Mágico González

Mágico González

Il calcio come la vita è una continua scoperta di storie, di facce e di miti. Siamo circondati da leggende, da calciatori impossibili da dimenticare, da vere e proprie icone di questo sport. Eppure c’è sempre qualcosa di nuovo che scopriamo, qualcosa di nuovo da raccontare. Il calcio ci riserva sempre delle sorprese. Così quasi per caso mi sono imbattuto in un personaggio che etichettare semplicemente come calciatore è riduttivo. Un giocatore che nonostante fosse un predestinato, nonostante eguagliasse – e forse superasse – in classe Maradona, non diventò mai un fuoriclasse, uno di quei giocatori da ricordare generazione dopo generazione. Perchè? Perchè al calcio preferì la vita. Il suo nome è Jorge Alberto González Barillas, noto a tutti come Mágico González, e questa è la sua storia.

Mágico González

Ultimo di 8 figli, Jorge è un ragazzo dall’aspetto gracile, capelli lunghi e spalle strette. Come tutti i ragazzi di San Salvador ogni momento libero lo passa dando calci al pallone, ma il calcio è solo uno svago. Il suo sogno è fare il tassista. Il destino, però, a volte è baro, così all’età di 16 anni durante una partita con l’Antel un giornalista estasiato dai suoi dribbling, dalle sue rabone, dai suoi elastici e dalla sua velocità lo definì El mago. Da allora la sua fama è stata in crescendo. L’anno dopo viene acquistato dal Club Deportivo FAS di Sant Ana con cui vince 2 titoli nazionali e una coppa campioni CONCACAF.

Nel 1982 mentre l’Italia con i gol di Paolo Rossi vince la Coppa del Mondo, l’El Salvador alla sua prima storica presenza in un Mondiale viene eliminato ai gironi (storico il 10 a 1 subito contro l’Ungheria). La stella di González, però, illumina anche la terra iberica tanto da venir inserito nella top 11 della manifestazione.

Il suo nome diventa sempre più noto tra le società europee. Paris St. German, Inter, Fiorentina, Sampdoria e Barcellona tentano di ingaggiarlo, ma lui non si presenta mai agli appuntamenti. Non vede il calcio come un lavoro, per lui è solo un divertimento. Jorge è uno spirito libero, non ama le regole. È un genio calcistico e come tutti i geni quello che vuole non coincide con quello che gli altri vorrebbero.

Alla fine sceglie una cittadina assolata dell’Andalusia, dove lì El Mago diventa Mágico. Un legame che va oltre la storia quello con il Cadiz, un’intera città ai suoi piedi. Tutto gli è concesso; ama la bella vita e il calcio diventa solo il pretesto per ballare di sera e dormire di giorno. C’è persino un addetto della società che ha lo specifico compito di svegliarlo la mattina per gli allenamenti. Ama talmente dormire che nel 1983 è stato capace di arrivare in ritardo per la semifinale del Torneo Ramòn de Carranza contro il Barcellona, un torneo estremamente importante per la città di Cadiz. Arriva pieno di sonno a partita già iniziata; il Barcellona vince 3 a 0. Lui entra nel secondo tempo. Due gol, due assist e numeri da capogiro, il Cadiz vince 4 a 3. La gloria di Màgico Gonzàlez raggiunge il suo zenit.

A causa dei continui diverbi con il nuovo allenatore del Cadiz, El Màgico lascia la squadra e viene invitato, su pressione di Maradona che lo definisce “anche più bravo di me”, alla tournée estiva con il Barcellona in terra americana. In questa tournée la squadra catalana mette in mostra quello che può essere considerato l’attacco più forte di tutti i tempi: Cruijff, Maradona e Màgico Gonzàlez. Jorge oscura gli altri due, gioca talmente bene che il Barcellona sembra disposto a metterlo sotto contratto. Sembra… perchè l’ultimo giorno per un presunto incendio nell’albergo in cui i catalani risiedono scatta l’allarme. Mentre i suoi compagni escono fuori dall’hotel, Gonzàlez resta nella sua stanza in compagnia di una bella donna. Quando lo vanno a cercare la sua riposta è: “non avevo ancora finito con lei“.

Donne, feste e bella vita sembra la biografia di tanti altri fenomeni. Una vita dedicata all’eccesso. Il loro stile di gioco è sinonimo del loro stile di vita. È forse per questo che ci piacciono più degli altri. Dopo il fallimento con il Barca, la carriera di Jorge inizia il suo lento declino, ma a lui poco importa. Il calcio è solo una sfumatura della sua vita. Tant’è che dopo aver accettato l’incarico di vice allenatore a Houston, decide di fare il tassista nel tempo libero, perché allenare lo annoia. Così le prodezze di questo fenomeno si perdono tra le vie trafficate del Texas, come se l’uomo avesse ritrovato la sua dimensione nel mondo, ma il calcio avesse perso uno dei suoi artisti.

Riconosco che non sono un santo, che mi piace la notte e che il desiderio di far baldoria non me lo porta via nemmeno mia madre. So che sono un irresponsabile e un cattivo professionista e potrei perdere l’opportunità della mia vita. Lo so, ma ho una follia in testa: non mi piace prendere il calcio come lavoro. Se lo facessi, non sarei io. Gioco solo per divertimento.

Ci sono grandi campioni e grandi uomini. I primi ci insegnano che il calcio è uno splendido sport giocato da uomini veri, i secondi che c’è qualcosa di più al di fuori del rettangolo da gioco, che il calcio – che piaccia o no – resta prima di tutto un divertimento e non sempre vale la pena sacrificarsi per esso. Mágico González aveva il talento per essere il migliore, ma per essere il migliore il talento non basta. C’è chi non sogna altro, avere un briciolo di questo genio, lui avrebbe giocato anche senza. Per Jorge il calcio non era una questione di vita, lui voleva vivere la notte. Non c’era tempo per gli allenamenti, per la vita regolare da professionista. Avrebbe giocato a calcio anche in piazza con i ragazzini se ne avesse avuto voglia, ma il calcio professionistico, quello dei “grandi” semplicemente non era il suo mondo. Peccato! Chissà quante altre grandi giocate ci avrebbe regalato, ma a volte bisogna sapersi accontentare. Mi piace pensare però, che tra una corsa e l’altra nel suo taxi giallo tra le vie di Houston continui ancora a palleggiare ed a incantare i suoi clienti. Del resto, lui sarà sempre El Mago di San Salvador.

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