Il ritorno di Datome e Belinelli

Il ritorno di Datome e Belinelli

Non solo soldi: progetti e allenatori dietro i ritorni italiani di Datome e Belinelli

Il più grande giocatore italiano della storia”. Così Massimo Zanetti, proprietario di Segafredo e patron della Virtus Bologna, ha definito nel giorno della sua presentazione Marco Belinelli, campione NBA coi San Antonio Spurs nel 2014 e giocatore delle V nere per i prossimi tre anni.

Tralasciando ogni giudizio sull’adeguatezza delle considerazioni esternate dall’imprenditore trevigiano, il rientro in Italia del nativo di San Giovanni in Persiceto dopo 13 stagioni NBA costituisce certamente non solo un evento dal forte richiamo mediatico, ma anche una notevole ed importante spinta a tutto il movimento cestistico italiano, la seconda di questa portata negli ultimi cinque mesi dopo l’approdo agostano di Gigi Datome all’Armani Exchange.

Come prima e più di prima, quindi, si torna a parlare di Virtus Bologna e Olimpia Milano, le due società più titolate in Italia ma, soprattutto, quelle che al momento rubano le maggiori dosi di attenzione, considerati i rinforzi apportati ai propri roster negli ultimi mesi e, di conseguenza, l’innalzamento del livello tecnico e il maggior appeal assicurati al primo campionato nostrano con le loro operazioni.

Se, però, i migliori e più conclamati esponenti della nostra pallacanestro in età contemporanea hanno deciso di tornare a bruciare le retine del Bel Paese dopo anni lontani da casa, non lo si deve a un gesto di spontanea bontà nei confronti del basket tricolore (non esattamente tra i più in salute e tra i più spettacolari di recente): se Milano e Bologna sono riuscite a confezionare questi illustri ritorni è perché un insieme di fattori concatenati, agendo su più livelli, ha convinto due dei cestisti italiani di maggior spicco a riabbracciare il pubblico dello Stivale.

Innanzitutto, è evidente che se Datome e Belinelli sono potuti tornare ad illuminare la nostra A1 è per la presenza di qualcuno che, è inutile tacerlo, poteva assorbire il peso dei loro contratti. Armani e Zanetti in questo senso rappresentano due certezze, e il fatto che il numero 3 della Virtus e il 70 di Milano siano planati in queste località è certamente frutto dell’impegno economico (e non solo) che questi due facoltosi proprietari si sono assunti per dare un futuro vincente e radioso ai propri club.

La componente economica, seppur indubbiamente importantissima per un business come quello della pallacanestro e, più in generale, per mettere a segno due colpi di questa caratura, non è però la sola che ha fatto propendere i due azzurri per il ritorno nel loro Paese d’origine. Anzi, nel caso di tutti e due i giocatori in questione, forse, vi sono altre due variabili che possono essere considerate altrettanto se non addirittura più influenti di quella monetaria.

In primo luogo entrambi, commentando le motivazioni alla base della loro scelta, hanno parlato di “progetto”, un termine spesso usato a sproposito o non approfondito come si dovrebbe. Nelle specifiche circostanze di Belinelli e Datome, però, l’utilizzo è quanto mai coerente e appropriato: l’idea di Milano è quella, dopo proclami e stagioni infruttuose, di tornare a dominare in Italia e avvicinare il gotha del basket europeo; Bologna, invece, consapevole dell’ingombrante presenza biancorossa, si professa altrettanto ambiziosa ma è più cauta, punta all’Eurolega vincendo l’Eurocup, mentre in Italia vuole provare fino in fondo a dare fastidio a tutti (Olimpia compresa) senza porsi limiti.

La componente economica, seppur indubbiamente importantissima per un business come quello della pallacanestro e, più in generale, per mettere a segno due colpi di questa caratura, non è però la sola che ha fatto propendere i due azzurri per il ritorno nel loro Paese d’origine.

