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LGBTQ+ e lo sport: 6 storie che devi conoscere

LGBTQIAPK: lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali, asessuali, pansessuali, kinky. È questo il significato di quella che è diventata una delle sigle più famose al mondo, simbolo di libertà, uguaglianza e inclusività. Alle spalle del movimento omosessuale moderno c’è un discorso molto più ampio di accettazione dell’essere umano in tutte le sue forme e sfaccettature che non si limita al mero ambito sessuale. A tale proposito, anche nel mondo dello sport si parla ogni giorno di più di LGBTQ+ (abbreviazione comune per la sigla completa) e delle questioni, assolutamente valide, che il movimento in questione solleva anche in ambito sportivo.

I fan della Repubblica d'Irlanda sostengono i calciatori gay o bisessuali che indossano la maglia della nazionale
I fan della Repubblica d’Irlanda sostengono i calciatori gay e bisessuali che indossano la maglia della nazionale

Tuttavia, quando si parla di sport e LGBTQ+ si tende ad affrontare la questione come un “fenomeno straordinario” di carattere innovativo; in realtà, bisognerebbe specificare che è solo la rivendicazione ad essere innovativa e rivoluzionaria, perché, per quanto riguarda la presenza di membri del mondo LGBTQ+ negli ambienti dello sport, essa è sempre stata massiccia anche se costretta dai tempi e della società a rimanere nell’ombra, pena la rovina di intere carriere.

Per questo diventa fondamentale raccontare la storia di sei sportivi LGBTQ+ che hanno fatto la storia dello sport; diventa fondamentale, però, raccontare tutta la storia, portare alla luce quello che per troppo tempo gli stessi protagonisti hanno dovuto nascondere o vivere con vergogna.

È solo la rivendicazione ad essere innovativa e rivoluzionaria, perché, per quanto riguarda la presenza di membri del mondo LGBTQ+ negli ambienti dello sport, essa è sempre stata massiccia anche se costretta dai tempi e della società a rimanere nell’ombra.

Panama Al Brown

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Era il 1902 e a Panama nasceva Alfonso Teofilo Brown, più conosciuto con lo pseudonimo di Panama. Figlio di una donna delle pulizie e orfano di padre dall’età di 13 anni, Al cominciò da giovanissimo a lavorare come impiegato alla Zona del Canale di Panama e, proprio qui, dopo aver assistito all’incontro di boxe tra due soldati americani decise di intraprendere lo sport che gli avrebbe garantito una fama senza precedenti. A 20 anni cominciò a combattere da professionista e si trasferì a New York dove avrebbero avuto inizio i suoi straordinari record. Infatti, nel corso della sua carriera, Brown vinse ben 59 incontri mantenendo per 6 anni il titolo di Campione del mondo nei pesi gallo, oltre al fatto di essere il primo campione del mondo latino-americano.

Panama e Jean Cocteau
Panama Al Brown insieme a Jean Cocteau

A 26 anni, Panama Al Brown decise di trasferirsi a Parigi e nella città trovò un grande fervore oltre che l’enorme affetto dei suoi fan. Nella capitale francese il giovane Brown si dilettava anche nei night: si esibiva nei locali di cabaret e amava ballare il tip-tap. Tuttavia, la sua fama era destinata a sgretolarsi a causa della sua omosessualità: Brown, che fino a quel momento era riuscito a non far trapelare le sue preferenze sessuali, aveva una relazione con lo scrittore francese Jean Cocteau, diventato anche suo manager. L’opinione pubblica non apprezzò la notizia e, da quel momento, il pubblico si presentava ai suoi incontri solo per sputargli addosso e deriderlo e, in un’occasione, alla fine di un match, Brown fu picchiato da alcuni spettatori.

La sua fama era destinata a sgretolarsi a causa della sua omosessualità: Brown, che fino a quel momento era riuscito a non far trapelare le sue preferenze sessuali, aveva una relazione con lo scrittore francese Jean Cocteau, diventato anche suo manager.

La Seconda Guerra Mondiale costrinse l’atleta a tornate ad Harlem ma, anche dopo la conclusione del conflitto, le cose non sarebbero mai più tornate come prima: la sua carriera era finita. Dopo un arresto per possesso di cocaina che gli costò un anno di reclusione, Brown cominciò ad allenare piccoli boxeur, guadagnando 1 dollaro per round. Morì nel 1951 di tubercolosi. Le sue spoglie, inizialmente seppellite in un cimitero di Harlem, vennero poi riportate in Panama grazie ai fondi raccolti da alcuni fan.

Dutee Chand

Dutee Chand
Dutee Chand, la prima da destra

Essere una donna in India non è facile. Soprattutto se sei una donna che si dichiara lesbica davanti al mondo intero. Questa è la storia di Dutee Chand, classe 1996: la terza donna indiana a qualificarsi per i 100m ai Giochi Olimpici; la prima indiana a vincere 2 medaglie d’argento agli Asian Games. Ma Dutee Chand è stata anche la prima atleta indiana a dichiararsi apertamente lesbica.

L’atleta indiana presenta la cosiddetta DSD (Difference of Sexual Development), che la porta ad avere livelli di testosterone pari a quelli maschili.

Il coming out è arrivato nel 2019, un anno dopo la sentenza della Corte Suprema Indiana per abolire il reato di omosessualità. Questo, però, non è bastato alla famiglia dell’atleta che non è riuscita ad accettare la sessualità della ragazza, rimanendo legata a una cultura e una tradizione che vede l’omosessualità come immorale e contraria all’etica, oltre che come disonorevole per il nome della famiglia. In realtà, i problemi per Chand erano cominciati già molto prima. A soli 18 anni, infatti, si era vista squalificare dai Commonwealth Games a causa dei suoi livelli di testosterone: l’atleta indiana presenta la cosiddetta DSD (Difference of Sexual Development), che la porta ad avere livelli di testosterone pari a quelli maschili.

