valentino rossi yamaha

Rossi e Yamaha, i momenti che hanno fatto la storia

Siamo schiavi del tempo, un elemento impercettibile che abbiamo dovuto imprigionare in sovrastrutture riconosciute universalmente per tenere traccia delle nostre storie, dei nostri ricordi, del nostro amore quotidiano. Poi, però, arrivano uomini, personaggi, capaci di eludere il tempo e illuderci che esso non esista, assicurando il loro nome all’eternità. Uno di questi è sicuramente Valentino Rossi, che quest’anno ha lasciato il team ufficiale Yamaha dopo 15 stagioni insieme (passerà, restando con la moto giapponese dei tre diapason, al team satellite Petronas). Vogliamo omaggiare questo binomio con i cinque migliori sorpassi in queste quindici magnifiche, qualcuno di più, qualcuna di meno, stagioni.

La prima volta non si scorda mai, ovvero Rossi contro Biaggi a Welkom, 2004.

Davide Brivio, team manager brianzolo, ha da poco convinto Valentino Rossi a salire in sella alla Yamaha. L’addio alla Honda sa di tradimento, per i giapponesi che non hanno mai messo sul piedistallo Rossi, preferendo coccolare la loro capacità costruttiva e ingegneristica. La sfida è complessa, ma allo stesso tempo affascinante. La Yamaha non vince un mondiale da qualche anno, l’ultima volta Kenny Roberts Junior, nel 2000, trionfa proprio davanti a un giovanissimo e inesperto Rossi, ma quando il Dottore molla la Honda, il gioiello meccanico nipponico è pressoché perfetto. A guidarla, nella stagione del “tradimento”, sarà Max Biaggi, il rivale di sempre. La prima gara della stagione si svolge in Sudafrica, a Welkom. Lontano, arido, isolato, esotico, caldo, un luogo ostile, da un punto di vista sportivo, perché guidare lì, non è semplice.

Biaggi vuole vincere. E soprattutto battere, sconfiggere, annientare il suo rivale e dimostrare che è migliore di lui. Questa è la stagione giusta per agguantare l’occasione. Ed è quello che ha intenzione di fare. Biaggi parte terzo, Rossi in pole. La gara è un’altra storia. Storia di uomini, di passione, di emozioni, di intuizioni. Biaggi mette sull’asfalto tutto se stesso e una gara degna di un fuoriclasse. A due giri dalla fine della corsa è davanti, ma durerà ben poco la sua leadership. Rossi ne ha. Ne ha di più, ne ha da vendere. Il binomio con la Yamaha sembra ancora più incredibile rispetto a quello con la Honda. Il feeling tra moto e pilota è stato un colpo di fulmine, come se fosse l’amore della vita e quando riconosci l’amore, vuoi che subito succeda qualcosa. E qualcosa accade. Il sorpasso avviene dopo 26 giri dall’inizio della gara. Biaggi non se lo aspetta, Rossi allarga la traiettoria e il Corsaro deve adeguare la sua traiettoria. Rossi è davanti e le risposte dell’avversario non riescono mai a cambiare le posizioni in pista nonostante il motore superiore della Honda. Biaggi ci prova, ma Rossi è baciato dall’amore e per due giri riesce a restare davanti, tra una derapata e l’altra Rossi c’è. Alla prima tappa, la prima vittoria. Ma ciò che più emoziona è quello che succede dopo la linea del traguardo. Biaggi raggiunge Rossi nel giro di rallentamento e gli tende la mano per complimentarsi. Nemici, avversari, ma nel merito ci deve essere la stima, nella stime il rispetto di un risultato fuori dall’ordinario. Valentino poi, poco dopo, ferma la sua M1, si appoggia gli pneumatici, scende e si siede accanto al suo amore e… e piange, si commuove, si emoziona per aver compiuto qualcosa di sperato, ma inattesto, possibile ma incredibile e non scontato.

Welkom. Che letto così, sembra voler dire Benvenuto, in inglese. È così che ho sempre pensato che il Motomondiale avesse dato il suo saluto al cambio, alla mutazione, all’addio o tradimento di Rossi alla Honda. Benvenuto, Dottore. Adesso sì che inizia a fare la storia delle due ruote.

