Bob Greene, noto giornalista americano, una volta disse: “Il baseball non è più il passatempo nazionale da ormai molti anni – nessuno sport lo è. Il passatempo nazionale, che ti piaccia o no, è guardare la televisione.” Se provassimo ad ampliare il nostro sguardo, capiremmo che la critica di Greene è sempre più attuale; c’è nello sport una tendenza all’ imbarbarimento, ovvero un processo in cui l’aspetto meramente sportivo è sempre secondario rispetto ad uno commerciale. In alcuni casi, l’avanzare delle dinamiche economiche negli sport è così dirompente da cambiare le regole stesse e le modalità di fruizione. Pensiamo al calcio con i mondiali del Qatar che si giocheranno in inverno o al Super Bowl, diventato oramai, più che una finale di campionato, un dazibao vivente con spot televisivi e spettacoli ogni cinque minuti di gioco.
Eppure, in questa evoluzione, che sembra inarrestabile, esistono ancora degli sport che seppur coinvolti in logiche commerciali – viviamo in un periodo storico in cui qualunque attività attrattiva deve scendere a compromessi con le dinamiche di business – mantengono ancora una loro integrità di fondo; uno sport, in particolar modo: il cricket. Le regole di questo sport sono riassunte in un testo ufficiale, noto come le Leggi del cricket, che si apre con un’introduzione molto significativa:
Il cricket deve molto della sua unicità al fatto che dovrebbe essere giocato non soltanto secondo le proprie regole ma anche secondo lo Spirito di Gioco. Qualsiasi azione che sia vista come contraria a questo Spirito causa un danno al gioco stesso. La responsabilità principale di assicurarsi che il gioco sia condotto secondo lo spirito del fair play è dei capitani. Essere uniti ti consente di migliorare.
Questo testo non racchiude solo le regole tecniche del gioco, ma anche una serie di precetti morali, come il rispetto dell’avversario, che sono ritenuti intrinsechi al gioco stesso. Quelle che per gli altri sport sono indicazioni non scritte, che seguono il buon senso dei praticanti, qui sono delle regole, addirittura delle leggi, che ogni giocatore è tenuto obbligatoriamente a rispettare. Ad esempio, è vietato mancare di rispetto agli umpires (arbitri) e all’avversario – addirittura è vietato avvicinarsi all’arbitro con passo aggressivo – ed è severamente punito qualsiasi atto violento tra i giocatori. È un paradigma non banale al quale tutti gli sport dovrebbero tendere perché circoscrive la dimensione dello sport ancora in quella del gioco e del fairplay. Per questo il cricket è lo sport del gentleman, in cui la sfida non è solo contro l’avversario, ma anche con se stesso. Non a caso, è lo sport britannico per antonomasia ed è l’unico che non riesce ad integrarsi con il resto del mondo, ma rimane ancorato ai confini di quello che una volta era l’impero britannico e oggi è il Commonwealth. E sebbene sia uno sport non convenzionale ed estremamente democratico, ha alle spalle una storia ultracentenaria di conquista, sangue e rivalsa.
Probabilmente il cricket, tra tutti gli sport moderni, è quello più antico; si hanno riscontri sulla sua pratica già intorno al 1300 ed esistono diverse teorie sulla sua nascita. Una teoria suggerisce che le origini di questo gioco siano collegate alla modalità con cui i pastori inglesi difendevano il proprio gregge: lanciando delle pietre contro i ladri. Un’altra teoria fa risalire la parola criquet al fiammingo “krickstoel” (inginocchiatoio). Qualunque sia la sua origine è però, intorno alla fine del 1500 che si ha il primo riferimento alla pratica del cricket e il contesto è del tutto curioso. Infatti, la prima volta che il cricket compare ufficialmente in un testo è durante un processo, quando il medico legale John Derrick dichiarò di praticare il gioco del “creckett” durante il periodo in cui era studente alla Royal Grammar School di Guildford. E dal Cinquecento, con l’impero britannico in rapida crescita, molti espatriati portarono con loro il gioco in luoghi remoti come l’Australia, l’Africa, i Caraibi e l’India. Il cricket si stava internazionalizzando, diventando un simbolo distintivo degli invasori britannici. Per questo, al termine della guerra di secessione americana, il fervente clima nazionalistico che attraversò i riuniti Stati d’America spinse per avere un proprio gioco nazionale; così al cricket – sport molto seguito e praticato fino ad allora – gli americani preferirono il baseball.
