Ahmaud Arbery

Ahmaud Arbery, correre e morire

Siamo prede ogni giorno e ogni volta che mettiamo un piede fuori dalla comodità delle nostre case! Non possiamo nemmeno andare a fare una dannata corsa! Mi state prendendo in giro?! No davvero, mi state prendendo in giro!!

Con questa parole che lasciano poco spazio all’immaginazione il campione NBA LeBron James ha commentato la notizia dell’uccisione del venticinquenne Ahmaud Arbery, un afro-americano ucciso lo scorso 23 febbraio mentre faceva jogging in Georgia. Parole molto dure che raccontano una verità più profonda, più complessa. Nelle parole dell’ex stella dei Lakers c’è qualcosa che racconta il paradosso del razzismo in America. Finché sei un giocatore di basket il colore della pelle non conta, sei un giocatore e basta. Appena togli la canotta e i pantaloncini però, diventi nero e quindi preda. Ed é proprio la dinamica dell’omicidio a disvelare il significato delle parole della stella dei Lakers. Ahamaud Arbery sarebbe uscito nel pomeriggio per correre in campagna, in una zona comunque abitata. Durante la corsa passa davanti ad un abitazione, quella di Gregory McMichael, un ex-poliziotto, e suo figlio Travis che come due cani da caccia fiutata la preda si mettono in auto al suo inseguimento. Il ragazzo ovviamente continua a correre ignaro di qualunque cosa avvenga attorno a lui, ma poco dopo i due uomini lo bloccano con il loro pick-up. Ahamaud Arbery é costretto a fermarsi. Il primo uomo scende dall’auto con un’arma mentre il secondo lo copre con un fucile. Dopo una piccola colluttazione in cui Arbery cerca di difendersi, partono tre colpi. Il ragazzo sarà ritrovato morto dalle forze dell’ordine. Incastrati da un video che ha iniziato a circolare online una settimana dopo l’omicidio in cui si vede l’uccisione a sangue freddo, padre e figlio hanno invocato scusanti abbastanza banali ma pervicaci in un’America che ancora non sa guardare in faccia il problema della diffusione delle armi da fuoco. I due si sono rifatti alla legge valida in Georgia per cui chi è colto in flagrante durante una rapina può essere “fermato” anche da comuni cittadini, una sorta di legittima difesa estesa alla massima potenza. Quindi nella loro versione il ragazzo afro-americano avrebbe tentato la fuga dopo un non meglio confermato furto nella zona. Ci sono voluti due mesi di indagini per smontare questa difesa, poi appunto un video ha dato il via libera all’accusa di omicidio per i due uomini.

Se la notizia é brutale, il riflesso che ne emerge é sconvolgente. Qui non siamo di fronte ad un omicidio nato da una contesa, ma ad una vera e propria caccia all’uomo. Che cosa hanno pensato i due uomini mentre Ahmaud Arbery passava correndo davanti casa loro? Ne hanno invidiato la libertà? La mobilità? É assurdo un omicidio che ha come unico giustificativo la follia omicida premeditata. Forse é solo la caccia al nero a prescindere come quella che avviene da noi negli stadi dove il colore della pelle fa sentire autorizzati i tifosi sugli spalti a scaricare insulti e banane sugli incolpevoli atleti. Ne ha fatto le spese anche Romelu Lukaku, calciatore abituato a ben altre ribalte. Tutto poteva pensare tranne di essere fischiato in un campo di calcio ed invece è accaduto a Cagliari. Poi il centroavanti belga ha commentato e spiegato, ma la sua faccia sul momento fu una dichiarazione di sconcerto bella e buona. Ma c’è un altro episodio che quest’anno ha segnato il campionato in maniera inequivocabile e che coglie la mentalità di chi giustifica la violenza come forma di tifoseria, di burla, di gioco. Il fatto é ben noto, durante la partita Verona-Brescia Mario Balotelli dopo un’ora di insulti decide di tirare la palla in tribuna, creando scompiglio fra tutte e due le tifoserie. Intervistato il giorno dopo Castellini, capo ultras del Verona, dichiarò che quello non era razzismo ma un gioco delle parti. A dimostrare questo teorema il capo ultras affermò che l’insulto era al di là delle caratteristiche, “il negro ce l’abbiamo anche noi”, disse. Il negro: non più persona, ma una categoria in cui far convergere tutto ciò che torna utile alla bisogna.

lukaku

Ha ragione LeBron, se iniziamo a chiederci se é opportuno per le persone di colore fare una passeggiata o giocare a calcio vuol dire che é finita davvero la società di diritto. E non è un caso che in America questo episodio ha fatto riemergere l’hashtag #Blacklivesmatter, nato nel 2012 dopo l’omicidio di Trayvon Martin. L’uomo che uccise Trayvon Martin si chiama George Zimmerman. Faceva ronde di controllo nel quartiere, quando le caramelle nella tasca del giovane afroamericano gli sembrarono sospette e decise di aprire il fuoco contro di lui, lasciandolo esanime sul selciato. In quel caso almeno arrivarono le parole fragili dell’allora premier Barak Obama: “Se avessi avuto un figlio sarebbe stato come Trayvon”.

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