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Il Qatar, i Mondiali 2022 e le condizioni disumane degli operai

Ma vi ricordate i Mondiali? Non quelli passati, ma quelli che verranno, quelli che si giocheranno in Qatar? Era il lontano dicembre del 2010 quando si tenne a Zurigo l’assegnazione del Mondiale 2022. In nomination cinque candidati: Stati Uniti, Corea del Sud, Giappone, Australia e alla fine il vincitore, il Qatar. Un Paese senza alcuna tradizione calcistica che però ci teneva, per questioni di puro business (basti pensare all’ingaggio di Neymar dal PSG per una cifra assolutamente fuori mercato e giustificata dal fatto che era già stato scelto dagli emiri come uomo-immagine della rassegna mondiale qatariota), a ospitare la rassegna più importante del mondo del pallone. Non starò qui ad approfondire il discorso su come e quanto sia costata l’assegnazione, argomenti già trattati e per cui si è già mossa la giustizia sportiva (e non solo). In queste righe voglio invece concentrarmi su un aspetto venuto alla luce già qualche anno fa, ma rimasto insabbiato nel deserto dell’opinione pubblica ormai da diverso tempo: le condizioni di lavoro degli operai.

Se dobbiamo cercare parole per definirle, ne basta una sola: disumane. Non a caso, a seguito di un numero di morti sempre maggiori per attacchi cardiaci o incidenti sui cantieri, si sono mosse anche le associazioni di tutela dei diritti umani. Un problema sempre più di interesse mondiale e che si concentra sul contesto in cui tutti quei disperati, partendo dal sud est asiatico o dalla costa est dell’Africa, hanno raggiunto i cantieri del Qatar per cercare fortuna, ma – per dirla alla Guccini – “hanno trovato la morte”. Incidenti sul lavoro o “morti improvvise”per insufficienza cardiaca, insabbiate dalle autorità come morti naturali; gli stessi lavoratori, esposti a temperature soffocanti per più di dieci ore al giorno, stanno ora affrontando un pericolo estremamente veloce e invisibile, un virus che non fa alcun tipo di discriminazione. Lo scorso gennaio il Qatar ha proceduto all’abolizione della Kafala , una legge comune in Medio Oriente che ha reso obbligatorio richiedere al datore di lavoro il permesso per cambiare occupazione o per allontanarsi dal territorio nazionale. Una norma che di fatto si configurava come una vera e propria forma di schiavitù moderna. Essendo uno dei Paesi con il maggior numero di infezioni pro capite, il Qatar ha accompagnato il cambiamento di quella legislazione obsoleta con misure che obbligano tutte le aziende a proteggere gli immigrati, garantendo loro cibo o alloggio, anche nel caso in cui il contratto sia stato sospeso o risolto a causa della crisi. Sfortunatamente, le dichiarazioni delle persone direttamente interessate sono ancora prova di un ambiente totalmente precario. Mentre le loro famiglie attendono il loro aiuto per sopravvivere alla dura realtà nei rispettivi Paesi di origine, gli operai si trovano intrappolati in un ambiente ostile, senza cibo e attrezzature mediche. Il giornalista Pepe Rodríguez ha descritto questo disastro umanitario e sportivo così: “Stiamo parlando di uno degli scandali più disgustosi nella storia dello sport, lo sappiamo e continueremo a vederlo.

A questo punto si solleva un quesito morale: quale appassionato di calcio può, di fronte alla morte sul lavoro di centinaia di operai, anche solo pensare di seguire un mondiale di questo tipo? Inizialmente, la scelta del Qatar come sede del Mondiale aveva smosso le coscienze anche alle nostre latitudini, ma ora (dopo la crisi Coronavirus che ha spinto la nostra attenzione verso questioni di tamponi e test sierologici, quarantene ed esperti di virologia, mascherine, guanti e disinfettanti vari e la loro efficacia) del Mondiale 2022 non ne parla praticamente più nessuno. Sarà anche perché il Qatar, nel frattempo, sul campo si sta strutturando: la vittoria della coppa d’Asia nel 2019 ha dato una nuova spinta al movimento, cresciuto grazie alla naturalizzazione di alcuni calciatori africani provenienti dal Ghana, dal Sudan e anche di un brasiliano, Pedro Miguel Carvalho Deus Correia, meglio noto come Rò-Rò, difensore trapiantato nel Golfo dove con l’Al Sadd è riuscito a togliersi un po’ di soddisfazioni difficilmente replicabili in patria o altrove.

Stiamo parlando di uno degli scandali più disgustosi nella storia dello sport.

La nazionale qatariota dopo la vittoria in coppa d’Asia a scapito del Giappone è stata addirittura invitata a partecipare come wild card alla Coppa America, giocata nell’estate 2019 in Brasile, dove ha collezionato un pareggio e due sconfitte, chiudendo la sua avventura già al primo turno. Adesso, crisi sanitaria permettendo e realizzazione degli stadi senza ulteriori masse di morti sui cantieri, il Qatar pensa già alla sua prima Coppa del Mondo della storia. Mi porto avanti, sono un po’ improvvido, il Mondiale che sia d’estate, d’inverno, dall’altra parte del mondo, giocato nel deserto, senza pubblico o anche senza la mia nazionale preferita, so che lo guarderò lo stesso, ma con occhio critico e con la sottesa speranza che il calcio  alla fine possa cambiare e migliorarsi, anteponendo per sempre lo sport alle logiche politiche ed economiche.

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