Allahverdi Bagirov

Allahverdi Bagirov, l’allenatore diventato soldato, il soldato diventato eroe

Quasi nel silenzio generale dalla fine di settembre nel Nagorno-Karabakh, un piccolo territorio tra l’Armenia e l’Azerbaigian, sono ripresi i combattimenti dopo 16 anni; una guerra che in poche settimane ha già causato quasi cinquemila morti, secondo le fonti russe. È un conflitto che ha lasciato indifferenti molti, ma non tutti. Come già raccontato, alcuni sportivi si sono sentiti direttamente chiamati in causa, e ognuno a suo modo ha cercato di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su quello che sta accadendo.

Le origini del conflitto sono antiche e legate a motivi nazionalistici: dal 1988 il movimento popolare armeno del Karabakh si è sviluppato con l’obiettivo di portare la regione, prevalentemente popolata da armeni, dalla giurisdizione azera a quella armena. In seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1989, le tensioni etniche tra armeni e azeri nella regione sono aumentate, degenerando in una guerra che ha causato 30mila morti tra il 1988 e il 1994. 

Quando ero corrispondente a Mosca mi spiegavano che ai tempi dell’Unione Sovietica al mitico Hotel Rossija, nella piazza Rossa, dove si tenevano gli incontri di tutta la diplomazia del mondo, era previsto che armeni e azeri fossero tenuti il più distante possibile tra di loro e non si incontrassero mai, nemmeno in ascensore, per evitare incidenti.

Francesca Sforza, ex capo degli Esteri ed ex corrispondente da Mosca per La Stampa

Nonostante il cessate il fuoco nel maggio del 1994, l’ostilità diplomatica tra le due regioni del Caucaso non ha perso di vigore. Lo scorso anno durante la partita di Europa Legue, giocata in Lussemburgo, tra il Dudelange e il Qarabağ, nota squadra azera, un drone con la bandiera armena atterrò sul campo; l’arbitro fu costretto a sospendere la partita per diversi minuti e il capitano, Rashad Sadygov, ricevette in seguito le scuse ufficiali del Ministro dello Sport lussemburghese.

È un episodio significativo che fa ben capire come gli scontri di queste settimane siano il proseguimento di una guerra, in realtà, mai terminata. Una guerra che ha avuto anche i suoi eroi; uno fra tutti: Allahverdi Bagirov.

Allahverdi Bagirov

Sette figlie sono nate prima della sua nascita, per questo i genitori lo hanno chiamato Allahverdi (“Dio ha dato”). La sua storia è strettamente legata alle sorti della sua città natìa, Ağdam, la città fantasma più grande del mondo, conosciuta anche come la Hiroshima del Caucaso. Prima della guerra Ağdam era un importante centro della regione del Karabakh, a maggioranza azera. Negli anni Settanta Bagirov diventò uno degli atleti di riferimento della città, prima nell’atletica e nella pallavolo e poi nel calcio, militando nel Qarabağ e diventandone l’allenatore nel 1976.

È stato il mio primo allenatore di calcio. Allahverdi Bagirov ci ha insegnato ad essere gentili e onesti. È stato un grande modello per molti calciatori.

L’ex leggenda del calcio azero, Mushfig Huseynov

Dimostrò di essere un allenatore capace, esperto, ma con le prime avvisaglie della guerra emerse in lui un senso paterno verso i suoi giocatori in contrato con il suo patriottismo. Quando nel febbraio del 1988 gli attacchi terroristici degli armeni sfociarono in un’offensiva militare verso il Karabakh, i giocatori smaniarono per arruolarsi.