Sposando questi obiettivi e convinti chiaramente di poter recitare un ruolo importante nel dare sostanza a queste ambizioni virtuali, Datome e Belinelli hanno implicitamente riconosciuto la bontà di progetti che poggiano su solide basi e che non sono frutto di dichiarazioni estemporanee, ma bensì di attente valutazioni e oculate pianificazioni fatte in tempi antecedenti il loro arrivo. Fra queste è da annoverare anche la scelta di affidarsi a livello tecnico a due allenatori di personalità che, ognuno a modo proprio, hanno scritto pagine indelebili del basket continentale e che, per Belinelli e Datome, hanno rappresentato un altro incentivo a scegliere Virtus e Olimpia: Ettore Messina e Sasha Djordjevic.

ettore messina
Ettore Messina

Il primo, approdato sotto la Madonnina con pieni poteri dopo la gestione Pianigiani, ha allenato Gigi in Nazionale e può essere meritatamente inserito, per palmares e capacità di plasmare le sue squadre, nel novero dei migliori coach europei. Datome, visti i tanti cambiamenti in seno al Fenerbahce, la scelta di Obradovic di prendersi una pausa e il contemporaneo ritorno di Messina da questa parte dell’Oceano, ha riconosciuto nell’allenatore catanese la guida tecnica a cui affidarsi tecnicamente in questo suo (ultimo?) scampolo di carriera per continuare ad alzare trofei con una certa costanza.

Il secondo, alla guida della Serbia vicecampione olimpica, mondiale ed europea, ha intrattenuto col bolognese lunghi (e a posteriori proficui) scambi di messaggi, insinuandogli un tarlo che poi lo ha portato, alla luce di offerte NBA non ritenute valide per sostanza e durata, ad accettare la fulminea offerta della Virtus. Qui, oltre a Djordjevic, l’ex Spurs troverà il talento di Teodosic, un giocatore con cui si dividerà le maggiori responsabilità in caso di successo (o insuccesso) e che, comunque, gli permetteranno di mantenere alto il livello del suo gioco evitando ogni rilassamento di sorta.

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I contesti tecnico-ambientali costruiti da Olimpia e Virtus dunque, con Messina e un roster ultra competitivo da una parte, Djordjevic, Teodosic e il fascino di Basket City dall’altra, sono riusciti a solleticare nella maniera giusta l’appetito agonistico e la voglia di ritorno dei due veterani di Italbasket, nelle cui decisioni finali, però, non può non aver inciso anche un ultimo rilevante fattore: la sfera degli affetti e la vicinanza familiare.

Datome e Belinelli hanno implicitamente riconosciuto la bontà di progetti che poggiano su solide basi

Per entrambi, infatti, riallacciare il filo interrotto con il basket italiano rappresenta anche una preziosa opportunità per avere nuovamente a portata di mano quegli amici e quei parenti che negli anni scorsi li han comunque seguiti in lungo e in largo, non facendo mai mancare il proprio sostegno. Nei tre anni (questa la durata degli accordi siglati dai due) a Milano e Bologna, Datome e il neosposo Belinelli trovano le condizioni adatte per sistemare, consolidare e mettere in atto i propri progetti familiari con l’apporto delle persone a loro più care, ora finalmente vicine.

belinelli ufficio stampa2

Anche questo aspetto non è da trascurare se si pensa alle due decisioni maturate a distanza di appena qualche mese l’una dall’altra. Datome e Belinelli, rispettivamente 33 e 34 anni, lavorano, vivono e ragionano in funzione della palla a spicchi ma, oltre a essere cestisti titolati e riconoscibili, sono prima di tutto uomini con esigenze e prospettive personali. Come tali, cercando di entrare nelle pieghe di due ritorni che consentiranno agli appassionati italiani di divertirsi parecchio nei prossimi 36 mesi, alla loro età non può non aver pesato, alla pari delle riflessioni sulle questioni di campo, il guadagno economico e i possibili titoli da conquistare, anche una valutazione su come sarà o dovrà essere la loro vita dopo il ritiro, un momento che gli amanti del basket, se i due continuano così, si augurano vivamente che arrivi il più tardi possibile.

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