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Il calcio ai tempi di Salazar

Can’t skip us. Can’t skip Portugal.

É la campagna di comunicazione 2017 del Portogallo e sottolinea una verità: il Portogallo negli ultimi anni è riuscito a trasformarsi da provincia occidentale d’Europa, vittima della propria saudade verso un impero perduto che mai più ritornerà, a ritrovata meta ambita per turisti europei e non solo. Un luogo in cui le contraddizioni e i contrasti del suo popolo emergono in forme e contaminazioni nuove. Nuovi artisti, nuove icone e nuovi suoni, figli dell’influenza degli immigrati delle ex colonie (un esempio su tutti è il kuduro, una forma d’arte che è al tempo stesso un genere di ballo e una musica).

Tutto in nome dell’African awakening, il risveglio del sentimento africano che dagli slum di Lisbona sta rimodellando la città, rendendola attrazione principale per musicisti, ballerini, scrittori, stilisti, giornalisti, flaneur, viaggiatori e semplici turisti in cerca di nuove sensazioni. Nuove voci di una mundividência – visione del mondo – culturale che sulla rotta che unisce Europa, Africa e Brasile ha trovato nel Portogallo e in Lisbona la sua sintesi perfetta. Così ecco che la notte tra le vie inerpicate e strette del centro in cui riecheggia ancora un passato non del tutto dimenticato, quando la città vecchia rintana in casa e la disuguaglianza tra coloni, colonizzati e retornados di colpo sparisce, ecco che ci si può imbattere nella nuova linfa culturale del Paese: la Noite Principe.

Una festa-evento che si tiene solo una volta al mese al club Musicbox in cui la cultura musicale della periferia viene portata con forza e frenesia nel centro. Lisbona e il Portogallo si risvegliano così da un passato non troppo  lontano quando, per citare Roberto Francavilla: “Lisbona era la capitale di una nazione sola e depressa, guidata da un regime corporativo e fascistoide che per quasi mezzo secolo, indossando la maschera di un paternalismo rassicurante, tradizionalista e molto cattolico, aveva provato a scongiurare l’inevitabile corso degli eventi“. Un passato che può tradursi in un solo nome: António de Oliveira Salazar.

Dal 1910 al 1926 il Portogallo visse un periodo di grande instabilità politica in cui si successero 45 governi diversi e ben 2 capi di governo assassinati. La crisi terminò con un colpo di stato guidato dal generale Carmona il quale nel 1928 per porre fine alla terribile crisi finanziaria del Paese nominò Ministro delle Finanze un professore di scienze economiche dell’Università di Coimbra, António de Oliveira Salazar. Il professore accettò l’incarico alla sola condizione che gli fossero attribuiti pieni poteri di controllo del bilancio. In effetti, la crisi cessò, ma a quale prezzo? Da uomo del governo Salazar iniziò una scalata al potere e carica dopo carica divenne nel 1932 Presidente del Consiglio e nel 1933 promulgò una nuova Costituzione che gli garantì il controllo totale dello Stato. Era nato lo Estado Novo.

Antonio de Oliveira Salazar non volle considerarsi un dittatore; la parola gli era sgradita.

Alberto Ronchey

La dittatura di Salazar pur richiamando aspetti del fascismo di Mussolini si discostava dalle classiche dittature occidentali per l’assenza di un simbolismo pagano e soprattutto, di una retorica totalitarista e di massa. Il regime lusitano difendeva uno status quo, basato sulla vita rurale e agricola, e non era per niente favorevole ai grandi assembramenti di persone. Per dirla come Ricardo Serrado l’ Estado Novo “era un’estensione del suo leader: cattolico, ascetico, conservatore, attaccato al mondo contadino e difensore di una morale tradizionale”.

