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Croke Park, l’essenza dell’Irlanda

21 novembre 1920. Una monetina viene lanciata: testa per O’Connell Street, la via più trafficata di Dublino, croce per Croke Park, lo stadio. Il destino scelse croce e il futuro dell’Irlanda prese forma… con il sangue.

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Era il periodo in cui essere irlandese voleva dire “non essere inglese”. Eri irlandese se non eri monarchico; eri irlandese se non eri protestante; eri irlandese se non giocavi a calcio o a rugby. Tutto ebbe inizio con l’Easter Rising (La Rivolta di Pasqua) del 1916, quando diversi gruppi di feniani tentarono con una rivolta armata di ottenere l’indipendenza dal Regno Unito, occupando i punti chiave e simbolici di Dublino. La ribellione venne sedata dopo appena sei giorni, ma nonostante la sconfitta, i ribelli non si persero d’animo e nelle elezioni generali del 1918 la maggior parte dei deputati eletti nelle circoscrizioni irlandesi erano nazionalisti del Sinn Féin, il movimento indipendentista irlandese. I deputati rifiutarono di occupare i propri seggi a Westminster e formarono un proprio parlamento, il Dáil Éireann, attraverso cui proclamarono la propria indipendenza. 

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Barricate durante la Rivolta di Pasqua

Il conflitto tra l’IRA (Irish Republican Army) e l’Impero Britannico assunse subito la forma di una guerriglia. Gli inglesi assoldarono al fianco della RIC (Royal Irish Constabulary) anche forze paramilitari: i Black and Tans e gli Auxies, che si distinsero per le loro pratiche illegali, come torture e saccheggi verso la popolazione civile. Inoltre, avevano creato una fitta rete di spie il cui compito era di infiltrarsi tra le fila dell’IRA. Erano per lo più agenti speciali, impegnati in passato in missioni in Egitto e Medio Oriente, per questo il gruppo era noto come The Cairo Gang

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The Cairo Gang

Per tutta risposta, Michael Collins, uno dei leader del Sinn Féin e Ministro delle Finanze dell’autoproclamato governo della Repubblica d’Irlanda, formò la squadra segreta de I Dodici Apostoli, una formazione di dodici volontari con il solo scopo di eliminare i membri della banda rivale. E quando la mattina del 21 novembre l’IRA attaccò la Cairo Gang, uccidendo tredici componenti, il Croke Park divenne un simbolo della causa irlandese.

Michael Collins
Michael Collins

La morte di quei soldati d’élite della milizia inglese scioccò i reparti militari unionisti, e la loro risposta non si fece attendere. Gli inglesi decisero di vendicarsi sulla popolazione quello stesso giorno. La scelta tra O’Connell Street e Croke Park ricadde su quest’ultimo. Quel giorno era in programma la partita di calcio gaelico tra Dublino e la contea di Tipperary. Il calcio gaelico era la rappresentazione dell’essenza irlandese, uno sport risalente al XIV sec. praticato solo su quell’isola e in nessun’altra parte del mondo.

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Locandina della partita Tipperary – Dublino

Allo stadio erano presenti più di cinquemila persone. Un’atmosfera calda, carica come una partita che sapeva di finale. I cori, gli applausi, gli incoraggiamenti verso i giocatori che stavano animando lo stadio ad un certo momento si stopparono. Silenzio. Squadre dei Black and Tans e degli Auxies entrarono nello stadio armati fino ai denti, altri avevano circondato la costruzione per evitare che qualcuno potesse scappare. Secondo la testimonianza di alcuni ufficiali, l’ordine era quello di controllare e perquisire ogni uomo nello stadio. Le autorità avrebbero dovuto annunciare al megafono a tutti i presenti di rimanere nei loro posti, ma alle 3:25 del pomeriggio, prima che fosse dato l’annuncio, partirono i primi colpi. Si conta che vennero sparate 228 pallottole in un minuto e mezzo. Fu una carneficina. Alcuni spararono alla folla dall’entrata del campo, altri aprirono il fuoco dal Canal Bridge, fuori la struttura verso gli spettatori che nel tentativo di fuggire scavalcarono il muro degli spalti. Mentre cresceva il caos, un blindato, munito di due mitragliatrici, completò l’opera sparando da St. James Avenue, la strada che costeggiava lo stadio. Il comandante delle forze unioniste, Major Mills, in seguito ammise che i suoi uomini erano “eccitati e fuori controllo”. Il conto fu di 12 persone uccise dagli spari, 2 uccise calpestate dalla gente in fuga e 65 feriti. Tra i caduti c’era Jane Boyle che era andata ad assistere la partita insieme al suo fidanzato; si sarebbero dovuti sposare 5 giorni dopo. Morirono anche Jerome O’Leary e William Robinson, ragazzi di 10 e 11 anni, e Tom Ryan, stava recitando una preghiera per dare l’ultimo saluto cristiano ad un compagno morto al suo fianco quando venne ammazzato. Vennero colpiti anche due giocatori, Jim Egan e Michael Hogan: il primo sopravvisse, il secondo no. 

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Prima pagina del The New York Times

Il massacro ebbe risonanza mondiale. Il Times, che aveva sempre mantenuto posizioni pro-unioniste, ridicolizzò la versione degli eventi fatta da una delegazione del partito laburista inglese in visita in Irlanda in quei giorni. Il Freeman’s Journal fece un parallelismo con il massacro di Amritsar avvenuto qualche mese prima. In quell’occasione le truppe inglesi aprirono il fuoco su migliaia di manifestanti indiani disarmati, radunati nel parco di Jalianwalla Bagh nella città di Amritsar: ci furono centinaia di morti e oltre 1.200 feriti. 

