Dražen Petrović

Dražen Petrović, il Mozart del basket

Il basket è uno sport veloce, preciso, in qualche caso anche violento, dove la squadra deve agire come se fosse un’orchestra durante l’esecuzione di una sinfonia e ci sono giocatori che meglio di altri possono interpretare il ruolo di maestro: Dražen Petrović era uno di questi.

Per conoscere il Petrović giocatore basterebbe la descrizione che l’NBA gli ha dedicato nella Hall of Fame:

Dražen Petrović aveva una tale abilità artistica sul campo da basket che coloro che lo videro giocare lo chiamarono il Mozart del parquet

Per riuscire invece a capire il Petrović giocatore bisogna, però, conoscere il Petrović uomo, ma, soprattutto, il Petrović bambino; è infatti durante l’infanzia e la prima adolescenza che nasce il mito. È un bambino introverso e soffre di una leggera malformazione alla colonna vertebrale che lo limita nei movimenti. Con il fratello maggiore, Alexander, accende epiche sfide 1 contro 1 che perde costantemente, ma la pallacanestro per quel bambino è più di uno sport: è il suo grande amore. La palla a spicchi sembra fatta apposta per le mani di quel ragazzo che da Pietraio, come veniva soprannominato dai suoi primi compagni di squadra per via dei tiri poco precisi, diventerà il più elegante cecchino di tutti i tempi. Tale è la passione per questo sport che si sveglia ogni mattina alle 5 per potersi esercitare al tiro dalle più svariate posizioni del campo prima di andare a scuola, e non finiva lì: Dražen infatti, passa in quella palestra tutti i momenti liberi, facendola diventare praticamente una sua seconda casa. A qualche insegnante che si preoccupa di questa sua ossessione e che gli fa notare che forse sta perdendo tempo, Petrović risponde che la sua vita è proprio lì, all’interno di quella palestra.

Con maniacale regolarità tira da tutte le posizioni, affina le tecniche di arresto e cambio passo e quando ha 16 anni prende il posto del fratello Aza nella squadra del Šibenka. Comincia in questo modo la sua ascesa, inanellando prestazioni da capogiro con una media punti a partita a dir poco mostruosa, che lo porta dopo pochissimo tempo a raggiungere il fratello nella squadra di Zagabria, il Cibona, con cui vince tutto quello che c’è da vincere. Anche lì il ragazzino ribelle, che ha tanto talento quanta spocchia e irascibilità, dimostra la sua maniacale predisposizione per il duro lavoro che gli consente di affinare sempre più le sue straordinarie doti; si presenta un’ora prima dell’orario dell’allenamento e e va via un’ora dopo. Questo suo atteggiamento invece di creare malumori con gli altri giocatori, li sprona con il risultato che quasi tutti iniziano ad arrivare sempre prima e vanno via sempre dopo il normale orario di allenamento; questa esercitazione collettiva fa sì che il Cibona abbia al suo attivo alcuni tra i giocatori più prolifici d’Europa che le consentono di vincere per due anni consecutivi la Coppa dei Campioni. Il lavoro maniacale che Dražen Petrović mette in ogni allenamento non è un atteggiamento fine a se stesso, ma è il frutto di un’ossessiva volontà di superare i propri limiti. Il ragazzone di Šibenik ingaggia una sfida con se stesso, prima che con gli avversari: non esistono feste, non esistono amici, non esiste nulla, solo la pallacanestro. Il vero allenamento inizia quando senti di non farcela più ed è il quel momento, quando tutti gli altri mollavano, che Dražen continua ad esercitarsi. La perfezione e la meticolosità di Petrović sono racchiuse in un episodio avvenuto durante un’ amichevole tra le nazionali dell’Italia e della Croazia nel 1993, poco prima dell’incidente mortale. Petrović manca tiri che normalmente mette a canestro anche ad occhi chiusi e più sbaglia più continua a tirare. Durante un timeout, invece di restare insieme con la squadra si avvicina al canestro e comincia a guardarlo attentamente. Ad un certo punto richiama l’attenzione dell’arbitro sull’errato posizionamento del ferro. Si scopre che il canestro per pochissimi centimetri è mal posizionato. Il canestro viene sistemato e il croato ricomincia a segnare secondo le sue normali percentuali.

Dražen Petrović
Dražen Petrović, ai tempi del Cibona

Dopo una breve esperienza nel Real Madrid in cui si conferma uno dei più limpidi atleti europei, decide di accogliere la sfida dell’ NBA: entra nelle fila dei Portland Trail Blazers. Non è un periodo facile; i giocatori europei che militano in NBA si contano sulle dita di una mano. Petrović è da solo. Solo, contro chi è convinto che non farà bene. Dopo 2 anni passa ai Nets ed è lì nel 1992 durante la sfida contro i Rockets che mostra a tutto il mondo il suo valore. Le attese verso questo croato sono basse, data la sua non convincete esperienza a Portland, e prima di una partita della stagione regolare contro Houston, Maxwell, guardia dei Rockets, rincara la dose dichiarando  nel pre-partita:

Deve ancora nascere un europeo bianco che mi faccia il c..o.

Petrović realizza 42 punti., tutti in faccia a Maxwell. Uno dopo l’altro, sfidandolo in uno contro uno, tirandogli in faccia una tripla dopo l’altra.

Alla fine della Regular Season del 1993 Dražen per un soffio non riesce ad entrare nel quintetto di riserva per l’All Star Game e le franchigie di mezza NBA hanno puntato gli occhi su quel ragazzo che ha un totale controllo del proprio corpo, riesce ad effettuare movimenti che sembrano passi di danza. Ma il 7 giugno dello stesso anno tutto questo finisce. Dopo una gara di qualificazione per gli Europei contro la Polonia, anziché tornare in aereo con la squadra decide di tornare a Zagabria in macchina con la fidanzata. Sono le 5:20 del pomeriggio, il campione riposa nel sedile anteriore del passeggero e alla guida c’è Klara Szalantz, modella e giocatrice ungherese diventata da poco sua compagna. Nei pressi di Denkendorf in Baviera un camion che arriva in direzione opposta sbanda per evitare una collisione con un altro veicolo, mettendosi di traverso sull’intera carreggiata. Pochi istanti dopo, la vettura con a bordo la coppia lo centra in pieno, uccidendo Petrović sul colpo.

Proprio come il grande compositore, Dražen Petrović è stato un rivoluzionario, esplosivo, dirompente, innovatore lasciando in eredità ai posteri il suo esempio di serietà, competenza, ma, soprattutto, di spirito di sacrificio e di perseveranza. Nonostante la giovane età è diventato simbolo mondiale di una Croazia che proprio in quegli anni terribili di guerra e violenza trovava la sua identità come Nazione. Ed è per questo che il 7 giugno in Croazia è una giornata di lutto nazionale; Dražen è diventato figlio e fratello di tutti i croati, ma anche padre di tutti i giocatori europei che dopo di lui sono sbarcati nell’NBA.

About

Zeta è il nostro modo di stare al mondo. Un magazine di sport e cultura; storie e approfondimenti per scoprire cosa si cela dietro le quinte del nostro tempo,

Altre storie
putin sport
Dagli scacchi al calcio la Russia guarda all’Asia, non più all’Europa