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Rising Phoenix, il corpo dei nuovi eroi

Rising Phoenix é un documentario meraviglioso, ma si sbaglierebbe a pensare che sia un documentario solo sulle Paralimpiadi. Il documentario realizzato per Netflix da Ian Bonhôte e Peter Ettedgui spinge il discorso oltre l’attualità e la necessità sociale verso nuovi riflessioni e argomentazioni.

Il documentario si apre con una panoramica sull’organizzazione delle Paralimpiadi di Londra nel 2012, un evento importante perché realizzato nella città che ha spesso lanciato movimenti di contro cultura. Gli aspetti organizzativi, che si sposano con obiettivi morali, vengono esposti dai tre organizzatori storici guidati da Andrew Paraon, figura che si rivelerà centrale nella gestione dei giochi in Brasile del 2016. Il racconto si snoda tra i successi e la ricezione della città all’evento, ma da questo punto in poi la narrazione prende anche un altro filone, quello biografico degli atleti che hanno partecipato alle Olimpiadi e alle loro storie. 

Difficile rimanere impassibili di fronte alle interviste realizzate agli atleti, ma a colpire non è l’aspetto pietistico, piuttosto la forza sprigionata dalle parole degli atleti. Tutte molto diverse fra loro, le memorie partono da punti lontani nell’orizzonte per arrivare al faro principe delle Olimpiadi.

rising phoenix

La nostra Bebe Vio racconta la sua esperienza di bambina felice, sana che all’improvviso viene colpita dalla meningite. La malattia richiederà una scelta drastica: o l’amputazione della gamba o la quasi certezza di un decesso. La sfida era chiara, ma la risposta fu  altrettanto netta: di fronte ad una sola possibilità su cento di sopravvivenza la piccola Bebe e i suoi genitori scelsero l’amputazione e la sfida al destino. Tra le altre storie colpisce molto quella del saltatore in lungo Jean-Baptiste Alaize che a soli tre anni a causa della guerra civile in Burundi ha visto morire la sua famiglia.  Sopravvissuto miracolosamente, per Alaize l’amputazione delle gambe è diventata lo sprone a saltare lontano, a fuggire, un moto di libertà e presa di distanza dall’orrore. La difficoltà che diventa motivo per superare i propri limiti, per contraddire il destino riscrivendolo.  Colpisce proprio questo messaggio che attraversa Rising Phoenix: non è il limite a dover essere guardato, ma l’obiettivo. 

Colpisce proprio questo messaggio che attraversa Rising Phoenix: non è il limite a dover essere guardato, ma l’obiettivo. 

Chiarisce il punto la storia di Ryley Batt, nato privo di gambe e alcune dita delle mani, senza che mentre nessuna ecografia avesse previsto quella situazione. Fu il nonno a iniziare il futuro atleta alla sfida con se stesso regalandogli una moto giocattolo. Da quel giorno Ryley Batt ha sentito il brivido della sfida, della lotta con se stessi e con gli altri, non smettendo più di farsi contagiare da quella dannata adrenalina. Le immagini del rugbista sulla sedia a rotelle sono davvero molto forti.

Rising Phoenix Jean-Baptiste Alaize
Jean-Baptiste Alaize

E nell’ultima parte, però, che viene esplicitato un quesito che per tutto il documentario rimane latente. Viene introdotto dalla figlia del dottor Ludvig Guttman e da un piccolo documentario nel documentario sulla sua figura straordinaria: medico tedesco sfidò il Nazismo, adoperandosi per valorizzare (non aiutare) la vita di soggetti colpiti da menomazioni, inizialmente soprattutto soldati feriti.

Da questa idea del medico tedesco, passando per l’italiano Antonio Maglio, promotore delle paralimpiadi a Roma nel 1960, si materializza il tema più importante di Rising Phoenix, ovvero che la diversità fisica è una sfida alla figura umana e alla sua capacità di trovare nuove forme alla vita. Concetto, guarda caso, inviso ai governi totalitari (nel documentario non si parla solo di Germania Nazista), ma che diventa sfida nell’ultima parte del documentario. Chi dice se un corpo è adatto o meno alla sopravvivenza? Alla vittoria? Al successo? Considerato che in Rising Phoenix si raccontano le esperienze di atleti che partendo dalla menomazione sono arrivati al successo sportivo paragonabile agli atleti “normodotati”, qual é il metro con cui si giudica adatto o meno ad un’attività un soggetto? La sfida di Guttman è più profonda di quello che possiamo immaginare a prima vista, sottile si insinua tre le nostre certezze.

Rising Phoenix: La Storia Delle Paralimpiadi, Matt Stutzman In Una Scena
Risig Phoenix: La Storia Delle Paralimpiadi, Matt Stutzman

Un altro spunto di discussione viene lanciato prima di chiudere con la vittoria della medaglia d’oro di Bebe Vio a Rio nella scherma: il corpo mutilato, ferito, non è un nuovo corpo? Non è la sfida ad una nuova immagine di uomo?  Un concetto forse nuovo o estraneo per molti oggi, ma già oggetto di riflessione per gli antichi greci che vedevano nella malattia, nella difformità il sintomo di una natura addirittura divina, proprio come quella degli eroi.  Qui il cerchio si chiude. Se le Olimpiadi celebrano da sempre l’eroe, le Paralimpiadi celebrano i nuovi eroi. Profeti e insieme carne del cambiamento e della diversità. 

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