Scontro tra italiani, ovvero Loris Capirossi contro il Dottore al Mugello, 2006.

Circa un mese prima del “Popopopopopopo“, del rigore di Fabio Grosso, della corsa impazzita di Andrea Pirlo, della testata di Zidane, del gol di Materazzi, delle parate di Buffon e degli interventi di Cannavaro; un mese prima della gloria con la vittoria del Mondiale di calcio da parte della Nazionale italiana, altri italiani hanno regalato spettacolo nella terra santa del motociclismo, il Mugello. Un circuito affascinante, accogliente ma allo stesso tempo impervio per i piloti meno dotati, sicuramente da un punto di vista del coraggio, perché correre tra i pendii toscani, in un saliscendi emotivo, non è da tutti e non è per tutti.

Loris Capirossi, il più giovane campione del mondo della storia dello sport motoristico a due ruote, in sella alla Ducati contro Valentino Rossi. La Ducati è da qualche anno, una manciata, poco meno, che è approdata al mondo dei prototipi della MotoGP dopo una lunga e gloriosa tradizione in Superbike ed è stato scelto il tre volte campione del mondo per sviluppare la moto di Borgo Panigale che in quegli anni è acerba, mostra un grande potenziale, ma è violenta, aggressiva, ruvida e potente. Il lavoro di Capirossi, però, sarà molto prezioso per l’anno successivo, il 2007. Sulla sella della Desmosedici si siederà l’australiano Casey Stoner, l’unico capace di vincere il Motomondiale con la moto italiana. Rossi è il fenomeno da battere, ma nel 2006 è ancora tutto nelle sue mani e al Mugello riesce a dimostrare ancora una volta il suo strapotere.

Dopo una gara fenomenale che ha visto protagonisti, oltre ai due sopracitati, Melandri, Pedrosa, Hayden e Gibernau, all’ultimo giro, alla curva San Donato, Capirossi entra troppo velocemente e deve allargare leggermente la traiettoria, Rossi è spietato. Al primo errore dell’avversario si butta dentro a capofitto, senza pensarci due volte. È davanti, ma la Ducati ha un motore che oggi Elon Musk lo userebbe per arrivare su Marte in una delle sue spedizioni. Rossi copre e protegge i possibili attacchi del romagnolo, uscendo dalla Bucine con un discreto vantaggio sulla Ducati. Capirossi prega ancora nel contrario. L’ultima curva del Mugello, la Bucine, è una fionda: la carichi lentamente e poi di lancia a tutto gas verso il rettilineo. Se la Ducati prende la scia della Yamaha, Capirossi vince, ma il giro di Rossi è impressionante. Capirossi è costretto a rallentare se vuole chiudere al secondo posto. Il pubblico gode, gode fortissimo. È stata una delle gare più entusiasmanti della stagione, uno scontro tra italiani all’ultimo respiro, ma tra un mese o poco più sarebbe tutti uniti da quel “Popopopopopopo” che nessuno può dimenticare.

Asfalto o sterrato, poco cambia. O meglio, la storia di come Rossi ha annichilito Stoner a Laguna Seca, 2008.

La vendetta è un piatto che va servito freddo, era il titolo di un film western del 1971. E se pensi agli Stati Uniti, alla California, oltre al surf e a Hollywood, pensi ai deserti, alle lande desolate ed isolate, ai grandi spazi tipici dei film western. I due sfidanti, però, non hanno pistole e cappelli da cowboy, ma cavalcano moto da 300 cavalli e indossano caschi brandizzati con grafiche personalizzate a mostrare la propria identità. La vendetta, che nello sport definiamo rivincita, risale al 2008. La stagione successiva alla vittoria clamorosa del fenomeno Casey Stoner in sella alla rossa Ducati. Un affronto per Rossi che dopo la sventurata stagione del 2006 finita con la vittoria iridata di Nicky Hayden all’ultima gara a Valencia non era riuscito a riprendersi lo scettro nemmeno nel 2007. “Bollito”, “tramontato”, “finito” erano questi gli aggettivi che circolavano al fianco del nome di Valentino Rossi che, è risaputo, più l’asticella della difficoltà della sfida si alza e più l’appetito cresce, la fame di vittoria, di spettacolo, di fenomenologia applicata all’asfalto.

