calcio prima guerra mondiale

Il calcio nell’oblio

Come il calcio divenne protagonista durante la Prima Guerra Mondiale

È il 24 aprile 1915 quando a Manchester lo Sheffield United affronta in finale di FA Cup il Chelsea. Si gioca in un clima surreale: sugli spalti la maggior parte dei 50mila spettatori sono soldati, giovani reclute con i colletti dei pesanti soprabiti alzati per ripararsi dalla pioggia, e feriti di rientro dai primi mesi di guerra. Tutti si stanno godendo gli ultimi momenti di apparente tranquillità prima di partire per il fronte; a 560 chilometri di distanza altri loro coetanei sono già bloccati nelle trincee lungo le Fiandre.

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Esiste una foto che ritrae una porzione di quegli spalti e ci dà un’idea di come il calcio durante la Grande Guerra fosse più di un semplice sport; per citare Brian Phillips: “la storia del calcio nella Prima Guerra Mondiale è la storia di una metafora fallita”. Il confine tra calcio e guerra in quel momento non era così definito, e spesso la propaganda militare lo usava per offrire ai soldati un modo di comprendere quello che stava accadendo e dare un senso anche al proprio destino. Così mentre a Manchester si giocava una finale, a Ypres i soldati canadesi scoprivano che mettersi sul viso uno straccio bagnato della propria urina gli aiutava a contrastare gli effetti delle armi chimiche che i tedeschi stavano usando. Era una guerra nuova, dove si rimaneva chiusi per mesi in trincee di fango e pietre senza aver contatti con il nemico, ma solo sentendolo. Per questo serviva un nuovo modo di infervorare gli animi, di raccontare la guerra, di comprenderla.

Ypres Salient
Il campo di battaglia di Ypres Salient (Credits: James Francis Hurley)

La crescente popolarità del calcio ne faceva uno strumento di comunicazione di massa, facile preda della propaganda bellica, soprattutto in Inghilterra, dove questo sport era diventato intrinseco allo spirito nazionale. Non è un caso che molti manifesti di reclutamento usassero la metafora della partita. C’era anche una componente cinica in questo tipo di comunicazione: gli spalti erano pieni di ragazzi e uomini, materia prima della guerra. E sebbene all’inizio si era manifestata la volontà di continuare con il calcio professionistico al fine di tenere alto il morale del pubblico, ben presto l’opinione pubblica si rivolse contro il gioco professionistico, chiedendo ai club di smettere di giocare per permettere ai loro calciatori di partire per il fronte. Sir Arthur Conan Doyle scrisse: “Se un calciatore ha la forza negli arti, lascialo servire e marciare sul campo di battaglia“. A causa di questa pressione, la presenza media della Football League nella stagione 1914-15 scese a 9.980 rispetto ai 16.359 della stagione precedente.

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Se un calciatore ha la forza negli arti, lascialo servire e marciare sul campo di battaglia

Sir Arthur Conan Doyle

Celeberrimo fu il caso del Football Battalion, un’unità speciale voluta da William Joynson-Hicks, membro ultra-conservatore del Parlamento britannico, e composta esclusivamente da calciatori – tra i quali l’intera squadra del Clapton Orient –  e i loro tifosi, che avevano l’opportunità di servire vicino ai loro idoli. Il battaglione partecipò a molte cruciali battaglie (tra cui quella di Arras nel 1917) in cui persero la vita più di mille membri.

Sir William Joynson-Hicks
Sir William Joynson-Hicks

All’inizio la narrazione che si diede della guerra fu quella di un conflitto veloce e, pertanto, molte reclute sognavano di tornare in patria già entro Natale – molti si erano portati da casa addirittura dei palloni, nascondendoli nello loro sacche. Il conflitto, da entrambi gli schieramenti, iniziò con uno spirito di innocenza, come “una breve versione armata dei Giochi Olimpici“, per citare Osbert Sitwell; i soldati lo vedevano al pari di una competizione sportiva. Al Marlborough College i ragazzi immaginavo la guerra come “una glorificata partita di calcio in cui, se la pace non fosse arrivata, avrebbero potuto prendere i posti vacanti nella squadra inglese“. Lord Northcliffe, magnate dell’editoria, elogiò le truppe britanniche per aver combattuto “con lo stesso entusiasmo allegro che avrebbero dimostrato per il calcio“, e quando i tedeschi a Ypres iniziarono a far uso dei gas di cloro, la stampa inglese li criticò per aver avuto un’idea antisportiva del gioco.

Molte reclute sognavano di tornare in patria già entro Natale – molti si erano portati da casa addirittura dei palloni, nascondendoli nello loro sacche.

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Ma una volta sul campo di battaglia, i soldati ebbero una visione del tutto diversa. La guerra non si può umanizzare, perché non c’è nulla di umano in essa. Eppure, il calcio rivestì ancora un ruolo fondamentale. JG Fuller, autore di Troop Morale and Popular Culture in the British and Dominion Armies 1914-1918, ha stimato che tre quinti del tempo medio di un soldato erano dietro la prima linea, e la maggior parte di esso era dedicato al calcio. Non è un caso che il pallone sia un elemento frequente in tutte le foto dei battaglioni, soprattutto delle reclute: giovani sbarazzini e sorridenti con i loro capelli laccati e un pallone da calcio nascosto tra i piedi dell’uomo al centro.