Quella giornata, che passò alla storia come Bloody Sunday (La domenica di sangue), non scoraggiò i ribelli irlandesi, anzi diede loro ancor più vigore e, soprattutto, aumentò notevolmente il sostegno della popolazione civile all’IRA e ai membri del Sinn Féin. Croke Park divenne il simbolo della resistenza irlandese. La tribuna principale venne intitolata a Michael Hogan, il giocatore morto durante l’eccidio, e nel 1931 la curva, la Hill 60 (un omaggio alla Battaglia di Gallipoli nella I Guerra Mondiale, che aveva assistito al tragico sacrificio di molti membri dei Royal Dublin Fusiliers al servizio dell’esercito britannico), venne ribattezzata Hill 16, in onore dell’Easter Rising. In quell’occasione Dan McCarthy, uno dei membri della GAA (Gaelic Athletic Association), l’associazione a capo di tutti gli sport gaelici e che dal 1913 è proprietaria del Croke Park, dichiarò come lo stadio fosse “un luogo sacro santificato dal sangue dei martiri irlandesi“.

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Da allora Croke Park più che uno stadio è diventato un santuario della cultura irlandese. Il solo entrarci è una presa di posizione. Croke Park significa schierarsi, dichiarare le proprie idee. Ancora oggi andare è un rito e pare che tutto lì dica: “Questa è l’Irlanda“. Fintan O’Toole, scrittore e critico letterario, ha scritto:

Se si vuole dare a un turista l’idea di tutto quello che di unico c’è in Irlanda lo si porta a Croke Park per una partita di football gaelico o, ancora meglio, di hurling. Se cento anni fa chiedevi a un tipico nazionalista irlandese cosa fosse davvero irlandese, avrebbero detto: la chiesa cattolica, la politica nazionalista, l’attaccamento alla terra, la lingua e la GAA. Tutto ciò che rimane di quell’orgoglio oggi è Croke Park.

Nel corso degli anni, sebbene lo stadio si sia aperto alla boxe (nel 1972 ci fu la sfida tra Alì e Lewis) e ai concerti, è rimasto un luogo invalicabile per gli sport inglesi. Nel 2000, quando la GAA rese indisponibile Croke Park, saltò la candidatura dell’Irlanda e della Scozia per ospitare gli Europei di calcio nel 2008. Un diniego sancito dalla Rule 42, la regola dello statuto della GAA che non solo vietava la possibilità di praticare sport non gaelici all’interno della struttura, ma prevedeva anche la radiazione di un tesserato scoperto a praticare sport rivali. 

Non riesco a conciliare le parole provocatorie di God Save The Queen cantante nello stesso stadio in cui Michael Hogan e altri sono morti per mano dell’esercito della Corona nella Bloody Sunday.

J.J. Barrett

Ma non tutto dura per sempre e in quest’ultimi anni le posizioni intransigenti sono diventante meno rigide. La svolta ci fu il 16 aprile 2005 quando in seguito alla ricostruzione del Lansdowne Road (oggi Aviva Stadium), le nazionale di rugby chiese ospitalità alla GAA in occasione del Sei Nazioni. Polemiche, divisioni, toni forti, spaccature interne. Non si trattava di una scelta sportiva, ma di una politica. Accettare significava per molti rinnegare il proprio passato, tutto quello in cui avevano creduto, in cui si erano identificati. Il 16 aprile ci fu la votazione per modificare temporaneamente la Rule 42. Vinse il “si” con appena 11 voti in più rispetto alla maggioranza richiesta. Ironia della sorte, la prima partita in calendario fu quella contro l’Inghilterra. Per la prima volta a Croke Park si sarebbe sentito God Save The Queen. Un colpo al cuore per tutti. J.J. Barrett, figlio di Joe, uno degli atleti più premiati nella storia della GAA ed eroe della guerra d’Indipendenza, chiese che gli venissero consegnate le 23 medaglie del padre, custodite nel museo.

La partita si giocò in un clima surreale anche perché, come per il cricket e l’hockey su prato, anche nel rugby l’Irlanda è un’unica nazione, include infatti anche le 6 contee dell’Irlanda del Nord. L’inno inglese venne cantato senza nessuna interferenza, ma poi fu il turno dei due inni (quando gioca la nazionale di rubgy vengono cantati sia l’inno dell’Eire, Amhrán na bhFiann, che quello della nazione unita, Ireland’s call). Tale fu la forza emotiva e la partecipazione di tutto lo stadio che John Hayes, recordman di presenze con la nazionale, piangeva. La partita finì 43-13 per i padroni di casa, la sconfitta più pesante degli inglesi nel Sei Nazioni.

Sapevamo l’enormità di quello che stava accadendo, portando il rugby sul sacro terreno del Croke Park. C’era troppo in gioco. Non si trattava solo di sport, ma dell’intero Paese.

Brian O’Driscoll, capitano della nazionale

Poi toccò al calcio, ma l’Irlanda di Trapattoni non ebbe la stessa fortuna perché di fronte c’erano i francesi e non gli inglesi. Ma un varco si era aperto e mentre molti della GAA, come da emendamento votato, volevano tornare alle regole originali, il partito del dialogo registrò sempre più consensi e alla fine vinse: Croke Park poteva aprirsi ad altri sport. In un processo ormai di riconciliazione tra irlandesi e inglesi iniziato nel 1998, nel maggio del 2011 la regina Elisabetta, in visita in Irlanda, si recò lì. E mentre Christy Cooney, presidente della GAA, faceva gli onori di casa, i rappresentanti delle contee dell’Ulster disertavano l’incontro. Perché nonostante tutto la storia non si cancella, e Croke Park rimane il simbolo della resistenza irlandese e gli altri rimangono inglesi.

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