Il sabato, a Laguna Seca, è imbarazzante: Stoner ha fermato il tempo, facendo un giro record e conquistando una pole position che sapeva già di vittoria. Rossi è secondo, ma Stoner vola in questa pista serve qualcosa che possa metterlo in difficoltà, una magia forse, un trucco, qualcosa di inaspettato… ma cosa? Stoner arriva da tre vittorie consecutive, Rossi insegue. È faticoso vedere lì, davanti, qualcuno che va molto più veloce di te senza la possibilità di essere raggiunto.

Rossi e Stoner sono davanti con il nulla alle spalle. Sono passati solo cinque giri eppure gli altri sembra che stiano girando la pista in bici e non in moto. L’australiano è immenso, a Rossi serve un guizzo. Mancano ancora 25 giri, un’infinità di tempo, ma il Dottore sceglie di giocare il jolly in quel momento, al cavatappi. Laguna Seca è così: prima si sale, poi si gira al cavatappi e poi si scende. E Stoner scende come se fosse Alberto Tomba a Bormio nel ’95. Rossi e Stoner staccano per arrivare davanti l’uno all’altro alla curva che può decidere le sorti della gara. Casey frena tardi, Rossi praticamente non frena. Finiscono lunghi, Stoner gira mentre Rossi è costretto a mettere le ruote sulla sabbia, a metà tra motocross e il flat track, rientrando davanti all’australiano. Una manovra brillante e faticosa, poesia in movimento, musica e sentimento. Ma siamo solo al quinto giro. Tutti si sarebbero aspettati una risposta da parte di Stoner che non arriva. O meglio, il pilota Ducati tenta invano di sorpassare e scappare Rossi che si ripresenta sempre a chiedere il conto. Mette pressione all’avversario che, a un certo punto della gara, quando mancano pochi giri per decretare il vincitore di una gara folle, lascia, molla il colpo, bandiera bianca. Lungo, ghiaia, moto a terra. Quando riparte Rossi ha già la vittoria tra le mani. Da quel momento Rossi domina, vincendo altre quattro gare assicurandosi la vendetta la rivincita, il piatto che va servito freddo, anche in California.

Non è possibile! Detto anche il capolavoro di Rossi su Jorge Lorenzo, Barcellona 2009.

Perché piangi?“, mi fa lei. “Valentinooo“, rispondo io. “Cosa è successo?“, replica. E io: “Non è possibile!” Si avvicina a me: “Sì è fatto male?“. Mi giro, con gli occhi gonfi e le rispondo: “Ha vinto all’ultima curvaaaa“. Lei: “Vabbé, come al solito“.

Avete appena assistito al dialogo con la mia compagna dopo il taglio del traguardo in Catalunya, nel 2009. Quella gara l’avrò rivista un centinaio di volte, dalla partenza fino all’ultimo sorpasso. Fino a quell’attacco impossibile, imprevedibile, imparabile di Rossi su uno straordinario Jorge Lorenzo. Sì, perché troppo spesso raccontiamo di come chi sorpassa sia stato fantastico, ma in quella gara ci sono due fenomeni del motociclismo, due leggende che si sono dati battaglia come due cavalieri nei tornei medievali. Un attacco dopo l’altro, una difesa dopo l’altra, entrambi alla ricerca della strategia giusta per controbattere al colpo subito e trovare il modo per sconfiggere l’avversario. Arte su pista, 25 giri di bellezza pura, di meraviglia per gli occhi e vibrazioni per il cuore che cambia ritmo, sorpasso dopo sorpasso.

