adria tour djokovic
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Djokovic, Mouratoglou e il cavallo di Troia

Il percorso di ritorno alla normalità nel mondo del tennis è stato di calma apparente, la quiete prima della tempesta. La ATP, associazione dei tennisti professionisti, ha programmato la riapertura delle competizioni per il prossimo 14 agosto con il torneo di Washington D.C. a cui seguiranno il Master 1000 “Cincinnati” e lo US OPEN, torneo dello slam. Terminata l’anomala stagione sul cemento americano il “circus” partirà per l’Europa dove avrà luogo una corposa ed intensa stagione su terra rossa e successivamente (forse) proseguirà in Cina e concluderà la menomata stagione con le ATP finals di Londra. Fino a poche settimane fa il programma era tutt’altro che deciso e l’incertezza, che attanagliava in particolare i tornei più prestigiosi, aveva creato ben più di una preoccupazione ad investitori e addetti del settore. Parlando dei giocatori, le reazioni sono state molto diverse ed, in generale, hanno riguardato i giocatori di medio-bassa classifica che avevano evidentemente molto da perdere. I giocatori più importanti hanno invece mostrato un atteggiamento sornione e calcolatore poiché, essendo abituati a muoversi con decine di persone al seguito, hanno interpretato le limitazioni dovute all’emergenza sanitaria come una situazione che avrebbe potuto compromettere la loro competitività, costruita sui dettagli e sul lavoro di numerosi professionisti quali psicologi, allenatori, fisioterapisti ed, in qualche caso, santoni. In questa “terra di mezzo” abbiamo visto crescere in modo incontrollato un paio di proposte di esibizioni che si sono ben distinte tra le altre e che, ciascuna a suo modo, mi hanno ricordato l’inganno o lo stratagemma, chiamatelo come meglio credete, con cui i Greci sono riusciti ad espugnare Troia, grazie al famoso dono del cavallo di legno con “sorpresa”.

La prima di queste esibizioni è l’Adria Tour, il ciclo di mini tornei nelle terre balcaniche, fortemente voluto da Djokovic, che rappresenta un nitido esempio di uno stratagemma finito piuttosto male anche alla luce dei recentissimi fatti di cronaca. Il serbo, n°1 del mondo e ben avviato ad infrangere quasi tutti i record di vittorie, ha fortemente voluto questo evento, ufficialmente a carattere di beneficenza, ma a mio parere per mettere pressione al circuito ATP con lo scopo di ricominciare le attività senza ostacolare eccessivamente le libertà dei giocatori e dei loro team. Così abbiamo potuto apprezzare, in particolare nella prima tappa che si è svolta a Belgrado in Serbia, come i campioni partecipanti alle esibizioni si siano divertiti in attività extra tennistiche “ad alto contatto”, quali partite di calcio, di basket e feste in discoteca, senza precauzioni di nessun tipo: né mascherine o guanti né distanziamento sociale. Così parimenti abbiamo visto spalti affollati e persone accalcate nel pieno rispetto delle normative nazionali della Serbia, ma ignorando completamente quanto accade ancora oggi nel mondo e dimenticandosi di come quegli stessi giocatori ed i loro collaboratori fra breve circoleranno nel mondo, coprendo grandi distanze in breve tempo. Molti colleghi hanno criticato lo spettacolo andato in scena a Belgrado, tacciandolo come comportamenti non all’altezza e rischiosi per colleghi ed addetti al lavoro. È notizia di pochi giorni fa che il cavallo di Troia a Belgrado conteneva COVID 19 in abbondanza con il risultato che la finale della seconda tappa, a soli 7 giorni dagli incontri di Belgrado, è stata annullata a causa della positività di uno dei protagonisti del tour, il bulgaro Dimitrov, seguito dopo poco dal beniamino croato Coric e da numerosi altri tra giocatori e membri dei team tra cui, dulcis in fundo, lo stesso Novak Djokovic. Un chiaro esempio di come neanche la protervia umana possa immunizzare dal virus. Personalmente non credo che il fatto avrà gravi conseguenze sul calendario del circuito, ma ci ha dimostrato ancora una volta come le logiche e gli interessi extrasportivi possano condizionare, in questo caso negativamente, lo stesso sport.

Il secondo esempio di cui vi voglio parlare ha a che fare più con l’inganno che lo stratagemma. Si tratta dell’UTS, Ultimate Tennis Showdown, partorito dalla mente di Patrick Mouratoglou, ex coach di Serena Williams, che ha proposto a Nizza un ciclo di incontri a porte chiuse e nel pieno rispetto dei protocolli sanitari, caratterizzato da regole fortemente innovative e rivoluzionarie. Il tema filosofico che segna l’UTS è il valore del tempo che se tradizionalmente siamo abituati a pensarlo come qualcosa che termina dopo l’ultimo punto e che fino a quel momento per i giocatori è virtualmente “infinito”, in questa nuova formula diventa “finito” e la vittoria va a chi nel tempo prefissato ha segnato più punti. Si giocano quattro quarti come nella pallacanestro, ma l’innovazione più spinta è certamente l’inserimento di carte speciali in stile Pokémon, con cui, ad esempio, il giocatore può decidere di “rubare il servizio” all’avversario, di costringerlo a terminare il punto in 3 colpi o a guadagnare il triplo dei punti in caso di un colpo vincente, per definizione un colpo che l’avversario non riesce neppure a sfiorare con la racchetta. Un misto di gioco di ruolo, strategia, tempi contingentati e naturalmente marketing. “Puntiamo ai 50.000 iscritti alla nostra piattaforma streaming dopo il primo week-end di partite” – ha detto Mouratoglou – “i giovani non guardano neanche più i film da due ore, è il tempo delle serie da 40-45 minuti a puntata”.

Io francamente non credo che ci sia un vero problema di “offerta”, credo invece che il Cavallo di Troia nel caso di UTS nasconda un tentativo, malcelato, di accattivarsi una quota di mercato con la speranza che questi giovani un giorno cresceranno e si appassioneranno alla tradizione, magari ammodernata come succede normalmente con l’avvento di nuovi materiali o la riformulazione delle modalità di competizione (penso a 3 set su 5 o alle formule dei tie break). La strategia nello sport è connaturata al movimento, alla dinamica, non può essere una carta a decidere una competizione. Un cavallo di legno con in pancia dei Pokémon, anche evoluti, non ha mai espugnato nessun cuore sportivo.

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