Kaiser, 171

A volte si incontra un uomo che è l’uomo giusto al momento giusto nel posto giusto, là dove deve essere.

The Big Lebowski

Nel 1925 Victor Lustig riuscì a vendere ad un commerciante di ferro, tale André Poisson, la Torre Eiffel per una cifra pari oggi ad 1 milione di euro. Per questo è considerato uno dei più grandi truffatori della storia. Sulle sue orme Carlos Henrique Raposo per più di un decennio è stato un giocatore professionista senza aver mai giocato una partita. Succedeva negli anni Ottanta, quando i sistemi di controllo erano nulli e gli osservatori si muovevano un po’ come Oronzo Canà e Andrea Bergonzoni. 

In Brasile, l’articolo 171 del codice penale si riferisce ai truffatori, e spesso tali persone sono conosciute semplicemente come i 171s. Raposo era un 171. Cresciuto sulle spiagge di Rio de Janeiro a dare calci a palloni di stoffa, Carlos si rese subito conto che la natura non gli aveva donato nessun talento se non quello di avere un fisico asciutto ed atletico; un fisico che ricordava molto quello di Beckenbauer, per questo i suoi amici lo soprannominarono Kaiser. All’età di 20 anni Carlos “Kaiser” Raposo non accettava l’idea di non essere un calciatore così sfruttò il suo vero ed unico talento: diventare amico di chiunque. Nella Rio de Janeiro degli anni Ottanta, che Joel Santana definì una città speciale in cui i cariocas sono più liberi, rilassati e divertenti, il Kaiser manipolò il suo futuro. Iniziò a frequentare i locali in cui uscivano giocatori come Rocha, Renato Gaucho, Romario e Edmundo. Indossava vestiti costosi, prestati dagli amici, e iniziava ad attaccar bottone con chiunque gli passasse a tiro. Si avvicinava a giornalisti, giocatori e proprietari di club inanellando una gran varietà di panzane talmente astruse e ammalianti che il povero interlocutore non poteva far altro che rimanerne affascinato. Così a solo 20 anni riuscì a firmare il suo primo contratto da professionista con il Botafogo.

Una volta un club fu così frustrato dai suoi continui infortuni che chiamò uno stregone. La risposta del “giocatore” fu serafica: disse che alcune cose nemmeno la magia nera era in grado di curare.

Firmava contratti di 6 mesi durante i quali inanellava una serie di scuse pur di non scendere in campo. Molto prima di Stephen Ireland (l’ex centrocampista del Manchester City che finse la morte della nonna per evitare di giocare una partita di qualificazione di Euro 2008), aveva fatto morire sua nonna decine di volte. Quando l’allenatore di turno si insospettiva e lo convocava per una partita, chiedeva a qualche suo compagno o ragazzo delle giovanili di fargli un intervento duro abbastanza da mandarlo in infermeria e lì con qualche bustarella convinceva i medici a dichiararlo infortunato. Una volta un club fu così frustrato dai suoi continui infortuni che chiamò uno stregone. La risposta del “giocatore” fu serafica: disse che alcune cose nemmeno la magia nera era in grado di curare. Andò avanti così, grazie al fatto che il passaparola era l’unico mezzo per emergere e farsi un nome in quel mondo ed in quello Raposo era un maestro. Continuava a stringere amicizie e a far soldi. Sembrava che il suo scopo nelle squadre non fosse quello di giocare, ma quello di organizzare feste e intrattenere i suoi compagni. Dopo il Botafogo, grazie all’amicizia con Renato Gaucho riuscì ad essere ingaggiato dal Flamengo. Al suo arrivo, il Kaiser dichiarò di avere “tutto da dimostrare” perché nei pochi mesi passati al Botafogo non aveva potuto mostrare al mondo il suo talento a causa della lesione muscolare subita durante il primo allenamento. 

Carlos Henrique Raposo
Tutte le squadre in cui ha giocato Raposo. Immagine di Kevin Domínguez

Inutile dire che anche con gli Urubi registrò zero presenze. Il suo capolavoro, però, lo raggiunse con il Bangu, altra squadra di Rio. Il proprietario del club era Castor de Andrade, il primo bichiero del Brasile (colui che gestisce un gioco d’azzardo illegale), conosciuto come l’uomo più pericoloso del Paese. Una volta rincorse un arbitro con la pistola perché a suo dire la sua squadra era stata danneggiata. Quando Kaiser firmò per il Bangu, Castor fece pubblicare su un quotidiano locale un articolo con questo titolo: “BANGU HA IL SUO RE“. Ovviamente il buon Raposo lo mostrò a tutti in ogni occasione. Nonostante i soliti infortuni che Kaiser si procurava appena arrivato, Castor lo amava. Gli piaceva il suo carattere, il suo carisma, la sua faccia tosta e, cosa da non sottovalutare, il suo sapersi circondare di belle donne. Lo apprezzava così tanto che voleva vederlo giocare. Una sera durante il suo periodo di “riabilitazione” alle 4 del mattino nella discoteca Caligula, Kaiser fu preso dal panico. Aveva appena scoperto che il presidente Castor aveva mandato un ordine all’allenatore perché fosse in panchina il giorno dopo. L’allenatore, però, lo tranquillizzò subito, chiarendo che non sarebbe mai entrato.

La partita per il Bangu iniziò male, trovandosi dopo poco tempo in svantaggio di due gol. Castor dagli spalti ordinò di mettere in campo la stella della squadra. Il Kaiser iniziò a sudare freddo. Davanti a lui si aprirono due strade: la prima era rifiutare di entrare in campo e considerarsi un uomo morto; la seconda era quella di giocare e mostrare così la sua totale inadeguatezza e perciò, considerarsi un uomo morto. Ma come diceva il Perozzi: “Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione.
Mentre si stava riscaldando, pronto per entrare in campo, sentì dagli spalti un tifoso insultarlo. Il Kaiser colse la palla al balzo. Iniziò una rissa: calci, pugni e parole pesanti a chiunque gli capitasse a tiro sugli spalti. Fu espulso prima ancora di scendere in campo. Dopo la partita venne convocato da Castor. Il presidente era infuriato e voleva dargli una lezione esemplare, ma prima di aprire bocca Kaiser gli disse:

Prima di dirmi qualunque cosa, sappi solo che Dio mi ha tolto mio padre e ora me ne ha ridato un altro [riferendosi a lui]. E non posso permettere che qualcuno dia a mio padre del ladro. Ma non preoccuparti perché il mio contratto scadrà tra una settimana e me ne andrò.

Castor de Andrade si commosse e non solo lo perdonò, ma gli diede un aumento di stipendio e un’estensione del contratto.
Dopo il Bagu, Raposo continuò a vagabondare in altre squadre, arrivando a giocare persino in Europa, nell’Ajaccio. Come già in passato, il suo arrivo ricevette un’accoglienza fuori misura per le sue reali doti.

Lo stadio era piccolo ma pieno di tifosi. Pensavo che avrei dovuto solo fare qualche corsetta e salutarli, ma quando sono arrivato in campo ho visto che c’erano dei palloni e ho capito che avrei dovuto allenarmi sul serio. Sono diventato nervoso, avevo paura che dal mio primo allenamento avrebbero capito che non sapevo giocare. Ho iniziato a raccogliere tutti i palloni e a lanciarli ai tifosi. Nel frattempo salutavo e mandavo baci. La folla era impazzita. Alla fine sul campo non c’erano più palloni.

Quel giorno, come tutti gli altri, Kaiser visse d’istinto, alla giornata. É l’arte dell’improvvisazione, del saper vendere quello che non si ha perché come spesso amava dire:

la vita è marketing

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