondanza è dannosa.

L’Earth Overshoot Day è sempre più in anticipo

Sono diventato minimalista per lasciare che le cose che davvero mi piacciono possano emergere nella mia vita.

Qualche anno fa ha fatto discutere l’articolo di Reuters, Less is less – Japan’s minimalists, che raccontava la figura, alquanto particolare, di Fumio Sasaki, l’uomo che dall’età di 36 anni vive nel suo monolocale con un computer, tre magliette, quattro pantaloni, quattro paia di calzini e tre paia di scarpe. Una scelta estrema, ma non isolata perché sono in molti ad aver adottato uno stile di vita minimalista. Katsuya Toyoda ad esempio, nel suo appartamento di 22 mq ha solo un tavolo e un futon. Sebbene il minimalismo giapponese si sia diffuso in passato a macchia d’olio in tutto il mondo, (Steve Jobs fu uno dei massimi esponenti del movimento in USA), ora non è più visto come una moda new age, ma come l’unica soluzione possibile per poter mettere un freno alla nostra ingordigia. Il livello della nostra felicità non si misura dalla quantità delle cose che possediamo. Per citare Tyler Durden: “le cose che possiedi alla fine ti possiedono“. Il minimalismo, espressione evoluta dello zen buddhista, è l’arte della semplificazione quotidiana. Se nell’architettura e nel design tende ad unire semplicità e funzionalità, nella nostra vita ha il solo obiettivo di fare ordine ed eliminare tutto il superficiale, tutto quello che non ha valore. L’obiettivo è arrivare all’essenza delle cose. Bruce Lee lo aveva capito già nel 1965, anno in cui diede origine a quello che in futuro chiamerà il Jeet Kune Do. Letteralmente il JKD significa la via del colpo intercettore e propone il raggiungimento della perfezione, dell’essenza delle arti marziali attraverso la semplificazione di tutti i movimenti.

Io non ho inventato un nuovo stile, non ho composto né modificato ciò che si trova all’interno di distinte forme in “quel” metodo e in “quell’altro”. Al contrario, spero di liberare i miei seguaci dall’aggrapparsi a stili, modelli, o forme. Ricordate che il Jeet Kune Do è solo un nome usato, uno specchio nel quale vedere “noi stessi”… Il Jeet Kune Do non è una istituzione organizzata della quale si può essere un membro. O si capisce o non si capisce. Non vi è alcun mistero sul mio stile, i miei movimenti sono diretti, semplici e non classici. La straordinaria forza del Jeet Kune Do risiede proprio nella sua semplicità… Sono sempre convinto che il modo più semplice è il modo più giusto. Il Jeet Kune Do è semplicemente l’espressione diretta dei propri sentimenti con il minimo dei movimenti e di energia…

Liberate Yourself From Classical Karate

Il JKD nacque da un continuo processo di sperimentazione in cui Lee andò a togliere da tutte le arti di combattimento (boxe e scherma incluse) tutto quello che riteneva superfluo. A dispetto di quello che è diventato oggi, la nuova arte aveva l’ambizione di non avere etichette. Non era Kung Fu, non era Judo, non era Tai Chi, non era nemmeno Wing Chun, prima arte che Bruce Lee studiò assiduamente e che per primo insegnò agli americani. A dir la verità, il JKD non voleva limitarsi ad essere un’arte marziale, ambiva ad essere qualcosa di più: uno stile di vita.

Le origini di questa nuova filosofia iniziano quando Lee aveva una palestra ad Oakland. Lì insegnava Wing Chun, arte che aveva imparato da bambino, allievo del celeberrimo shifu Yip Man, ma con il tempo iniziò a modificarlo fino a creare il Jun Fan Gung Fu. Jun Fan era il nomignolo con cui i genitori di Lee chiamavano il loro piccolo Bruce, convinti che potesse cancellare la maledizione della famiglia (fecero anche di più: all’anagrafe Bruce Lee fu registrato con un nome femminile, Sai Fung, letteralmente piccola fenice). Il Jun Fan Gung Fu, però, era ancora troppo simile al Wing Chu e Lee se ne rese conto quando affrontò Wong Jak Man. Pur vincendo, riscontrò troppa difficoltà perché lo stile di combattimento Wung Chu era troppo limitativo in un combattimento reale. Da quel momento iniziò un periodo di studio sulle diverse arti di combattimento orientali e occidentali, e in seguito, nel 1970, a causa di un incidente in allenamento che lo costrinse a rimanere a letto per 6 mesi, iniziò un’intensa attività di elaborazione filosofica e metodologica. E nel 1971 nel primo episodio della serie Longstreet, Bruce Lee presentò al mondo il Jeet Kune Do.

Jeet Kune Do non esiste, il Jeet Kune Do è solo un nome. Il Jeet Kune Do è un processo di crescita ed è un processo personale pertanto, non esiste un percorso uguale ad un altro. 

Il JKD è un processo interiore di purificazione, per dirla in un gergo attuale, è un processo di semplificazione che coinvolge tutta la vita del combattente. Non riguarda solo lo stile di combattimento (pensato per adattarsi ad ogni disciplina diversa in un combattimento reale), ma coinvolge anche l’allenamento e la nutrizione, fatta di cibi sani, di bevande ad alto contenuto proteico e di supplementi vitaminici e minerali. É etica, in cui la semplicità e l’economia dei movimenti sono i due pilastri su cui si fonda quest’arte indecifrabile, il cui stile è il non-stile, la cui forza è l’adattamento. Come Darwin ci insegna non vince mai il più forte, ma solo chi riesce nel più breve tempo possibile ad adattarsi al contesto. Perciò è molto importante capire oggi, in un’epoca il cui il nostro pianeta sta marcendo, che l’unica via per sopravvivere è smettere di rincorrere il troppo. Le risorse non sono infinite, comportiamoci di conseguenza.

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