Il battaglione McCrae
Il battaglione McCrae

Ma il celebre episodio della Tregua di Natale in cui, in diverse zone del fronte, soldati inglesi e tedeschi deposero per un momento le armi e fraternizzarono tra loro, giocando a calcio il giorno di Natale, è un lampante esempio di come il calcio fosse per quei soldati più di un semplice passatempo. Fu un episodio che creò non pochi malumori nell’alto comando, anche perché all’inizio i comandanti non vedevano di buon occhio tutto questo fervore per il calcio. Il generale Douglas Haig, futuro comandante in capo dell’esercito britannico sul fronte occidentale, si lamentò con il generale James Jack perché gli uomini in servizio di ronda si addormentavano perché “giocano a calcio durante il giorno“.

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Ben presto, però, i generali dovettero ricredersi e iniziarono ad apprezzare i vantaggi militari del gioco nel “migliorare la forma fisica, alleviare la noia, fornire distrazione dagli orrori della guerra e costruire le relazioni ufficiali-uomini e lo spirito di corpo“, come Tony Mason ed Eliza Riedi scrivono nel loro studio Sport and the Military: The British Armed Forces 1880-1960. 

Fu così che costrinsero i contadini francesi a costruire dei piccoli campi da calcio in cui le truppe potevano organizzare dei tornei. Com’è facile intuire, i francesi non la presero bene e più d’una volta si lamentarono al punto che un ufficiale britannico riferì: “Me l’ha detto un vecchio che francamente preferirebbe avere i tedeschi che noi.” Giocare e supportare il plotone, la compagnia e il battaglione di appartenenza aiutò a creare un legame di fratellanza sia tra i soldati semplici che tra questi e gli ufficiali. Le partite erano una distrazione nei periodi di noia e una consolazione nei periodi in cui i combattimenti erano intensi e devastanti. La partitella di calcio era qualcosa in cui un soldato poteva perdersi e dimenticare per un po’ l’angoscia della morte e la solitudine delle trincee infestate da topi e pidocchi. 

London Terriers
La squadra di calcio dell’Army Service Corps, conosciuta come “London Terriers” – Francia 1917

Quante volte si è visto un battaglione uscito a pezzi dalla linea Ypres Salient riprendersi calciando un pallone? Ha avuto un effetto magico sul morale.

Generale Charles Harington

Ma il calcio era anche un modo per sentirsi a casa. I nomi delle squadre dei battaglioni prendevano in prestito i soprannomi delle squadre inglesi. Così era facile imbattersi in una partita tra i Brewers, squadra del 6° battaglione, e i Potter, team del 5° battaglione che prese il soprannome dello Stoke City.  Il poeta Siegfried Sassoon, che servì come ufficiale sul fronte occidentale, raccontò di come leggeva ai suoi uomini notizie sulle squadre inglesi per mantenerli calmi prima di un attacco.  Il 1° luglio 1916 il capitano Wilfred Nevill diede a ciascuno dei suoi quattro plotoni un pallone da calcio e promise un premio al primo che avrebbe calciato il suo pallone nella prima linea tedesca. Un sopravvissuto ricorda l’episodio:

Mentre il fuoco delle armi si spegneva, vidi un fante arrampicarsi sul parapetto nella terra di nessuno, invitando gli altri a seguirlo. Mentre lo faceva, ha lanciato un pallone da calcio. Un bel calcio. La palla si alzò e andò verso la linea tedesca. Quello sembrava essere il segnale per avanzare.

Quell’episodio è passato alla storia come The Football Assault a cui venne dedicata persino una poesia, The Game:

On through the hail of slaughter
Where gallant comrades fell,
Where blood is poured like water,
They drive the trickling ball.
The fear of death before them
Is but an empty name;
True to the land that bore them
The SURREYS play the game.

Il calcio non era solo al fronte, era dappertutto, anche in Inghilterra, lontano dai campi di battaglia. In una terra ormai sempre più priva di maschi, il ruolo della donna cambiò radicalmente. I lavori degli uomini vennero svolti dalle loro mogli, madri o figlie. Si conta che il numero di donne occupate passò da 3.224.600 nel luglio del 1914 a 4.814.600 nel gennaio del 1918. Le operaie nelle fabbriche iniziarono a giocare a calcio durante le pause pranzo, e incoraggiate anche da David Lloyd George, il Primo Ministro britannico, le partite divennero sempre più frequenti; molte di queste servirono a raccogliere fondi per le organizzazioni benefiche a supporto dei feriti di guerra. La maggior parte delle squadre erano formate da donne che lavoravano nelle fabbriche di munizioni e per questo in tutto il Regno Unito le giocatrici vennero soprannominate le munitionettes. Alla fine della guerra la maggior parte di esse perse il lavoro e le squadre si sciolsero. David J. Williamson in Belles of the Ball scrisse:

Era estremamente difficile per molti uomini accettare l’idea che le donne giocassero a quello che consideravano il loro sport. Coloro che erano stati al fronte durante la Grande Guerra non avevano alcuna idea di come il Paese stesse cambiando in loro assenza; come il ruolo delle loro donne all’interno della società stava cominciando a trasformarsi in modo drammatico, rispondendo all’opportunità che gli era stata data.

Le Jarrow Ladies, vincitrici della Munitionettes Cup nel 1918. (1)
Le Jarrow Ladies, vincitrici della Munitionettes Cup nel 1918.

Il racconto della guerra come una competizione sportiva si spense con le prime pallottole, ma il connubio calcio-guerra dimostrò qualcosa che nessuno poteva ancora capire. Immagini di soldati che giocavano con le maschere antigas, uomini senza arti che rincorrevano un pallone, ragazzi con le stampelle e gli elmetti che si sfidavano con una palla di pezza e fango: la guerra aveva annientato intere generazioni di ragazzi, lasciato cicatrici indelebili, ma per quei soldati era l’unica àncora di innocenza rimasta, una parvenza di normalità in un inferno.

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