Gianni Agnelli Hansen

Quando Gianni Agnelli fece un favore al Milan

Il calciomercato italiano è un sempreverde che resiste ad ogni stagione, intemperia o armamento; un rampicante sordo alle bombe che porta Gabetto al Torino nel ’41, Meazza alla Juve nel ’42 e l’Italia intera tra le fila degli Alleati nel 1943. L’armistizio di Cassibile spezza l’Asse che non passa più da Roma ma può solo collegare Berlino e Tokyo, l’Italia si riscatta agli occhi dei posteri e guadagna la pietà dei vincenti nel dopoguerra. Proprio queste elemosina ci consentono di partecipare alle Olimpiadi di Londra ’48 e sfameranno anche i milanisti a dieta da 44 anni.

settebello 1948
L’Italia ben figura nel medagliere, soprattutto nasce il mito del “Settebello” nella pallanuoto. (in foto i campioni olimpici)

La Nazionale si presenta in Inghilterra con i suoi dilettanti che banchettano a suon di pere (nove per la precisione) sugli Stati Uniti, ma eccedendo nel pranzo si salta la cena: la Danimarca ci batte 3-5 con quattro gol di John Hansen ed uno di Pløger. Gli azzurri tornano a casa con la coda tra le gambe però i nasi da tartufo rimangono a Londra, fiutano, puntano e abbaiano ai loro presidenti sotto quale albero raccogliere i funghi stranieri. Quelli danesi sono buoni, ne abbiamo avuto un assaggio, ma i più pregiati vengono dalla Svezia: Nordahl, Gren e Liedholm tornano in patria con l’oro olimpico.

Svezia Olimpiadi 1948
Sul podio il capitano Rosengren, compagno di Nordahl all’IFK Norrköping.
Photo Credits: FIFA.com

La disfatta di Londra è la Caporetto di Vittorio Pozzo che diventa il Cadorna del pallone, troppi allori appassiti lo radicano nel suo “Metodo” antico ma funzionale, la modernità richiede l’applicazione (cieca) del “Sistema” inglese. La differenza sta nell’esito: dopo Cadorna abbiamo vinto la Guerra, dopo Pozzo perdiamo battaglie per 40 anni. A Torino gli Agnelli depennano il colore nero dal guardaroba e gli indumenti da buttare sono molti, tanti quanti 20 anni nei quali la “FIAT val bene una camicia”: la svestizione funziona e nel 1946 la Commissione Alleata restituisce l’azienda alla famiglia per eccellenza. Tanto è più grosso un mezzo e più esperienza serve nel maneggiarlo, così il guidatore designato per la FIAT risulta Vittorio Valletta: scaltro nell’entrare in azienda e schietto nel comandarla. Il diritto di sangue imporrebbe sul trono un fresco avvocato di 25 anni che però si discosta: “Professore, lo faccia lei il Presidente”, Gianni Agnelli ha quindi tempo e soldi per ricomprarsi il suo giocattolo bianconero. La Juventus è di Piero Dusio dal 1942 ma il suo interregno adagiato sui tessuti che lo arricchiscono (oltre agli interessi di guerra) cessa dopo cinque anni, perchè lo scettro torna nelle mani della casata Agnelli. E il “delfino” della FIAT nuota in un mare di lire.

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Un giovane Gianni Agnelli insieme a Pamela Churchill. Con o senza camicia l’orologio rimane al suo posto

L’olimpiade di Londra ’48 finisce in questo contesto e i segugi danno le giuste indicazioni ai loro padroni, Ferruccio Novo e Agnelli si giocano la prima mano: il poker che ha calato Hansen all’Italia provoca il derby estivo della Mole ed il piatto sul tavolo lo vince la Juve. Il neo-bianconero Hansen vuole con sé il suo amico Pløger che nel mentre sta firmando per il Milan, ormai è tutto nero su bianco (e non bianconero) ma la frase “Non si può” irrita Gianni Agnelli. Pløger arriva in treno nell’imponente e vetusta Stazione Centrale convinto di essere rossonero, l’attaccante danese scende sulla banchina e tra gli stridii assiste ad una rissa a più riprese tra Direttori Tecnici. All’angolo del Diavolo c’è Busini che offre 25 milioni di lire, la campana suona e Giordanetti spara subito un gancio bianconero da 30 milioni: KO tecnico. Pløger risale su un treno in direzione Torino.

La camminata di Gianni Agnelli è impettita di galanteria ma la trattativa è stata una caduta di stile, per rialzarsi immacolato cede subito al Milan la prelazione sul pompiere svedese che aveva spento gli sguardi ai portieri dell’Olimpiade: Gunnar Nordahl. Il Diavolo si fida ma, per sicurezza, cambia un paio di treni, oscura lo scomparto con le tendine e si rilassa solo quando Nordahl segna dopo cinque giorni all’esordio con la Pro Patria.

Pløger segnerà tanti gol quanti gli anni passati alla Juve: uno. Nordahl ne farà quasi uno a partita: 215. L’attaccante svedese oltre che traino in campo fungerà anche da ponte ai compagni di nazionale Gunnar Gren e Nils Liedholm, l’impasto del “Gre-No-Li” è composto e si amalgama bene, però la gloria si farà attendere due anni.

Gren, Nordahl, Liedholm

Da sinistra a destra: Gren, Nordahl, Liedholm


Nel 48/49 vince il Grande Torino per poi trasumanare a Superga. Nel 49/50 lo Scudetto resta a Torino perché dalla sponda bianconera esondano i gol di Boniperti e proprio della malalingua (ma in buonafede) John Hansen. Nel ’51 torna piovere sulla Milano rossonera dopo una siccità cominciata nel 1907, le danze scandinave hanno portato i rovesci in Italia ma lasceranno a bocca asciutta proprio la Svezia, così pura e ottusa da giocare i Mondiali 50 e 54 con i dilettanti. La nazionale si veste a festa solo quando deve ben figurare in casa propria ai Mondiali del ’58, il trio meneghino si è ormai sciolto e Nordahl ha troppa polvere per esserci, evitandosi anche di non essere profeta in patria. I suoi ex-compagni Liedholm e Gren hanno più di 35 anni e predicano con saggezza sino alla finale, ma la profezia del Brasile si avvera grazie ai suoi sciamani: Didi, Vava, Pelé e Garrincha riscattano il Maracanazo.  Tutta la Svezia li applaude così come Nordahl, senza il rimorso di non aver mai assaggiato un Mondiale. Perchè la pietanza del capocannoniere d’Italia l’aveva già assaporata cinque volte: una tavolata di lusso, dove lui è ancora il commensale con più piatti vuoti.

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