tifosi-israele

Il campionato più originale del mondo

Dei più romantici è la possibilità che accada l’imprevedibile, che il flusso del tempo possa essere rotto da qualcosa di magico che trasformi l’attimo successivo in un momento straordinario ed inimmaginabile. Per questo, come avrebbe detto Sacchi, tra le cose meno serie la più seria è il calcio. Ma fin qui tutto potrebbe essere abbastanza retorico, ma quando provi ad osservare da vicino il campionato più originale del mondo, e lo dico senza alcun dubbio, ti accorgi che la magia del calcio prende immediatamente vita. Dimenticavo, qual è il campionato più originale del mondo? Naturalmente quello che si gioca Israele.

Facciamo un breve excursus storico: la prima partita del Campionato di calcio israeliano avviene durante il Mandato britannico della Palestina nel 1932, dopo che alcuni anni prima era nata la federazione calcio Israele, IFA. La federazione calcio israeliana non avrà vita facile, come immaginabile, per una Paese in costante assetto di difesa. Osteggiata dai Paesi arabi e musulmani, l’IFA si ritroverà estromessa dalla federazione calcio dei paesi asiatici, ma affiliata invece alla UEFA, con cui il rapporto per quanto travagliato sarà più costante.
Dal 1932 di cose ne sono cambiate. Da quel primo timido tentativo ad oggi la Federazione Calcio Israeliana ne ha macinata di storia fino a diventare una guida spirituale del paese.[/vc_column_text][vc_column_text]L’anno scorso durante Israele-Romania è andata in scena una della cose più inaspettate per il pubblico internazionale, ma anche locale a giudicare dai commenti, perché a guidare la nazionale israeliana c’era Bibras Natkho, israeliano doc ma di fede musulmana. Molte le polemiche sulla questione, chiuse però egregiamente dal commento di Eran Zahavi, ex giocatore del Palermo, che faceva notare come quella scesa in campo era la nazionale israeliana e non del popolo ebraico. Insomma il primo capitano di fede musulmana ha fatto parlare di sé, ma in realtà era già stato ampiamente masticato e digerito dalla società israeliana.

Israele pur non primeggiando in campo internazionale, di sicuro ha saputo sfornare ottimi calciatori che militano in tutta Europa, togliendosi anche qualche soddisfazione battendo nazionali ben più blasonate. Tuttavia, le più grandi curiosità le scopriamo andando ad osservare da vicino il Campionato Israeliano e sopratutto la sua massima divisione la Ligat ha’Al. Giocata da 14 squadre la Ligat ha’Al è dal 2000 la massima divisione professionistica israeliana a cui sottostanno cinque altre categorie. Dietro una formula del campionato abbastanza classica, si nasconde un sottobosco di curiosità e stranezze a cui solo una terra così straordinaria come quella tra il Tigri e l’Eufrate poteva dare vita.

La Ligat ha’Al è dal 2000 la massima divisione professionistica israeliana in cui si nasconde un sottobosco di curiosità e stranezze

La prima cosa che vi sembrerà strana, e  sicuramente meno scontata ad una conoscenza superficiale della zona, è che in molte squadre militano sia calciatori ebrei che musulmani insieme a glorie internazionali che scelgono l’esotica meta calcistica in netta crescita. La mescolanza è segnale di competizione, qualche volta anche di razzismo, ma soprattutto della volontà di un’intera regione di costruire una cultura di pace. Si possono trovare formazioni che quest’anno si contendono il Campionato di Stato e qui ci sono veramente tante cose interessanti. La squadra più blasonata, la nostra Juventus, si chiama Maccabi Tel Aviv ed ha vinto per 21 volte il massimo campionato. Dal 1940 tra le strisce bianche, gialle e blu, svetta sulla maglietta del Maccabi una stella di David in ricordo delle persecuzioni subite dagli ebrei durante il regime nazista.  Squadra dal profilo internazionale, il Maccabi Tel Aviv che annovera diversi giocatori internazionali ed un allenatore di razza quale il serbo Vladimir Ivić quest’anno si è aggiudicata il campionato con ben otto giornate di anticipo, confermandosi la più solida realtà in Israele. Dal profilo politico molto delicato invece, troviamo il Beitar Jerusalem, squadra che deve le sue origini all’interno del movimento sionista e da sempre legata alla destra radicale del paese. Quando Donald Trump decise di spostare l’ambasciata  a Gerusalemme, il club decise di omaggiare il presidente americano aggiungendo il suo cognome al nome dello stadio che divento Beitar Trump Jerusalem. Nel comunicato ufficiale i dirigenti del Beitar Jerusalem spiegavano di aver «deciso di aggiungere il nome del Presidente americano per la capacità riscontrata nel fare la storia, cambiando la denominazione in Beitar Trump Jerusalem. Amiamo il Presidente, e vinceremo. Per 70 anni Gerusalemme ha aspettato un riconoscimento internazionale, fino a che Donald Trump, con una mossa coraggiosa, ha riconosciuto Gerusalemme come eterna capitale di Israele». Nel Beitar Jerusalem non è mai stato tesseranno un giocatore arabo, unico caso in tutto il campionato israeliano.

All’opposta fazione del Beitar Jerusalem troviamo la Hapoel Tel Aviv, squadra fondata dal sindacato dei lavoratori negli anni trenta (hapoel significa lavoratore). La tifoseria del club è dichiaratamente antirazzista e libertaria, mentre la società è impegnata nel progetto sociale Mifalot che gestisce un campionato a cui partecipano bambini israeliani, palestinesi e giordani allo scopo di costruire una cultura di pace, lavorando sulle generazioni più giovani. Per i sindacati, piuttosto reattivi in Israele, i motivi di vanto non finiscono qui ed addirittura toccano anche il nostro Paese. La Hapoel Haifa infatti, ha giocato fino al 2014 al Kiryat Eliezer Stadium, donatogli dalla sigla sindacale UIL che ancora oggi ha una sezione dedicata ai rapporti di pace nello Stato di Israele. Tra presidenti donna come Arona Barkat, imprenditrice israeliana che guida dal 2014 il Hapoel Be’er Sheva, e mille contrasti troviamo anche una squadra come l’Ironi Kiryat Shmona, società nata per riabilitare la città di Kiryat Shmona pressoché abbandonata nei primi anni duemila a seguito dei molti razzi lanciati dagli Hezbollah proprio in quel territorio.

Razzismo, antirazzismo, solidarietà e in qualche caso aggressività, religione e politica, tutto si mischia in Terra Santa, rendendola unica anche quando si parla di calcio. Ma a colpire non sono soltanto le grandi storie di questa terra, ma anche quelle quotidiane come quella accaduta qualche tempo fa a  Tel Aviv, dove la blasonata squadra  locale Maccabi ha organizzato vitto e alloggio per tutti i tifosi avversari provenienti da una città colpita dai razzi.

Tra campi nel deserto e giochi di potere si consuma il rito del calcio, sperando che l’allarme antimissilistico non suoni proprio mentre la tua squadra sta per battere un calcio di rigore. In quel caso hai quindici minuti per raggiungere un rifugio antimissilistico e qualche settimana per sperare che il rigore vada in goal alla ripresa della partita, proprio come in un racconto di Soriano.

Altre storie
britto froome pinarello
Froome-Britto: quando la felicità è Dogma