In questo contesto, contrariamente a quanto si possa pensare, l’Estado Novo ostacolò il calcio. Nei primi decenni del secolo scorso il fùtbol si stava sviluppando a macchia d’olio in tutta Europa al punto che da sport amatoriale stava aprendo le porte al professionismo. Il suo successo di massa, il suo essere caotico e passionale, il suo eccessivo agonismo lo portarono ad essere boicottato in Portogallo. In realtà, per molto tempo lo sport in generale, fu totalmente ignorato dal governo. Sono nel 1943 il regime istituì un organismo di controllo il quale stabilì che la pratica sportiva aveva come unica finalità il rinvigorimento fisico e mentale del popolo portoghese e qualsiasi forma in contrasto con questa missione veniva brutalmente condannata. Si capisce bene che il professionismo, rischiando di contaminare la “purezza” dello sport, era proibito. Ma il calcio più di tutti fu boicottato dal regime anche perché spesso durante le partite si registravano episodi di violenza fuori e dentro lo stadio, turbando così il pacifico mondo che Salazar stava ostinatamente disegnando. I giocatori erano costretti a trovare un lavoro per mantenersi e perciò si allenavano solo la sera. 

Il suo successo di massa, il suo essere caotico e passionale, il suo eccessivo agonismo lo portarono ad essere boicottato in Portogallo. 

Una delle conseguenze della centralizzazione del potere fu uno sbilanciamento evidente nelle forze della Liga. Le squadre di Lisbona, avvantaggiate dalle opportunità che potevano capitare nella capitale, trovarono molta facilità nel crescere ed ingaggiare nuovi promettenti giocatori dalle colonie africane mentre gli altri club entrarono in un periodo di crisi. Emblematico il caso del Porto che durante la dittatura vinse appena sei titoli e tre coppe. Nel periodo post-regime il suo record migliorò notevolmente : 22 titoli nazionali, 13 coppe e 21 supercoppe, oltre a 2 Champions League, 2 Europa League e 2 Coppe Intercontinentali. Tutto il contrario dello Sporting Lisbona, soprannominato durante la dittatura O clube dos viscondes per via dell’appoggio indiretto che riceveva dall’élite della capitale. La squadra dei “Cinque Violini” (Fernando Peyroteo, Albano, José Travassos ,Jesus Correia e Manuel Vasques) visse durante la dittatura il suo periodo d’oro, vincendo 14 campionati e 9 coppe, oltre alla Coppa delle Coppe nel 1964.

Sporting Lisbona
Il mitico Sporting che ha dominato durante per tutti gli anni ’40

Mentre il Benfica, la squadra che più di tutte riuscì ad essere amata dalle masse, ebbe non pochi problemi con l’Estado Novo. Il suo inno fu censurato e tutti gli eventi del club erano sorvegliati dalla PIDE, la temibile polizia del regime. Per questo, ancora oggi il Benfica è considerato il club della resistenza. Il calcio era inviso al regime;  neppure il terzo posto del Portogallo ai Mondiali del 1966 e il Pallone d’Oro ad Eusebio riuscirono a dargli credito agli occhi del dittatore. Addirittura, il successo e la fama di Eusebio vennero minimizzati al punto che l’organismo di comunicazione del regime più volte si spese per affermare che Eusebio non era migliore di Pelé. E l’idea che il governo bloccò il trasferimento all’estero della Pantera Negra perché ritenuto simbolo nazionale è del tutto erronea. L’unico motivo che fece saltare il trasferimento del giocatore alla Juventus fu il fatto che Eusebio doveva svolgere il servizio militare.

Il fùtbol non fu mai un catalizzatore dell’identità portoghese perché rappresentava il progresso in un Paese che aveva paura del nuovo e del moderno.

In Portogallo, il fùtbol non fu mai un catalizzatore dell’identità portoghese perché rappresentava il progresso in un Paese che aveva paura del nuovo e del moderno. Fa quasi ridere oggi vedere come il calcio sia diventato uno strumento di promozione nazionale. Basta vedere il trattamento ricevuto da Cristiano Ronaldo a cui è stata dedicata finanche una statua. E penso a come la grandezza di Eusebio oggi sia ancora più evidente. Boicottato, trattato da colono nel proprio Paese  riuscì comunque a diventare un simbolo mondiale. La dittatura di Salazar terminò ufficialmente il 25 aprile 1974 con la Rivoluzione dei Garofani; una rivoluzione pacifica (morirono solo 4 civili per errore), singolare e anormale come tutto in Portogallo in quei 48 anni, calcio incluso.

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