1940, l'ultimo giorno di pace

1940, l’ultimo giorno di pace

L’unico vaccino contro qualsiasi paura è lo sport. Si conclude così il documentario Storie di Matteo Marani dedicato all’ultimo giorno prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale. Si intitola 1940 – L’ultimo giorno di pace (disponibile da venerdì 7 alle 19 su Sky Sport e Sky On Demand) e ripercorre, con un’attenzione storico-sociale semplicemente maniacale, come la quotidianità italiana viene sovvertita dalla scelta spregiudicata, ambiziosa e velenosa di entrare in guerra a fianco dei nazisti da parte di Benito Mussolini.

1940, l'ultimo giorno di pace

Winston Churchill, l’uomo della vittoria inglese, descrisse il DNA dell’italiano con una frase che rimane ancora oggi scolpita nei libri di storia e che ci rispecchia perfettamente: “Gli italiani vanno in guerra come si va a una partita di calcio e vanno a una partita di calcio come si va in guerra”. Ma ancora più del calcio, quel periodo è quello del ciclismo. L’Italia, da quando è sotto il tetto del Regime Fascista, è diventata un’enorme accademia sportiva. Tutti, soprattutto i maschi, praticano attività fisica, dall’atletica al calcio, dalla scherma al pugilato e poi proprio il ciclismo. Anche perché a dispetto di quello che tutti pensano dei Paesi scandinavi o dell’Olanda, uno dei primi Paesi a utilizzare intensamente la bici è stata proprio l’Italia che è passata da 187 mila mezzi a più di 4 milioni nel giro di pochi anni. Con la bici si fa di tutto e ovviamente si fa dello sport. In quel 9 giugno del 1940, “the day before”, va in scena il Giro d’Italia con l’arrivo previsto all’Arena di Milano. Il favorito è l’esperto e amatissimo Gino Bartali, ma durante il Giro succede di tutto. E alla fine a spuntarla è un giovanissimo, talentuoso, un po’ spaccone Fausto Coppi. È da quel Giro che il mito di Coppi e Bartali prende vita. Coppi, quel 9 giugno del 1940, diventa il più giovane ciclista a vincere il Giro d’Italia e a conquistare la Maglia Rosa.

Gli italiani vanno in guerra come si va a una partita di calcio e vanno a una partita di calcio come si va in guerra

Winston Churchill
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Nel 1940 Coppi vinse il suo primo Giro d’italia

L’Europa è in fermento. La Germania ha iniziato da qualche anno la sua strategia di espansione conquistando Austria, annettendo la Repubblica Ceca e invadendo la Francia già da Maggio del 1940. E mentre Gran Bretagna, U.R.S.S e Giappone sono sul chi va là, l’Italia mantiene una certa quiete nonostante il clamoroso fallimento della Campagna d’Etiopia e dell’Occupazione dell’Albania. Mussolini, sapendo che il Paese non sarebbe stato all’altezza di una Guerra su così ampia scala, vuole prendere tempo o perdere tempo e di conseguenza la quotidianità procede come se nulla fosse cambiato attorno allo Stivale. In quello stesso 9 giugno, infatti, non c’è solo l’arrivo di Coppi, ma si giocano anche le semifinali di Coppa Italia, mentre il campionato è terminato qualche settimana prima con la vittoria dell’Inter di Meazza.

Giuseppe Meazza
Giuseppe Meazza, stella del calcio italiano

Mamma di Beniamino Gigli è la colonna sonora di quell’Italia. Quella del consenso al Regime, quella che ama lo sport, quella che adora “il Balilla” (ossia Meazza, il primo vero Divo del calcio italiano, che viene chiamato così perché i “Balilla” erano ragazzini indottrinati dal regime tra sport e “cultura” fascista) e il Giro. C’è poco da fare. Quel giorno, il 10 giugno, arriva. Oggi lo vediamo come un giorno cupo, oscuro, buio, ma il discorso di Mussolini proclamato dal balcone di Palazzo Venezia a Roma viene recepito come un gol all’ultimo minuto. Il discorso era il seguente:

L’Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: vincere! E vinceremo!

