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L’Arabia Saudita apre al primo campionato di calcio femminile

In Arabia Saudita le donne hanno ancora bisogno del permesso di un “tutore” maschio per sposarsi o divorziare, aprire un’impresa o accedere all’assistenza sanitaria. Quando il padre di una donna è deceduto o assente, suo marito, un parente maschio, un fratello o in alcuni casi anche un figlio, devono “dare parola” per lei, pena il mancato accesso ai diritti di base.

La posizione giuridica di una donna saudita è equiparata a quella di un minore, e una sua testimonianza in tribunale ha meno peso di quella degli uomini, elemento di cui va tenuto legalmente conto in sede di giudizio.

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Il sistema saudita tuttora in vigore nega sostanzialmente la maggior parte dei diritti umani fondamentali delle donne, così come ne nega la dignità di esseri umani autonomi. Si tratta per loro di una quotidianità che – per dirla con le parole delle Nazioni Unite – “ne compromette gravemente la partecipazione paritaria e il processo decisionale in ambito politico, economico e sociale”. Non a caso, quella che gli uomini sauditi posseggono sulle donne viene definita come una “autorità arbitraria“: legalmente prive d’arbitrio, di una propria volontà, restano appese a quella dei maschi che, per ragioni di parentela o legami affettivi, le affiancano nella quotidianità.

Il preambolo, forse ridondante, serve a dipingere nella maniera più dettagliata possibile i contorni dell’ampio quadro di cui andremo a visionare un piccolo, ma significativo dettaglio: l’Arabia Saudita ha dato avvio a un campionato di calcio per donne. Lo ha fatto – dopo due rinvii causa Covid – lo scorso 17 novembre 2020, giorno in cui è partita ufficialmente la Women’s Football League: 24 squadre, 600 giocatrici, allenamenti e partite divisi tra Riyad, Gedda e Dammam e un premio in denaro per la vincente di 500.000 riyal sauditi, pari a 112mila euro circa. I match non avranno copertura televisiva né rientreranno all’interno della Federazione Calcistica Nazionale dell’Arabia Saudita, che comprende campionati e programmi per i soli uomini.

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Donne saudite durante la cerimonia d’apertura della Coppa del Golfo del 2010 – Foto: KARIM SAHIB/AFP/Getty Images

Si potrebbe leggere la notizia dell’apertura al calcio femminile come il semplice cedimento delle istituzioni di un Paese che ha ricevuto moltissimi richiami sul fronte internazionale; da considerare, solo a titolo d’esempio, i solleciti del Comitato Olimpico Internazionale in occasione delle Olimpiadi del 2012 e del 2016. Si tratterebbe, in tal caso, di analizzare una mera mossa meccanica: l’intensificarsi della pressione spinge alla scelta, presa all’unico scopo di non incorrere in sanzioni o problemi collaterali.

Oppure si potrebbe sottolineare come negli ultimi anni alcune delle riforme introdotte dal principe Mohammed bin Salman abbiano fornito sprazzi di respiro alle donne del regno ultra-conservatore. L’avvio del campionato di calcio femminile segue, infatti, altre misure orientate verso un, seppur troppo debole e lento, cambio di scenario: la possibilità di guidare, la fine della segregazione di genere nei ristoranti (le donne dovevano mangiare in luoghi separati da quelli nei quali mangiavano gli uomini), la revoca al divieto di avere un passaporto e viaggiare all’estero senza autorizzazione maschile.

Mohammed bin Salman
Il principe saudita Mohammed bin Salman

Non è sufficiente, certo. Lo hanno evidenziato in primis ancora una volta le Nazioni Unite, notando come le donne saudite continuino a subire una serie infinita di restrizioni nell’ambito delle tutele, e resta di fatto il conferimento agli uomini dell’autorità decisionale sui parenti di sesso femminile, elemento che si traduce in un “sistema di quotidiana discriminazione”. Ma è un sicuro passo avanti in un Paese dove, fino a poco tempo fa, alle donne era vietato praticare sport in pubblico e andare allo stadio (ora possono andarci, ma solo se accompagnate da un uomo).

Risulta, quindi, comprensibile la lettura dei media locali che hanno salutato la vicenda come un momento storico, un nuovo passo verso la libertà del sesso femminile. Il presidente della Saudi Sports for All Federation, Khaled bin Alwaleed, non ha esitato a leggere la circostanza come una decisa evoluzione a lungo attesa:

L’inizio della Saudi Women’s Football League è un ulteriore e importante balzo in avanti per il futuro del nostro Paese, la nostra salute, la nostra giovinezza e le nostre ambizioni di vedere ogni atleta riconosciuto e spinto al massimo delle sue capacità.

Ma non è così facile né così poetico come nelle dichiarazioni di Khaled bin Alwaleed: a fronte di un timido allargamento delle maglie, si registra l’intensificarsi della spinta a sradicare il dissenso da parte del Regno di Riad, particolare che rende difficile anche avere una completezza di informazioni o la restituzione fedele dello scenario attuale. Chi lotta per i diritti umani viene arrestato e condannato fino a cinque anni di carcere, e non mancano particolari relativi ai destini dei manifestanti più scomodi: isolamento, minacce, ritorsioni, violenze, torture. Godiamoci le partite quindi, ma con la presente consapevolezza che poco è stato fatto, e tanto resta da fare per i diritti delle donne in Arabia Saudita.

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