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Born in The U.S.A: Springsteen e McEnroe in mezzo agli anni Ottanta

 “Rocky, Rambo e Sting l’America li vuole così” cantava nel 1986 Antonello Venditti in una canzone che raccontava gli stereotipi a stelle e strisce e che a dire del cantautore romano riguarderebbero tutti il mito della forza. Il pezzo, del resto, ricalca un’immagine di una parte dell’America, non di tutti gli US possibili. È una fotografia a colori forti di un’America reaganiana dal sorriso pulito, ma dal pugno di ferro nella lotta al comunismo. Ma Reagan non è solo l’uomo che ha agevolato il crollo del blocco sovietico (sul suo effettivo ruolo le opinioni divergono), è soprattutto l’uomo che ha reso l’America forte e vincente facendole dimenticare i terribili anni Settanta della Guerra in Vietnam. Uomo di comunicazione ed attento all’immagine capisce che bisogna consegnare al mondo un volto degli Stati Uniti trionfante. Per farlo usa una delle sue armi migliori: il cinema. É noto infatti, come la saga di Rambo annoveri tra i finanziatori anche il Governo americano che vede nel film uno strumento di propaganda efficace nel far emergere la nuova immagine di un’America caparbia.

Ma ecco spuntare dalla foschia di quegli anni, meravigliosamente ritratta nel capolavoro Il grande freddo, due americani che diventano immediatamente due idoli mondiali; sono ancora due ragazzini, ma il carisma e la forza certo non gli mancano. Si chiamano Bruce Springsteen e John McEnroe, uno suona la chitarra e scrive canzoni, l’altro vorrebbe scrivere canzoni punk ma il destino ha deciso che sarà un genio del tennis. Difficile non associare i due nomi per quello che hanno rappresentato, quello che hanno vissuto quasi contemporaneamente seppure in modi così diversi e unici. Bruce Springsteen é un ragazzotto con il fisico da contadino, bello, magro, abbronzato e con l’aria di chi potrebbe girare il mondo solo con il suo sorriso. John McEnroe é allampanato, capelli arruffati ed una faccia da schiaffi senza paragoni. Sono loro che si contendono le pareti delle camerette degli adolescenti con la loro incredibile energia e sincerità. I jeans consumati di Bruce Springsteen (ritratti mirabilmente nella copertina di Born in The U.S.A) e i completi firmati Sergio Tacchini di McEnroe diventano un simbolo di ribellione, coraggio e diversità. É ovvio che il punto di incontro tra queste due figure mastodontiche sia la ribellione, la difformità dalla regola, ma bisogna approfondire le rispettive biografiche per capire dove si incontrano le loro strade.

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Due infanzie diverse segnano alcuni tratti delle loro personalità. Le origini semplici, anzi povere di Bruce Springsteen, segnano la sua etica del lavoro. In un passo della sua biografia Springsteen racconta che quando si trasferì a New York alla ricerca di un contratto discografico rimase chiuso per mesi nella sua camera con l’obbligo di scrivere almeno due canzoni al giorno. L’esperimento funzionò e nel 1973 vide la luce il primo album di Springsteen con l’appoggio di tutta la Columbia entusiasta di aver trovato quello che secondo loro sarebbe stato “il nuovo Dylan”. Il disco non brillò in termini di vendita, ma le esibizioni nei club iniziarono ad accrescere la fama del cantautore come di un animale da palco. Storia diversa per McEnroe che invece proviene da una famiglia agiata e perciò esigente in molti ambiti. Un padre dalla carriera militare che dopo aver vissuto la spartizione di Berlino, al ritorno in America si è dedicato al mondo della pubblicità. Un’educazione rigida, un complesso di inferiorità rispetto alle aspettative paterne difficile da recuperare. Anche il padre di Bruce Springsteen in realtà ha conosciuto la vita militare, essendo stato un veterano della Seconda Guerra mondiale, ma con lui la fortuna è stata meno concessiva, dovendo per tutto il resto della vita accontentarsi di impieghi umili e saltuari. Qui troviamo una prima similitudine ed una prima differenza tra i due, perché appare evidente come la figura del padre è per entrambi un confronto-limite a cui ispirarsi al di là della fortuna del mondo.

Quando John McEnroe scende in campo è un ragazzo con un incredibile talento, capace di cambiare la storia del tennis, ma con un pessimo carattere, un’insofferenza innata per il giudizio degli arbitri. Sfociato nell’ormai mitico e parodiato You cannot be serious!, l’atteggiamento di McEnroe é strafottente e irrispettoso verso il potere in uno sport nobile e da gentiluomini. McEnroe cambia le regole ma non per una precisa scelta, semplicemente perché non può fare diversamente. Per comportarsi come McEnroe bisogna essere McEnroe. Gli americani non sanno come porsi nei confronti di quel campione, tolta la sua bravura innegabile, il suo atteggiamento é incomprensibile per i loro canoni. McEnroe rimane tutt’oggi un cruccio per gli americani, nota la battuta del New York Times: “il peggior rappresentante dei valori americani dai tempi di Al Capone”. McEnroe é questo: festini, alcol, musica punk, atteggiamento ribelle e irriverente, ma poi sul campo semplicemente divino.

McEnroe ascolta Bruce Springsteen e ne condivide l’amarezza, ma anche la grinta per cercare di essere ogni giorno se stessi, di provare a vivere la propria vita correndo sempre verso il limite. Ma Springsteen é diverso nel quotidiano e sul palco, difende la sua vita privata, non si fa coinvolgere nell’immagine di artista tossico e dà l’idea di essere un bravo ragazzo, cresciuto ad hamburger e latte al mattino. Springsteen é tranquillo, ma questo non vuol dire meno ribelle. L’occasione per dimostrare questa ribellione arriva nel 1984 quando pubblica Born in the U.S.A. L’album arriva dopo Nebraska, lavoro più cupo e introverso, ma é la title track Born in The U.S.A a generare un’esplosione di attenzioni per Springsteen. La canzone narra di un’America che convive con il dramma dei veterani, usando una chiave positiva per raccontare una tragedia. Springsteen vuole scuotere la sua terra, dare un segno di rinascita seppure nel ricordo di un passato fosco. La canzone travalica ogni confine politico, piace a Repubblicani e Democratici, ma é Reagan in persona ad azzardare: prima citandola in un comizio elettorale, poi chiedendo a Springsteen di poterla usare come colonna sonora della sua campagna. “Forse il Presidente ha ascoltato solo il ritornello” è il gelido commento di Springsteen che nega a qualunque parte politica l’utilizzo della canzone. Dire no al Presidente degli Stati Uniti non è un gesto semplicemente estetico, vuole dire dimostrare coraggio, opporsi al potere e Springsteen lo fa senza pose da ribelle, con sincerità.

Sono questi i due uomini che hanno accompagnato gli adolescenti degli anni Ottanta, due prese di posizione dettate, sopra ogni cosa, dalla sincerità verso se stessi e gli altri. Springsteen con il suo essere roccioso e ponderato, McEnroe con la sua follia distruttiva. Springsteen con la sua classicità e costanza, McEnroe con i suoi strappi e il suo tumulto interiore. Due modi diversi di coniugare lo stesso concetto: Born to Run.

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