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Maurizio Mosca, l’invenzione della post-verità

L’Italia di inizio anni novanta è sostanzialmente un’Italia che non si piace, in cerca di se stessa. È una nazione combattuta tra l’uscire viva dagli anni ottanta, cambiare il proprio assetto repubblicano e fare pace con la joie de vivre strabordante degli anni del craxismo dominante. Epoca quella del craxismo che, piaccia o non piaccia, regala un’immagine sorridente e spensierata ad una nazione in bilico con i conti pubblici e con grandi problemi di ordine interno. Arriveranno Tangentopoli e le uccisioni di Falcone e Borsellino a stretto di giro di boa, non appena passata l’euforia del mondiale Italia ‘90. In quel clima da impasse, carico di melassa, si registra la crescita esponenziale del colosso televisivo Mediaset. Dall’inizio degli anni ottanta l’azienda, nata a Cologno Monzese, mira ad espandere la propria capillarità acquistando piccole reti locali per costruire, unendole, un network. Ma sarà nel 1990 la Legge Mammì a sancire che la prima azienda privata a concorrere con la megalitica macchina Rai ce l’aveva  fatta. Ora Mediaset possiede la metà delle frequenze televisive italiane e il 62% degli introiti pubblicitari nazionali. In un contesto da Panama, come sentenziato in maniera straordinaria da Ivano Fossati, Silvio Berlusconi, uomo affasciante, intelligente, ambizioso, curioso e profondamente lungimirante, intuisce quello che i politici mondiali capiranno molto più lentamente: la verità è grigia, la bugia è puttana e per questo piace a tutti. Ed è qui che nasce l’incontro tra l’azienda guidata dal giovane imprenditore milanese e Maurizio Mosca. E come nel perfetto romanzo è sempre l’elemento negativo a trascinare la vicenda; anche qui per raccontare la popolarità di Maurizio Mosca non possiamo che partire dalla sfortunata vicenda Zico. Ovvero il capolavoro di Maurizio Mosca.

Tutto succede nel 1983, Zico non è solo il più quotato calciatore sul mercato mondiale, è anche il più discusso, il più corteggiato. Grazie anche al suo fisico asciutto, i capelli fluenti e quel modo di fare da galletto (per quest è soprannominato O Galinho), Zico diventa un caso di psicosi collettiva in Italia. Per il suo acquisto si mobilità il governo italiano, quando Zico arriva all’Udinese è tutto uno scoppiare di rotocalchi e paparazzate. Celebri sono l’avventura accreditata all’asso brasiliano con Moana Pozzi e la super comparsata nel cult L’allenatore del pallone, dove si “imbatte” in Lino Banfi, protagonista del film.

Verità e farsa, commedia e sacro si incontrano su una dozzina di programmi dedicati al calcio, il più grande ordine religioso italiano, nella figura sacerdotale di Maurizio Mosca.

Qui entra Maurizio Mosca e sbaraglia gli avversarti nel campo nascente dell’entertainment calcistico. La vicenda è complessa, risolviamola per sommi capi. Maurizio Mosca avrebbe avuto una mezza intervista da Zico, ma invece che limitarsi a riportarla dopo alcuni tentativi di parlare ancora col giocatore brasiliano, che si negherà sempre, lo spregiudicato giornalista inventa di sana pianta una pagina per la Gazzetta dello Sport. Molto discussa è la percentuale di verità allungata dalla fantasia di Maurizio Mosca, ma di certo vi è che la vicenda farà infuriare Zico. O Galinho infatti, durante una puntata del Processo del Lunedì, in cui Maurizio Mosca millantava un’amicizia intima col giocatore, risponde alla domanda di Biscardi sulla loro amicizia con un secco:«Non lo conosco e non parlo con chi ha inventato una pagina su di me». La Gazzetta dello Sport (qui le ricostruzioni sono divergenti, qualcuno dirà che fu Maurizio Mosca esasperato a dare l’addio alla testata sportiva dopo vent’anni di onorato servizio) licenzia il giornalista consegnandolo direttamente all’empireo dei personaggi televisivi degli anni novanta. Berlusconi e il suo staff capiscono il potenziale di un personaggio così spregiudicato e smaliziato pur nella sua totale leggerezza ed allegria, così Mosca diventa da subito volto fisso di tutti i programmi sportivi firmati Finivest. Verità e farsa, commedia e sacro si incontrano su una dozzina di programmi dedicati al calcio, il più grande ordine religioso italiano, nella figura sacerdotale di Maurizio Mosca. Sesso, ammiccamenti, scoop inventati: tutto fa bene agli ascolti e ne nessuno ne vuol rimanere fuori.

La verità non conta più. Qualcuno lo critica per questo, qualcuno cade nei suoi tranelli (pensate a Zenga che seriamente crede che i dirigenti dell’Inter abbiano detto qualcosa a Mosca che lui non sa), ma il punto centrale della vicenda è che il giornalista figlio d’arte ha inventato la verità televisiva, ovverò la post-verità e soprattuto, la polemica televisiva che tanto bene farà all’audience. Se col pendolino e con le bombe di mercato, criticate per esempio da Crosetti di Repubblica per la loro assoluta inesattezza, Mosca arriva a giocare col sacro e col profano in un turbine di pulsioni viscerali di cui il popolo italiano è alla ricerca, sarà quando il conduttore si cimenterà con la percezione della giustizia che si compierà il ribaltamento dialettico tra realtà e finzione, prassi e verità. Maurizio Mosca, ancora su Telenova a condurre Supergoal, viene da una telefonata anonima accusato di aver comprato della cocaina in piazza Aspromonte e quindi di essere un consumatore abituale della sostanza stupefacente. La linea cade e la questione sembra chiudersi senza grandi patimenti, ma sono i quattro minuti successivi a regalarci una delle prime post-verità della storia televisiva italiana. Maurizio Mosca riprendendo la diretta dichiara che la polizia sarebbe già sulle tracce del diffamatore telefonico e anzi proprio in quel momento veniva arrestato. Qualche secondo dopo l’accusatore era in carcere. Straordinaria rimane la ricostruzione della Gialappa’s.

In questo siparietto si giocano tanti piani dialettici e linguistici. Un procedimento lungo e tortuoso come quello dell’incarceramento di qualcuno per diffamazione, viene risolto in pochi secondi. Un mondo in cui la giustizia è subitanea e non perde tempo in processi o acquisizione di prove e testimonianze. Maurizio Mosca è stato accusato ingiustamente, ora il malfattore è in carcere. Maurizio Mosca possiede le chiavi del mondo. La verità è quella che scegli, nel frattempo siparietto musicale. Mosca ha avuto il grande merito di prendersi in giro e prendere in giro gli italiani, giocando e divertendosi. Per noi ragazzini dell’epoca era un mito, colto: autoironico, surreale e divertente. Era una modo diverso di essere in televisione rispetto al machismo ingessato dei principali modelli del mondo dello  spettacolo. Rimangono immortali molte sentenze di Maurizio Mosca: chi non è mai andato a puttane?, non sono leghista, tantomeno di merda e molte altre perle di leggerezza e mezze verità che ne facevano un personaggio sopra le righe in un’Italia che andava diventando sempre più bacchettona. Emblematico l’epitaffio scolpito sulla tomba al cimitero di Bruzzone che contiene le spoglie di Maurizio Mosca:

Ho cercato di spargere allegria tra la gente

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