Wilma Rudolph

Wilma Rudolph, la Gazzella Nera

Olimpiadi del 1960, gli ultimi Giochi romantici e forse i primi dell’era moderna. Furono i Giochi di figure mirabili come Cassius Marcellus Clay Jr., Abebe Bikila e del nostro Livio Berrutti. Il successo dell’atleta italiano fu leggero e inesorabile come il volo delle colombe, immortalato dai filmati della gara finale dei 200 metri piani. Lo studente torinese primeggiò sui fortissimi atleti d’ebano degli Stati Uniti. Sono stati i Giochi di grandi figure, ma a spiccare fu la falcata lieve, frequente e produttiva di un’atleta mai vista nel parterre femminile: Wilma Rudolph.

La gazzella che saltò molti ostacoli

Wilma disputò due Olimpiadi, vincendo 3 medaglie d’oro e una di bronzo. Vinse la meno pregiata nel 1956 a Melbourne nella staffetta 4×100 e quelle più pregiate a Roma nel 1960 nelle gare veloci: i 100 mt, i 200 mt e la 4×100. Fu la prima donna a scendere sotto i 24” sui 200 mt e a correre i 100 in 11 secondi. Record che gli valsero per la stampa il nome di “Gazzella Nera” per esaltarne la fluidità e l’eleganza. La sua vita non fu facile. Ventesima di 22 figli in un’America arcaica, dovette superare numerose difficoltà di salute: contrasse prima la scarlattina e poi la poliomielite che mise a rischio i suoi mirabili arti inferiori. Nei sui primi anni di vita la Gazzella dovette convivere con tutori alle gambe e con scarpe ortopediche che resero il suo incedere poco elegante e poco atletico. Ripresa la sua motilità fu notata dall’allenatore della Tennensee Univesity che le offrì una borsa di studio: venne avviata al basket, ma eccelse nelle gare veloci di atletica.

Un amore velocissimo

Rudolph, Berruti e Cassius Clay furono i protagonisti delle Olimpiadi del 1960 ed i tre ebbero in comune anche un amore contrastato. Wilma, impressionata dal timido e miope ingegnere di Torino che nella curva dei 200 metri era il più veloce di tutti, lo avvicinò, chiedendogli di regalarle la tuta. Nelle calde giornate estive romane la stampa e i cronisti immortalarono i due giovani intenti a passeggiare mano nella mano. Due atleti così lontani per cultura ed estrazione sociale che aprirono un mondo nuovo senza barriere. Oggi quegli scatti fotografici in bianco e nero sono ancora un segno di speranza e rappresentano il segno tangibile di come un evento sportivo può segnare il passaggio da una società razzista ad un mondo senza demagogie e intolleranze. Le foto con la Gazzella Nera della provincia americana insieme al timido figlio della austera e sabauda Torino erano un innesto di speranza e svelavano un amore nascente. Tutta l’Italia fantasticò sulla relazione che apriva Roma a un mondo diverso dopo le macerie della guerra. Quell’amore, come dichiarò Berruti, non fu mai consumato per la continua vigilanza degli allenatori della nazionale americana che concedevano ai due solo pochi momenti d’incontro dopo gli allenamenti. Un giorno i tecnici statunitensi si avvicinarono all’italiano e gli consigliarono di lasciar stare la velocista per consentirle di concentrarsi alle gare e per evitare di “schivare” le provocazioni del fenomeno dei pesi mediomassimi, Cassius Clay, anch’egli invaghito della Rudolph.

La situazione razziale e la rivoluzione dolce

Wilma Rudolph ha rappresentato l’emancipazione di genere ed è stata un viatico dolce per il cambiamento e l’integrazione dei neri d’America. La sua figura è stata meno impattante nell’immaginario collettivo di Cassius Clay che getta la medaglia d’oro nel fiume come atto di protesta e aderisce alle Black Panthers, ai dettami di Malcolm X e si converte all’Islam. La Rudolph era più vicina al “sogno pop”di Luther King e distante anni luce dall’atto di protesta di Tommie Smith a Messico ’68. Lei contribuì a chiudere la pagina oscurantista dell’America anni ’50 e ’60 senza fragore, con una corsa lieve e soave verso il traguardo, anche la politica le riconobbe questo ruolo.

La Gazzella nera e il dopo Olimpiadi

Le vittorie furono mirabili, ottenne tempi impensabili soprattutto se paragonati alle modalità di allenamento troppo empiriche e poco scientifiche. Tornata in America venne accolta con onori che neanche Clay ottenne. Fu nominata atleta donna dell’anno per due anni consecutivi e ricevuta dal Presidente John F. Kennedy. La sua carriera dopo Roma ’60 non durò tantissimo e accettò lavori comuni sia nel campo della cinematografia che nella grande distribuzione alimentare. Gli sportivi di vertice non avevano ancora grandi profitti e ricavi pubblicitari. Per alcuni anni la politica gli conferì il ruolo di ambasciatrice nei Paesi dell’Africa atlantica. La sua vita inizialmente difficile e poi, piena di meritati riconoscimenti si spense nel 1994 a soli 54 anni per una grave forma tumorale al cervello. Oltre alle vittorie sportive, alle indelebili immagini e filmati di vittoria, ci restano in ricordo la sua autobiografia, “Wilma Rudolph on Track”, e una testimonianza filatelica che riproduce i tre successi romani.

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