tyson fury

Tyson Fury: una vita ad ostacoli

Qualunque sia l’angolo di visuale o l’eventuale posizione pregressa a riguardo, è difficile sfuggire a una sensazione forte innescata da Tyson Fury: sembra andarseli a cercare lui, i problemi. Li punzecchia con un rametto come fa un bimbo discolo con il corpo inerte di un ranocchio, come se un percorso lineare risulti monotono, in grado di scoraggiarne gli entusiasmi. Fu così nel 2016, a breve distanza dalla trionfale notte di Düsseldorf, con Fury fresco campione del mondo dei pesi massimi ai danni di Wladimir Klyčko. È una macchina perfetta, l’ucraino. Potenza, tecnica, controllo. Ma – appunto – è una macchina. Mentre Fury – per tutti Gipsy King – sembra nato per viverci sul ring: la sua mobilità, la sua naturalezza, gli scatti fulminei, impossibili da prevedere.

A questo punto è lì, in alto, può solo confermarsi. Potrebbe farlo subito, perché gli accordi erano per un re-match a luglio, ma quell’appuntamento non arriverà mai. Due rinvii di fila, sospetto il primo, inevitabilmente palese il secondo: Fury è positivo alla cocaina. La licenza da pugile viene sospesa, i titoli conquistati fino a quel momento diventano vacanti. Per lui inizia una battaglia personale contro droga, alcol e depressione, in un meccanismo che vede droga e alcol come rimedio proprio alla depressione:

Ho usato cocaina e alcol per combattere la depressione. Sono andato in giro a ubriacarmi dal lunedì al venerdì, poi fino alla domenica. In più, ho assunto cocaina. È che non riesco a combatterla, l’unica cosa che mi aiuta è andare fuori di testa ubriacandomi. Dicono che ho una forma di bipolarismo: sono un maniaco depressivo. Spero solo che qualcuno mi uccida, prima di uccidermi io.

La sua scioccante intervista rilasciata alla rivista Rolling Stone nell’ottobre del 2016

Passano 3 anni per un pieno recupero, anni di alti e bassi, di uscite razziste e omofobe alternate a dichiarazioni d’amore al mondo, anni di foto ai limiti dell’immaginabile, con un Fury obeso che trascina a fatica 160 chili di talento sprecato. Quando rientra, nel 2018, ci vuole poco a capire che si riprenderà molte cose in fretta. Il 22 febbraio del 2020 stravince il re-match contro Deontay Wilder dopo un primo draw, aggiudicandosi la cintura WBC dei pesi massimi. Si parla già di un incontro ai vertici con Anthony Joshua, un “unification match” che possa incoronarlo re della boxe mondiale. A questo punto, però, Wilder e il suo staff incalzano: hanno correttamente esercitato la clausola di rivincita del contratto, e un terzo combattimento deve necessariamente esserci.

tyson fury

Gli accordi però non si trovano. I primi tentativi dei due staff di venirsi incontro falliscono, e presto diventa baruffa: Wilder accusa Fury di aver truccato i suoi guantoni caricandoli di peso, la Commissione smentisce. Intanto però, il pugile di Manchester sembra prendere accordi per un altro match: il 5 dicembre a Londra contro il tedesco di origini curde Agit Kabayel.

Le polemiche si dilatano. Come se non bastasse, Fury avvelena ancor di più l’atmosfera chiamando in causa i fratelli Klitschko su Twitter: “Mi sarebbe piaciuto prendere a calci in culo anche lui”, scrive riferendosi apparentemente a Vitaly. A rispondere in ogni caso è Wladimir con pesanti accuse a Fury di aver fatto ritorno alle dipendenze da droga e alcol, per le quali i media ringraziano:

Ragazzi, purtroppo sembra che Tyson Fury stia di nuovo abusando di sostanze. La storia mostra che quando beve e si droga tende ad andare oltre il limite con affermazioni irrazionali, sessiste, razziste. La verità è che “il calcio in culo a Klitschko” è fantasia pura per lui. Di fronte a Klitschko lui fugge, come è fuggito dalla rivincita… bastava dire di no, amico…

Con palese riferimento al re-match congelato nel 2016, proprio per via dei problemi di Fury, Klitschko innesca un altro, ennesimo polverone. Si complica non poco il percorso del Gipsy King, ancora una volta intento a punzecchiare il ranocchio morto, complicando un quadro che potrebbe stavolta davvero condurlo al gradino più alto della boxe mondiale.

Ma per Fury – cresciuto in Irlanda da una famiglia di circensi girovaghi con radici gitane, figlio di un rude combattente a mani nude, preda di pregiudizi continui, attacchi di matrice razzista e quotidianità di fame vera – sembra quasi trovare disagevole e forse addirittura insoddisfacente portare avanti un percorso lineare, privo di dossi. Sembra in fondo volere molto di più di una banale vittoria, come evidente nel corso del post-match contro lo stesso Wilder nella sequenza un po’ al limite in cui lecca il sangue del suo avversario. Attendendo che gli sviluppi raccontino novità, c’è solo da sperare che, d’ora in poi, qualunque cosa accada a Fury accada sul ring.

About

Zeta è il nostro modo di stare al mondo. Un magazine di sport e cultura; storie e approfondimenti per scoprire cosa si cela dietro le quinte del nostro tempo,

Altre storie
marcelo bielsa
Marcelo Bielsa, elogio della sconfitta e della bellezza