Steve McQueen, il pilota prestato al cinema

È stato uno dei grandi nomi di Hollywood, ma se non fosse entrato nel mondo della recitazione, Steve McQueen probabilmente sarebbe passato alla storia come un grande pilota. Nato a Beech Grove nello Stato dell’Indiana, era figlio d’arte; suo padre era un pilota da stunt acrobatico e sebbene non lo abbia mai conosciuto, fu da lui che Steve ereditò l’amore per il rischio e l’adrenalina. La morte prematura del padre indirizzò la futura star verso un’infanzia difficile. Sua madre non era in grado di gestire la situazione con il figlio da sola e così, Steve fu mandato a vivere con i nonni presso la fattoria di suo zio nel Missouri. Fu proprio suo zio che stimolò per primo l’interesse verso le quattro ruote, regalandogli un’automobile giocattolo per il suo compleanno. All’età di 12 anni lasciò la casa per sfuggire agli abusi del suo patrigno, finendo a vivere con una banda di strada. Qualche tempo dopo tornò a vivere con lo zio ma ancora una volta, fuggì per unirsi ad una compagnia circense.

La sua adolescenza si concluse presso un collegio per ragazzi in difficoltà in California, la Junior Bays Republic. Una volta fuori iniziò a svolgere una lunga serie di lavori di qualsiasi genere, l’ultimo dei quali nel corpo dei Marines, dove il suo carattere ribelle lo portò a mettersi più volte nei guai con conseguenti severe punizioni. Ma tutto questo forgiò il suo carattere al punto da farlo diventare perfino un eroe di guerra, salvando cinque dei suoi compagni durante un’operazione tra i ghiacci. Dopo essersi congedato con merito, decise di usare il compenso dei suoi lavori per trasferirsi a New York e studiare recitazione. Così iniziò la storia di Steve McQueen che tutti conoscono: alcuni piccoli ruoli nella fase iniziale, fino al grande successo arrivato con I magnifici sette. Ma successo dopo successo era evidente come la recitazione non fosse la sua vera passione. Quello che gli interessava davvero era il rischio, la velocità, i motori.

Una passione nata fin in tenera età quando ad appena 12 anni il giovane Steve amava costruire hot rod, vetture storiche modificate. Nei primi anni ’50 durante i suoi studi di recitazione McQueen trovò il modo di guadagnare qualche soldo extra con le gare sulle moto da corsa. Riuscì a raggiungere risultati eccellenti e a guadagnare importanti somme fino al successo più grande che gli cambiò la vita: il ruolo di Fidel in Somebody Up There Likes Me del 1956. Grazie a questo film riuscì ad acquistare la sua prima auto, una Porsche 356 Speedster, identica a quella da James Dean, tranne nel colore. Nel 1959 partecipò alla sua prima corsa con il suo bolide a Santa Barbara a cui seguirono numerosi altri successi come quelli ottenuti a Del Mar, Springs, Willow e Laguna Seca. Un istintivo colpo di testa lo convinse a vendere la sua Porsche, ma il suo pentimento fu così grande che la riacquistò, conservandola fino alla morte. Con il progredire dei suoi successi, della sua reputazione e delle sue capacità, McQueen iniziò a comparire in eventi più grandi e importanti, ma non sempre alla guida di grandi macchine, come quella volta che condusse un BMC Mini sul podio a Brands Hatch nella gara del British Touring Car Championship. L’adrenalina, la velocità, le manovre spettacolari, le gomme stridenti, tutto faceva parte del personaggio McQueen.

La Porsche non fu l’unica auto che acquistò. La sua passione fu arricchita dalla presenza nel suo garage di una Jaguar XK-SS, una macchina da corsa per strada, modificata dall’originale D-Type. Si narra che la polizia locale di Los Angeles avesse perfino dato un compenso speciale a chi fosse riuscito a fermarlo e a fargli una multa per eccesso di velocità. Nessuno fu mai in grado di raggiungerlo. La sua collezione si arricchì negli anni: l’elegante Ferrari 250 Lusso, una Ferrari 275 GTB 4NART Spyder modificata e la leggendaria 911 S, lo stesso modello che si vede nelle scene iniziali del film dedicato alla celebre gara di Le Mans. L’interesse che sta dietro la leggenda di Steve McQueen però, non è da rivolgere solo al suo parco auto ma anche a tutta la serie di successi che riuscì a ottenere. L’apice fu la vittoria della categoria 3 litri nella 12 ore di Sebring nel 1970 alla guida di una Porsche 908/2 insieme a Peter Revson. In quell’occasione non solo ottenne la vittoria della classe con ben 23 secondi da Mario Andretti, che allora guidava una Ferrari 512 da 5 litri, ma McQueen riuscì a farlo con un tutore sulla gamba sinistra, messo in seguito a un incidente in moto.

Non sono un grande attore – diceva -, ci sono alcune cose che so fare, ma in altre faccio pena. C’è qualcosa, nei miei occhi da ruvido cane, che fa dire alle persone che sono un buon attore. Ma non sono così bravo…

Ma le case di produzione, preoccupate per la sua incolumità, non vedevano di buon occhio questa sua passione e lo obbligavano a firmare contratti vincolanti ed accettare assurde richieste. Forse è anche per non avere questo tipo di limitazioni che decise di intraprendere nel 1966 la carriera di produttore. Steve McQueen sottostimava il suo essere attore. Come disse una volta: “Non sono un grande attore, ci sono alcune cose che so fare, ma in altre faccio pena. C’è qualcosa, nei miei occhi da ruvido cane, che fa dire alle persone che sono un buon attore. Ma non sono così bravo…”. Al contrario, sentiva di essere nato per le corse, si sentiva un pilota prestato alla recitazione. Non è un caso che “The king of cool” nei suoi film non usava mai controfigure o stuntman perché solo nel pericolo e nella velocità riusciva a sentirsi realizzato. Ed è con il film Le 24 Ore di Le Mans che McQueen celebrò la sua vera natura. Un omaggio a quella parte di sé che non accettava compromessi, chiaroscuri, mezze verità. La corsa è vita, il resto è solo attesa.

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