Molte colonie usarono il cricket come forma di rivalsa sugli invasori inglesi. il 28 agosto 1882 gli albionici ospitarono gli australiani al The Oval di Londra, ottenendo una sonora sconfitta. Fu la prima sconfitta in casa della selezione inglese e tale fu il clamore di quel risultato che la rivista australiana Sporting News pubblicò un ironico necrologio per ricordare la “morte” del cricket inglese e sottolineare come le sue ceneri sarebbero state portate in Australia. Nel dicembre dello stesso anno, però, l’Inghilterra, capitanata dal conte Ivo Bligh, riacquistò il suo prestigio battendo i rivali sul loro territorio. Al termine dell’ultimo match, alcune signorine australiane si avvicinarono al conte per consegnargli una piccola urna all’interno della quale erano conservate le ceneri di alcuni bail (i paletti delle porte). Bligh la riportò in patria e l’opinione pubblica affermò che le ceneri erano state riconquistate. Da quell’episodio nacque il torneo The Ashes, la più antica competizione di cricket.
Ma ciò che quella sfida aveva dimostrato era la vulnerabilità, seppur su un piano sportivo, di una nazione che fino ad allora sembrava imbattibile sotto ogni punto di vista. Il punto di massima tensione si ebbe durante il periodo della Grande Depressione quando l’Inghilterra, in occasione del torneo The Ashes in Australia, per limitare lo strapotere del battitore australiano, Don Bradman – vero e proprio eroe nazionale per gli aussies – ideò la tattica del “Bodyline bowling”: una mossa particolarmente aggressiva che prevedeva il lancio della palla contro il corpo del battitore in modo da costringerlo all’errore. La sua natura intimidatoria, al limite della violenza, non si sposava affatto con lo spirito di uno sport che avrebbe dovuto sostenere le tradizioni dei gentiluomini, e, per questo, le relazioni tra i due Paesi divennero tese al punto che l’Australia minacciò l’uscita dal Commonwealth se l’Inghilterra avesse continuato a praticare questa tattica.
Altro momento in cui il cricket divenne epicentro di tensioni politiche fu durante la prima guerra indo-pakistana, quando, data la feroce rivalità tra l’India e il Pakistan, quest’ultimo non potè godere del Test status fino al 1952. Il Test status è il massimo grado che una nazione possa ricevere; è un privilegio riservato a pochi – attualmente questo status è concesso solo a 12 formazioni – e permette di disputare il Test cricket, la competizione più prestigiosa di questo sport. Il termine test è l’abbreviazione di “test of strength and competency” (prova di forza e competenza) ed, in effetti, ogni partita di questa competizione dura fino a 5 giorni.
L’unicità del cricket è tutta in questa sua indeterminatezza: non si sa quando una partita possa finire. Per questo, nonostante alcune modifiche alle diverse competizioni e l’introduzione di nuove per volere dei colossi televisivi come SKY, il cricket è ancora uno sport di “nicchia”, di difficile esportazione. Uno sport fortemente integralista che mal si concilia con una massificazione e mercificazione dei suoi costumi e delle sue usanze. E non c’è da stupirsi se nel cricket ad emergere non sono solo i giocatori professionisti e milionari, ma anche amatori e giovani atleti che solo con il loro talento e un po’ di fortuna riescono ad entrare nella storia di questo sport. È il caso del 15enne Pranav Dhanawade che è diventato il primo e unico giocatore nella storia del cricket a segnare più di 1000 punti in un singolo inning, superando un record che durava dal 1899.
Una notizia che ha fatto il giro del mondo – il Times gli ha dedicato un’intera pagina e la BBC lo ha messo fra le notizie in testa al notiziario del suo sito – a dimostrazione di quando questo sport sia un unicum. In A corner of foreign field (Picador, 2002), Ramachandra Guha racconta la storia del primo campione indiano, Palwankar Baloo, costretto per l’appartenenza alla sottocasta dei chamar a bere il tè da un recipiente di argilla da solo mentre i compagni di squadra lo sorseggiavano da tazze di porcellana. Eppure, grazie al cricket Baloo è diventato un simbolo, un orgoglio del Paese, a dimostrazione, come afferma Guha, di come questo sport sia stato nel tempo uno dei fattori più importanti per scalfire il sistema delle caste. Alla fine si potrebbe descrivere il cricket come uno sport democratico (ne è un esempio la prodezza del giovante Pranav e la storia di Baloo), d’onore (le sue leggi vengono prima di tutto) e distintivo (è legato alla cultura dei popoli che lo praticano). Uno sport da gentiluomini.