I calciatori non combattono. Siete le uniche persone che possono regalare un momento di svago alla nostra gente, il vostro posto è in campo.

fu la risposta dell’alto comando e di Allahverdi. Ma questo valeva per i suoi giocatori non per lui. In quello stesso anno, insieme a suo fratello Eldar, si arruolò volontariamente nell’esercito azero. Con il supporto della gente di Ağdam, finanziò di propria tasca la formazione di piccoli gruppi di autodifesa nei villaggi limitrofi. Allahverdi era il meno noto dei fratelli Bagirov: mentre Eldar diventava presidente del Fronte popolare di Ağdam e capo dei Figli della Patria, unità militare di 760 persone il cui obiettivo era la difesa del distretto di Ağdam, l’ex allenatore preferiva muoversi dietro lo quinte. Era un uomo al servizio della sua gente. Quando, però, suo fratello fu ucciso in un attentato davanti la sua casa, Allahverdi ne prese il posto. Era il 1991 e la guerra era al suo apice. 

Ağdam
I resti della città di Ağdam

26 febbraio 1992. Le forze armene organizzarono un’offensiva per conquistare il piccolo paese azero di Khojaly, la cui posizione strategica era fondamentale per mantenere in sicurezza l’unico corridoio terrestre tra la repubblica autonoma del Nagorno-Karabakh e l’Armenia. I veicoli corazzati armeni del 366° circondarono la città e iniziarono a bombardarla. Sebbene avessero garantito un corridoio d’uscita per gli abitanti, distrussero l’aeroporto e l’attacco causò la morte di 613 civili, di cui 106 donne e 83 bambini. Allahverdi con il suo battaglione riuscì a salvare 1003 tra rifugiati e prigionieri.

Durante lo scambio di prigionieri si sono verificati eventi straordinari. Allahverdi Bagirov ha abbracciato uno dei prigionieri armeni e, guardando dritto alla telecamera, ha detto che quell’uomo, per molti anni, era stato un suo compagno di squadra. Al momento dello scambio, il soldato armeno ha detto ad Allahverdi che sperava di non essere mai più su fronti opposti con lui.

Emin Eminbeyli, giornalista di guerra

I successi di Bagirov continuarono (fu insignito del titolo di “Generale Mohammed Asadov” per una missione nel villaggio armeno di Ketuk) fino al 12 giugno del 1992, quando ritornando ad Ağdam insieme al suo autista la loro auto investì una mina anticarro. 

Quando abbiamo saputo della sua morte, non siamo riusciti a trattenere le lacrime. Durante una delle partite, abbiamo tenuto un silenzioso tributo ad Allahverdi Bagirov e un missile Grad ha colpito il campo dello stadio… ma nessuno dei calciatori si è mosso. Ognuno rimase immobile al suo posto 

Elshad Khudadatov
Nagorno-Karabakh
Scene di ordinaria follia durante gli scontri nel Nagorno-Karabakh

Si racconta che dopo aver appreso della sua morte, un comandante armeno contattò i soldati azeri per chiedere la conferma della notizia. Quando seppe che era vera chiese con stupore e amarezza: “Com’è possibile che non siete riusciti a salvare un uomo simile?

Un anno dopo la città di Ağdam venne distrutta, una settimana dopo la sua squadra, il Qarabağ, si laureò campione dell’Azerbaigian.

Non ci fu nessuna festa al fischio finale. Parte della squadra si mise in macchina e corse ad Ağdam, a cercare amici e famigliari tra i rifugiati. Io e un compagno andammo sul boulevard di Baku, comprammo una lattina di coca da un ambulante e ce la bevemmo guardando il Mar Caspio

Aslan Kerimov, oltra 150 presenza con il Qarabağ

La distruzione della città e del suo stadio, Imarat, determinò anche l’esilio del Qarabağ che dopo diverse vicissitudini ora gioca stabilmente nello stadio di Baku, la capitale dell’Azerbaigian.  Il 23 giugno 2009 per celebrare il 16° anniversario della caduta di Ağdam, prima della partita con il Rosenborg, venne chiesto a un delegato UEFA di osservare un minuto di silenzio. “Chi è morto?“, chiese. “Migliaia di persone” fu la risposta.

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