Nonostante la polvere da sparo, le armi, il sangue, il sacrificio, i caduti, i feriti, gli incubi, i ricordi, l’odore di tragedia che si respira mentre gli italiani erano in guerra, lo sport, in un modo o nell’altro va avanti. Anche perché, come ci ricorda Marani, lo sport è stato, insieme al cinema, il miglior veicolo comunicativo del Regime Fascista. Un’arma perfetta per penetrare sotto la pelle del popolo italiano.

La stagione 40/41, la prima con l’esercito tricolore già impegnato al fronte, vede vincere il Bologna, l’anno dopo, invece, festeggia la Roma. Le squadre del nord hanno avuto spesso qualche problema con le precipitazioni. Non quelle atmosferiche, ma le bombe che gli alleati sganciano sulle città settentrionali. A sovvertire quella che sembrava potesse essere una tendenza è il Torino che conquista l’ultimo campionato regolare (42/43) prima dello stop obbligato dalla guerra che continua a mietere vittimi e a incombere sulle città italiane. Quello è l’inizio del Grande Torino che avrebbe potuto vincere molto di più se non fosse stato per la Seconda guerra Mondiale e per l’incidente di Superga. Ma questa è un’altra storia.

Il Grande Torino
Il Grande Torino

Se nello sport, soprattutto nel calcio, in questi ultimi anni l’Italia è un gioiello nel mondo, quando il campo diventa quello di battaglia, fatto di confini, trincee, carri armati, strategie e armi, l’Italia non primeggia su nessuno, se non su pochissimi. La sfilza di sconfitte mette in imbarazzo sia il Regime sia la Germania. Gli eventi però, crollano dopo la sconfitta di Stalingrado. I nazisti sono costretti a ritirarsi, mentre i sovietici festeggiano. L’Italia nel frattempo è divisa a metà tra gli Alleati a sud, e i tedeschi – con Mussolini – a nord. E, di conseguenza, anche il calcio si divide e riprende l’attività, perché, nonostante tutto, lo sport non si ferma come ha raccontato Nike nell’ultimo spot. Ce lo racconta il grande lavoro di ricerca realizzato da Marani e dalla sua squadra che ci mostra un documento ufficiale del torneo che inizia nel dicembre del ’43 per completarsi a luglio dell’anno successivo all’Arena di Milano. Sempre lì dove quattro anni prima, il 9 giugno, Coppi aveva vinto il Giro nell’ultimo giorno di pace. A conquistare quel campionato del nord sono i Vigili del Fuoco – La Spezia che battono il Grande Torino per 2-1 in finale. È l’unico scudetto vinto dalla società che la FIGC ha riconosciuto a titolo “onorifico” solo nel 2002.

Vigili del Fuoco - La Spezia scudetto 1944
1944, i Pompieri di La Spezia vincono lo scudetto

In questi anni qualche calciatore e alcuni sportivi hanno cambiato vita, da atleti a combattenti e partigiani, o neri o rossi, o destra o sinistra, o recinzione o libertà. Quegli anni sono stati tutto per l’Italia. Hanno dimostrato come ogni cosa è superabile nonostante il sacrificio e il sangue, che tutto è trascurabile, che qualsiasi cosa succeda ci sarà sempre un dopo e per quel dopo bisognerà sempre ringraziare chi ha lottato, sofferto e pregato. Ogni volta che ci troviamo di fronte a momenti complicati per noi e per il nostro Paese dobbiamo ricordarci di quel giorno, del 9 giugno, dell’ultimo giorno di pace, perché solo conoscendo il potere di ciò che si perde è possibile comprendere e apprezzare la forza di ciò che si possiede.

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