Tomás El Trinche Carlovich

Tomás “El Trinche” Carlovich, l’idolo dei grandi

Molti identificano Rosario come la capitale del fútbol argentino e quando si parla di questa città al centro degli scambi commerciali del Mercosur (il mercato comune dell’America meridionale), è un po’ come tornare al ginnasio e studiare l’epica greca. Chissà cosa avrebbe scritto Omero di Tomás “El Trinche” Carlovich, l’unica leggenda del calcio argentino di cui non si ha che un filmato di quattro minuti, pubblicato postumo dalla tv argentina TyC Sports. L’idolo dei grandi, chiamato maestro da Diego Armando Maradona e venerato dai selezionatori dell’Albiceleste. Zero presenze nella Primera División, zero i minuti in cui ha indossato la maglia della Nazionale, eppure per i grandi Carlovich è stato semplicemente il più forte di tutti.

In Argentina giurano che non ci sia mai stato un “5” tanto forte quanto “El Trinche”. Sono pronti a giurarlo anche chi non lo ha mai visto giocare. Nella sua epoca, il 5 era sinonimo di volante davanti alla difesa, il precursore del regista moderno. Attorno al suo ruolo sono nati molteplici racconti. Uno di questi appartiene al portiere del Central Cordoba, la squadra di Segunda División a cui Carlovich si è legato di più. L’estremo difensore lo ringrazia per avergli fatto raggiungere il record di imbattibilità (600 minuti). Sono invece 10 i minuti consecutivi in cui avrebbe mantenuto da solo il possesso palla. Aneddoto o leggenda? Impossibile rispondere a questa domanda quando il personaggio della storia è il rosarino.

Possono 45 minuti cambiare la vita di un calciatore? Sì, se si sta narrando la vita di Tomás “El Trinche” Carlovich. L’Albiceleste come avversario, 5 giocatori del Rosario Central e altri 5 del Newell’s Old Boys come compagni di squadra. Lui è il numero 5, o meglio l’undicesimo uomo dei migliori dieci elementi delle due più importanti squadre di Rosario per cui non ha mai giocato (se si escludono due presenze nel Rosario Central da giovanissimo, prima di tornare alla catena di montaggio). Alla fine del primo tempo il risultato vede condurre i rosarini per 3-0. Il migliore in campo? Carlovich, che per tutto il tempo ha nascosto il pallone ai centrocampisti di quella che sarebbe diventata quattro anni dopo l’Albiceleste iridata. Chissà come sarebbe stata la vita di Carlovich se il commissario tecnico della Nazionale al termine del primo tempo non avesse supplicato il collega avversario di sostituire quell’autentica ira di dio. L’anonimo Central Cordoba come il Real Madrid. I tremila tifosi dello sconosciuto impianto sportivo di Rosario come i 50mila della Bombonera. Se quei 45 minuti non gli verranno più restituiti, non c’è comunque spazio per rimorsi, pensieri strani e illusioni. Nella sua Rosario, “El Trinche” aveva tutto quello che desiderava: un pallone tra i piedi, gli amici, il fiume in piena. Una scelta di vita che ha innalzato la leggenda di Carlovich, figlio di immigrati croati che in Argentina trovarono la loro nuova dimensione. Nessuno, dalla Croazia, è mai riuscito a interpretare la filosofia del potrero di Rosario. Nemmeno chi nella capitale del futblol c’è nato.

César Luis Menotti
César Luis Menotti, allenatore della nazionale argentina

Sono tre i principi di Rosario: la bandiera, il potrero e il Paranà, fiume che separa le provincie di Santa Fe ed Entre Ríos. Un giorno il Paraná era in piena. Carlovich era in macchina, diretto a Buenos Aires. Si ferma. Troppo ghiotta per lui l’occasione di pescare. Una prima trota, poi un’altra, e ancora un’altra. “El Trinche” è strafelice, per lui la giornata può concludersi così. Con il pescato torna in auto, una veloce inversione a U e dritto in direzione Rosario. Quello però non era un giorno qualunque. Il volante del Central Cordoba stava infatti raggiungendo Buenos Aires per rispondere alla pre-convocazione del commissario tecnico Menotti. Pochi mesi più tardi si sarebbero disputati i Campionati del Mondo che l’Argentina, ma senza di lui.

Rosario, 1993. Sala stampa del Newell’s Old Boys, ci sono più giornalisti del solito. Cinque anni dopo il ritiro di “El Trinche”, Diego Armando Maradona sceglie la squadra di Rosario per il suo ritorno in Sudamerica. Durante la sua breve parentesi rosarina, Maradona lascia un segno indelebile: Il più grande si sempre ha giocato a Rosario, ma non ero io. Il suo nome era Tomas El Trinche Carlovich. L’investitura arriva direttamente dal calciatore più forte esistito sulla faccia della Terra, l’ultimo in grado di determinare da solo le fortune di un club. Nella frase di Maradona, che forse non aveva mai visto giocare il numero 5 del Central Cordoba, risiede l’eterna fama di Tomás “El Trinche” Carlovich, l’idolo dei grandi.

A chi mi domanda perché non sono arrivato chiedo: cosa significa arrivare? Io volevo solo giocare a pallone e stare con le persone che amo, e loro vivono tutte qui, a Rosario.

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