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Gigi Proietti, maschera del vizio dello sport tutto italiano

L’Italia piange la scomparsa di Gigi Proietti, figura centrale della cultura e della vita italiana; soprattutto, a piangere la dipartita del grande attore è Roma, la sua Roma. Gigi Proietti ha raccontato al meglio il cuore di una città stratificata di storia, cultura e metamorfosi: la Roma imperiale della cultura e della giurisprudenza, la Roma attaccata al cuore da imperatori stranieri e protetta da papi e cittadini, la Roma inerte di fronte alla morsa nazi-fascista, la Roma popolare delle osterie, la Roma dei furbetti e dei poveracci che provano a restare attaccati al capezzolo della mamma, proprio come i fondatori della città con la lupa e la Roma dei tifosi e degli scommettitori. Di tutte queste facce Gigi Proietti è stato maschera e interprete.

Una maschera diversa da quella da quella di Alberto Sordi, altro grandissimo pezzo di storia della città. Pur essendo grandi amici ed estimatori a vicenda i due attori affrontavano con delle sostanziali differenze il proprio ruolo. Se Alberto Sordi ha sempre rappresentato la maschera dentro la città con le sue mille interpretazioni, i mille travestimenti, Gigi Proietti ha portato il teatro, la cultura alta vicino alla commedia popolare, nascondendo la propria altezza dentro l’utilizzo del vernacolo e della parodia. Nascoste tra le imitazioni e le maschere, Gigi Proietti raccontava si i vizi e i difetti dei suoi concittadini, ma sempre avendo lo sguardo altrove con un carattere che era sempre diverso dall’immedesimazione pura.

E non si può creare un ritratto dell’uomo e dell’artista senza parlare della passione sportiva che ha animato sempre, fino alla fine, la vita di Gigi Proietti e che forse meglio  di altri aspetti ci dà il senso del lavoro dell’artista. Se da un lato c’è l’artista che ha interpretato ruoli legati al mondo sportivo, dall’altro c’è l’uomo che ha vissuto lo sport più che come una passione, come una metafora della vita. Spesso le due strade si incrociavano in un connubio fantastico che permetteva sia all’arte della recitazione di giocare dei tic sportivi, sia alla sport di godere di una filosofia spicciola fatta di vizi, quotidiana, voglia di rivincita e speranze, ma anche di inchiesta.

Se Alberto Sordi ha sempre rappresentato la maschera dentro la città con le sue mille interpretazioni, i mille travestimenti, Gigi Proietti ha portato il teatro, la cultura alta vicino alla commedia popolare, nascondendo la propria altezza dentro l’utilizzo del vernacolo e della parodia.

Rimarrà come ovvio un paragone di bravura attoriale il personaggio di Bruno Fioretti, detto Mandrake, ritratto sin troppo veritiero di tanti volti italiani che frequentavano gli ippodromi durante gli anni Settanta e Ottanta. In Febbre da cavallo c’è tutto, c’è un’Italia che affronta il post boom economico, le aspettative tradite e le speranze inaudite.

Proietti non interpreta Mandrake mettendosi al livello degli altri scommettitori: Mandrake ha un cervello fino, è un manipolatore, è colto. Il film infatti si divide bene in due fasi: La prima è una descrizione degli scommettitori e della loro vita fatta di menzogne e affarucci, la seconda è affidata al talento teatrale di Gigi Proietti E potremmo definirla un’Apologia dello scommettitore. La scena finale in cui Mandrake di fronte alla sbarra degli imputati, come un moderno Socrate, cerca di raccontare le sensazioni degli scommettitori nell’aula di un tribunale, porta a due ribaltamenti di fonte esilaranti: il giudice si scopre uno scommettitore, la fidanza di Mandrake ha in tasca la scommessa vincente pur essendosi sempre dichiarata contraria al gioco d’azzardo.

Curioso notare i tratti simili tra il monologo accorato di Proietti in Febbre da Cavallo ed una delle pièce predilette dall’attore romano ovvero L’apologia di Socrate, lavoro che aveva portato a teatro con grandissimo successo, forte proprio di quella capacità di parlare di temi complessi con la voce del popolo.

Da questa raffinatezza stilistica vissuta a teatro e al cinema oltre che in tivù, Gigi Proietti passa ad una semplicità nella vita di tutti i giorni, trasparenza di sentimenti ed emozioni, anche se sempre mediati da un’innata classe. Semplicità è la parola chiave anche per capire l’amore che legava l’attore alla sua città e alla squadra della sua città, la Roma.

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Gigi Proietti insieme a Lino Banfi e all’ex presidente della Roma, Franco Sensi

Era famosa l’abitudine di Proietti di rimandare le prove se erano programmate in concomitanza con le partite della Roma; una sorta di organizzazione delle complessità della vita, scandita dal calendario calcistico. Passione quella per la Roma che più volte Proietti ha raccontato e su cui spesso si è espresso, arrivando ad assimilare l’amore per la propria squadra a quello per il tragico in teatro nei momenti più infelici per i giallorossi. Famosa l’intervista di un anno fa in cui l’attore raccontava della speranza di poter rivedere uno scudetto sul petto della squadra giallorossa. Intervista che riletta oggi fa venire il magone e che pure racconta così bene una figura gigantesca della cultura italiana che legava il proprio tempo a quella della squadra del cuore.

La Roma negli ultimi dieci anni è quasi sempre stata una tragedia! Ma noi che amiamo il teatro riusciamo ad amare anche lei

Giocando un po’ con la sostanza della vita, verrebbe da chiedersi cosa avrebbe fatto il giorno del suo funerale lo stesso Gigi, verrebbe da chiedersi se avrebbe riso anche di questo momento tragico. Fa ridere con le lacrime agli occhi allora riascoltare oggi la barzelletta in cui Gigi Proietti racconta del posto vuoto allo Stadio di fianco ad un marito distrutto dal dolore per la morte della moglie, compagna di mille partite. La chiusa é amara, il funerale si svolge proprio mentre la Roma scende in campo: il marito ha abbandonato la moglie per seguire la partita. Questa forse è l’ironia con cui Gigi Proietti avrebbe salutato tutti: un sorriso leggero, una parola colta e le luci del sipario che si spengono.

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