gianni mura
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Gianni_Mura_and_Gianni_Brera_(Milan,_1975).jpg

Istintiva diffidenza per le insegne al neon. In memoria di Gianni Mura

Chi è quell’uomo con la sigaretta accesa e un maglione di cachemire in fondo alla sala? Quell’uomo é una delle penne più importanti del giornalismo italiano, non solo sportivo, si chiama Gianni Mura. Un giornalista che ha raccontato un’epoca e l’animo umano. Ha raccontando il lavoro, la bellezza della vita come operosità, fatica, ma anche piacere. Gianni Mura inizia a scrivere per la Gazzetta dello Sport appena ventenne, si occupa di calcio, della Serie B. All’inizio é un “lavoretto” mentre alla Statale di Milano studia Lettere, ma il lavoro cresce e la velocità e la facilità di scrittura del giovane Gianni Mura lo fanno spiccare immediatamente.
Nel 1965 a soli vent’anni, Mura viene spedito a seguire il Giro d’Italia, occupazione che non abbandonerà praticamente mai più. Da lì partirà una carriera a firmare grandi pezzi per molte testate nazionali. Nel 1976 Mura entra a Repubblica, inizialmente come collaboratore poi, come parte integrante della redazione. Da lì firmerà articoli sportivi, avrà una rubrica sul Campionato di Calcio intitolata Sette giorni di cattivi pensieri. Non sarà una semplice rubrica, sarà la possibilità di fare una chiacchierata con una delle mente più lucide del nostro giornalismo. Gianni Mura parlerà di calcio certo, ma raccontando gli uomini e le loro scelte, i loro caratteri. E se il mondo in cui muoveva i primi passi Gianni Mura era quello del calcio romantico degli anni Settanta – fin troppo facile per una penna come la sua cogliere gli aspetti “eroici” di quel calcio – il giornalista milanese non si tirerà indietro nel dire la sua neanche nel calcio ipermoderno fatto di sponsor milionari e VAR. L’ultimo articolo della rubrica Sette giorni di cattivi pensieri per Repubblica, Gianni Mura lo ha firmato il 15 Marzo, senza esimersi dal commentare la realtà, quindi la tragedia del Coronavirus. Lo spunto é il gesto tetro di Diego Costa che finge di tossire durante Liverpool-Atletico Madrid. Ma se il titolo é eclatante, Imbecilli senza confini ma la brava gente è di più, l’attacco é di un’ironia che ti colpisce immediatamente, una rasoiata poco sopra il ventre.

Non bisognerebbe scriverlo, ma è sempre vagamente piacevole scoprire che esistono emeriti imbecilli anche oltre i nostri confini. (…) Poi è evidente che gli imbecilli li abbiamo anche noi. Un amico m’ha detto che a Milano, parco Sempione, venerdì sembrava ci fosse un raduno di corridori a piedi. Senza la distanza di un metro, con la libertà di tossire e sputazzare.

Gianni Mura se n’é andato senza lesinarci una critica e insieme una speranza sul periodo tragico che stiamo vivendo. Perché Gianni Mura era questo, il cantore del dolore, della fatica, ma insieme anche del piacere. Il piacere di vedere un bel goal, il piacere della fatica di una scalata, il piacere di una bella polenta o di un secondo alla cacciatora. Tutto condito con un bel rosso e ammazzato alla fine con una bella, immancabile sigaretta. Nel mezzo gli occhi dolci ma attenti, di uomo che ha di fatto costruito insieme a Beppe Viola e Gianni Brera la narrazione d’autore della grande, splendida, presa per il culo che é il mondo dello sport. Verrebbe da citare Arrigo Sacchi, allenatore che Gianni Mura ha descritto come un “filosofo rivoluzionario”, un visionario che era riuscito a creare un prima e dopo nel calcio anchilosato di fine anni Ottanta. E allora citiamolo Arrigo Sacchi, in una delle sue migliori battute ed immaginiamoci Gianni Mura sorridere sornione senza scomporsi.

Il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti.

Ma non c’era solo il calcio, c’erano anche due altri amori nella vita di Gianni Mura, uno era Paola sua moglie, l’altro era il cibo. Così da anni ormai settimanalmente Gianni Mura e sua moglie Paola scrivevano la rubrica Mangia e Bevi per Repubblica, raccontando di quelle cene e quei pranzi fatti nelle osterie e trattorie d’Italia. Leggere le sue recensioni era un piacere dell’anima, ci sentivi dentro l’ora di libertà da quella sporca faccenda che chiamiamo quotidianità o “essere per la morte” per dirla con quel nazistello di Heidegger. Nel mio piccolo, ogni tanto, mi è capitato di portare mia moglie ad Abbiategrasso (chissà perché poi) e di immaginarmi mentre tessevo le lodi delle piccole osterie a vivere alla Gianni Mura. Cercando il piacere delle piccole cose: la certezza che in un ristorante ci sarà un buon rosso, anche se caro magari per le mie tasche, che si terrà una bella chiacchierata, che niente può andare storto se hai la fortuna di avere un lavoro, un po’ d’amore e un centravanti di cui parlare.

Non penso di essere il solo ad aver voluto vivere “un po’ alla a Mura”, ti ci portava la sua scrittura, la sua visione del mondo, il suo stile. Leggere i suoi consigli su come scegliere un ristorante era un vademecum per scegliere chi votare alle elezioni. Istintiva diffidenza per le insegne al neon, battuta geniale rilasciata a Repubblica durante un’intervista di Luigi Bolognini proprio sulla scelta dei ristoranti da recensire, potrebbe essere una massima di vita non solo politica. Non abbiamo parlato della morte di Gianni Mura, é vero. Bene non ne parlerò ancora, perché il suo stile, le sua visione, il suo sarcasmo, sono ancora qui. Come tutte le parole dette dai grandi, grandissimi pensatori. Le loro parole rimangono qui ad illuminare i giorni avvenire.

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