Quando il Motomondiale sbarca a Barcellona è la sesta tappa del campionato: Lorenzo ha vinto in Giappone e in Francia, ha fatto terzo in Qatar, secondo al Mugello e si è ritirato a Jerez, prima di quella gara il maiorchino ha 86 punti. Rossi è dietro con 81 lunghezze grazie alla vittoria in Spagna, due secondi posti in Qatar e in Giappone e terzo in Italia, al Mugello. Rossi sa che lasciare che Lorenzo vinca la gara significa lasciargli accumulare punti, confidenza, coraggio e la possibilità di scappare, seppur per poco, verso la vittoria Mondiale. Rossi sa che non può far vincere Lorenzo per nessun motivo e fa quello che nessuno, né tantomeno Lorenzo si sarebbe mai aspettato. Ma torniamo un attimo indietro: l’ultimo giro comincia con Lorenzo davanti che spinge come un ossesso, Rossi risponde al millesimo e non riesce a mettergli le gomme davanti. Mancano sue curve alla fine, Lorenzo sa già di aver vinto, ma deve rimanere davanti prima dell’ultima curva. Lorenzo è un martello. Una roccia. Costante, sicuro di sé, troppo sicuro. Stranamente il pensiero di avere alle sue spalle Rossi non lo assilla, non lo sposta e concede a Rossi di inventare, di appendersi alla possibilità di stupire, di regalarsi una sorpresa e regalarla a tutti gli amanti delle moto. Rossi supera Lorenzo dove nessuno era mai riuscito, dove nessuno aveva mai osato. Non è possibile, invece è tutto vero.

Ultimo tango argentino, ovvero come Rossi insegna a Dovizioso l’arte della staccata, Termas de Río Hondo 2019.

Quante volte bisogna dimostrare di essere infiniti, immortali, leggendari per essere amati da tutti? Forse mai abbastanza. Ed è forse questo che porta Rossi a continuare sempre una stagione in più, poi un’altra, poi un’altra e un’altra ancora. Prima il Rossi schiacciasassi, poi fragile ed eroico, poi spaesato e infine stoico. Nel 2019, dieci anni dopo di quando gli chiedevano se volesse ritirarsi dopo il nono titolo conquistato, all’età di 40 anni non molla, lotta, soffre, si diverte.

In Argentina c’è qualcosa di speciale, dal legame con Diego Armando Maradona (dopo la sua scomparsa è diventato virale il video di Diego che entra nel box Yamaha dopo la vittoria di Rossi a San Marino, nel 2008, e urla: “Non sono tanto sportivo, quando è caduto Casey Stoner ho detto yeeee“) ad alcuni dei campioni della sua Inter e alla vittoria, con un po’ di polemica, ma con tanta carica emotiva, contro Marquez nel 2015. E anche nel 2019, Rossi vuole dare spettacolo in Sud America. Questa volta Marquez decide di fare uno sport indecifrabile per gli avversari e la gara è resa viva solo nelle retrovie, dove i piloti si danno battaglia per migliorare la loro posizione. Dovizioso è secondo, servono punti per puntare al titolo anche se siamo alle battute pressoché iniziali di un campionato che, al suo termine, vedrà vincitore lo spagnolo con il 93 sulla carena con una sequenza di risultati fantastici mai vista prima, forse bisogna tornare ai tempi di Agostini per osservare un ruolino di marcia così vincente.

Ultimo giro: Rossi è alla ruota di Dovi da qualche giro, la Ducati del forlivese non molla. Dovi sta lì. Staccatore contro staccatore, la differenza nella staccata finale che immette nelle ultime tre curve del circuito argentino è la prudenza e la fantasia. Dovizioso frena in maniera esemplare, esattamente come sempre. La perfezione, però, non esiste. È un parametro che ci inventiamo per definire le cose, gli oggetti, il tempo, le persone, ma non esiste. Rossi è un esteta e in quella perfezione effimera sa dove colpire, con un colpo di ingegno, di fantasia, di creatività. La staccata è rischiosa, imperfetta, spregiudicata, Dovi rialza la moto che era già leggermente piegata. Il Dottore si infila e conquista un secondo posto che ha il sapore e l’efficacia di una vittoria. Un ultimo tango che vale come un ballo delle debuttanti.

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