alpinismo la morte sospesa

La morte sospesa, ovvero la montagna, la morte e altri svantaggi dell’alpinismo.

Tra tutti gli sport esistenti sicuramente quello dell’alpinismo e della scalata é quello che da sempre detiene il maggior fascino poetico. Del resto, la letteratura dedicata alla scalata di cime impossibili é infinta e ricca di fascino. Dai racconti in prima persona di scalatori coraggiosi fino al rapporto con la montagna come sfida con la vertigine, che come spiega Heiddeger in Essere e Tempo é la voglia di cercare la verità, la voglia di sprofondare nel senso. In Italia il racconto della montagna, come sport o come racconto esistenziale, é decisamente ricco di titoli ed autori che hanno saputo raccontare la solitudine, la stanchezza, ma anche il misticismo che si nasconde dietro all’amore per la montagna. Da Simone Moro a Marco Albino Ferrari, fino ad arrivare Reinhold Messner, parlando di chi la montagna l’ha vissuta in prima persona come sfida, come sogno e incubo, come lotta con se stessi, ma anche come dolore e perdita.

Fino ad arrivare alla letteratura che racconta l’esistenza tra le montagne, la sfida continua alla solitudine e alla ricerca della lucidità. Anche per quest’altro versante abbiamo diversi protagonisti. Dal sovraesposto Mauro Corona fino ad Erri De Luca (nota la sua passione per la scalata dolce) che ha dedicato alla Montagna molti versi tra cui lo splendido Il peso della farfalla e la ricerca storico-filosofica Sottosopra. Alture dell’Antico e del Nuovo Testamento. Tanti gli autori importanti che fanno parte delle antologie italiane, sicuramente non si può dimenticare Rigoni Stern e la sua opera su questo tema più toccante, Le vite dell’altipiano. Ma anche tra i giovani scrittori il tema della montagna é tornato ad essere fonte di ispirazione sia per il racconto esistenziale sia per il racconto storico. Prova ne sono le opere, una Paolo Congetti (Le Otto Montagne) e di Marco Balzano (Resto qui). Due storie diverse eppure molto toccanti che raccontano in un caso la montagna come fuga per trovare se stessi, nell’altro la montagna come condizione imprenscindibile di vita. Ma i libri italiani e non che raccontano del fascino e della riflessività di questa disciplina che sfida direttamente la morte, come amava dire Hemingway, sono davvero innumerevoli e quasi tutti di ottimo livello. Impossibile farne un elenco esaustivo.

Però il libro di cui volevo parlarvi è diverso da quasi tutti gli altri libri che narrano di montagna, una differenza che attiene non tanto alla forma racconto o al tipo di esperienza narrate, quanto alla riflessione che l’autore vuole far emergere con forza. Touching the Void, La morte sospesa in italiano, narra della vicenda al limite dell’esperibile umano di due alpinisti britannici che nell’estate del 1995, raggiunsero la cima del Siula Grande nelle Ande peruviane, scalando per  primi la parete ovest. Ma non è la cima, meta simbolica e iconica della narrazione del limite, il vero  centro del racconto. Il libro entra nel vivo subito dopo che i due hanno raggiunto la vetta. Una violenta bufera obbligherà i due giovani esploratori ad una discesa in tutta fretta che ovviamente li esporrà a molti pericoli. Proprio mentre i due tentano la discesa in una lotta contro il tempo (ma cos’è il tempo sulla cima di una montagna?) Simpson si rompe una gamba. Yates allora architetta una serie di strategiche mosse con le corde per potersi “caricare” l’amico ferito. Il più forte che sostiene il più debole, fin qui sembra tutto essere nel normale campo della morale conosciuta ai più. É mentre le cose si complicano che accade qualcosa di estraniante però. Yates durante un passaggio particolarmente complesso in sospensione, cioè senza che nessuna parte del corpo sia ancorata alla materia, unico legame l’imbracatura, si rende conto che sarà impossibile portate sano e salvo a valle Simposon senza rischiare anche lui la morte. Momenti molto lunghi di riflessione, ma che probabilmente saranno durati secondi nella realtà, permettono a Yates di vedere la verità più cruda e crudele. Per salvarsi la vita Yates deve recide la corda a cui l’amico é legato, consegnandolo ovviamente al territorio degli Inferi. Così fa Yates, taglia la corda e guarda Simpson scivolare per metri e metri in un crepaccio  innevato. Da qui parte un altro libro. Un libro che narra di uno uomo solo che ha sacrificato il suo amico e compagno per avere la pelle salva. Un uomo che vivrà con questo incubo. Non svelerò come continua il racconto per lasciarvi scoprire il finale di questo meraviglioso libro, ma qualcos’altro posso dirvelo.

la morte sospesa

Yates narrerà il percorso mentre vive la paura, il terrore sarebbe meglio dire, della discesa che deve compiere per salvarsi la vita senza poter fare a meno di riflettere sul gesto istintivo e violento che ha compiuto. Fatto salvo che Yates pensava fosse l’unico modo per salvare almeno se stesso, che senso ha la morale del mondo comune quando ci troviamo ad quota? Siamo ancora nel contratto sociale o siamo già catapultati nell’homo homini lupus? Probabilmente anche Hobbes avrebbe ammesso di essere in un interregno in cui valgono regole che a Londra non avrebbero trovato spazio fra i Lords.Questo confrontarsi con la morte, che in Hemingway avviene ma come limite, come possibilità, in “La morte sospesa” é una realtà accaduta (a Simpson), è presente come rimorso (in Yates), ma non è ancora fuggita lontano. Se ne sente l’odore, la presenza, mentre Yates cerca appoggi immaginari nel vuoto delle pareti di ghiaccio. Che lo sport sia portatore di valori nobili e riconosciuti dalla comunità sportiva non è certo una novità, ma qui siamo in altro campo dialettico. Qui ci stiamo chiedendo fino a che punto l’uomo conservi i propri punti cardinali morali in un contesto così lontano dall’esperienza comune, dove la sfida alla vita é totale.

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