Ma Dutee si è rifiutata di sottoporsi ai trattamenti “curativi” che le erano stati somministrati e a distanza di un anno è stata la prima atleta a sfidare le regole dell’iperandroginismo: grazie alla loro temporanea sospensione è riuscita a gareggiare alle Olimpiadi dell’anno successivo. Tuttavia, la battaglia è ancora lunga, ma Dutee Chand continua a lottare.

Roberta Cowell

Roberta Cowell

La storia di Roberta Cowell sembra tratta da un romanzo di avventura. Nasce nel 1918 e diventa famosa per essere un pilota automobilistico e un pilota di guerra nella Seconda Guerra Mondiale, oltre che per essere la prima donna transgender famosa in Gran Bretagna. La passione per le auto e per le corse comincia quando è ancora un bambino, così a 16 anni decide di lasciare la scuola e di unirsi alla Royal Air Force, salvo poi dover cambiare i piani a causa del suo mal d’aereo.

Nel 1936 comincia a studiare ingegneria al London University College, continuando ad assecondare la sua passione per le corse automobilistiche. Dopo vari anni passati ad intrufolarsi nel circuito di Brookland, finalmente nel 1939 corre la sua prima gara all’Antwerp Grand Prix. In questi anni la sua vita è quella di un qualunque uomo del suo tempo: sposa la sua collega Diana Zelma Carpenter e i due danno alla luce due bambine.

Roberta Cowell

Durante il secondo conflitto mondiale, Cowell, che viene arruolato come pilota dalla Royal Air Force, viene fatto prigioniero e mandato nei campi nazisti. Dopo la guerra continua la sua carriera da pilota, ma quel senso di inappropriatezza che lo lega al suo corpo di uomo si fa sempre più insopportabile e negli anni Cinquanta comincia ad assumere grandi dosi di estrogeni.

In quegli anni incontra il dottor Michael Dillon, il primo uomo ad aver subito una falloplastica, che la guiderà nel suo percorso di transizione: nel 1951 diventa la prima inglese sulla quale è stata portata a termine con successo una vaginoplastica. La sua carriera, però, non si ferma e Cowell continua a vincere le sue gare fino agli anni Sessanta, quando viene colpita da una serie di difficoltà finanziarie.

Freda Du Faur

Freda Du Faur

Il 3 Dicembre del 1910 il Monte Cook, il più alto della Nuova Zelanda, veniva scalato per la prima volta nella storia da una donna. Questa donna era Freda Du Faur. Nata a Sidney nel 1882, Freda era cresciuta vicino al Ku-ring-gai Chase National Park, dove da autodidatta aveva imparato ad arrampicarsi sulle rocce. Grazie ad un’eredità da parte di una zia, per Freda fu possibile abbandonare gli studi di infermieristica per dedicarsi a viaggiare e diventare una scalatrice di professione. In occasione della sua preparazione alla scalata del monte Cook, conobbe Muriel Cadogan che, oltre ad essere la sua allenatrice, sarebbe diventata anche la sua compagna. Dopo il Monte Cook ce ne furono molti altri e, tra di essi, uno avrebbe preso il suo nome.

Monte Cook
Monte Cook

Nel 1924 la Du Faur e la Cadogan si trasferirono in Inghilterra ma l’idillio durò poco: nel 1929 Muriel ebbe un esaurimento nervoso e Freda tentò di farla ricoverare in una clinica. Ironia della sorte, entrambe furono ricoverate e tenute separate poiché, a quell’epoca, il lesbismo veniva considerato una malattia psichiatrica a tutti gli effetti.

Dopo qualche tempo la Cadogan fu rispedita a Sidney e, solo dopo la sua morte, anche Freda fu rilasciata. Tuttavia, non si sarebbe più ripresa da quell’esperienza, che le avrebbe causato una forte depressione. Freda Du Faur si suicidò nel 1935. Solo nel 2006 è stata apposta sulla sua tomba senza nome una lapide per ricordare le sue imprese.

Jerry Smith

Jerry Smith

Se c’è uno sport che per antonomasia è la rappresentazione della cultura machista, quello è il football americano: solo un “vero uomo” può diventare un campione. Non stupisce quindi che Jerry Smith, tight end dei NFL’s Washington Redskins per ben 13 stagioni e detentore del record di touchdowns del secolo scorso, abbia tenuto nascosta la sua omosessualità fino alla morte, avvenuta a causa dell’ AIDS all’età di 43 anni.

Nonostante la sua statura minuta, divenne uno dei migliori tight end della storia con una serie di record straordinari alle spalle. Solo nel 2003 Shannon Sharpe riuscirà a superare il suo numero di touchdown. Durante la sua carriera nei Redskins, Smith ebbe una breve relazione con il suo compagno di squadra David Kopay, famoso per essere stato il primo footballer a fare coming out nel 1975.

David Kopay
David Kopay

Nella sua autobiografia, Kopay racconta della sua relazione con Smith usando un alias per il suo nome: questo non bastò a calmare Smith che non gli avrebbe più rivolto la parola. Gli amici più vicini a Jerry, infatti, raccontano della costante paura nella quale l’atleta viveva, poiché temeva che se la sua omosessualità fosse venuta fuori la sua carriera sarebbe stata distrutta. Nel 1986 un altro record: Smith fu il primo atleta in NLF a dichiarare di essere malato di AIDS, due mesi prima di morire.

Bill Tilden

Bill Tilden

Fino al 2017 nessuno era riuscito a battere il record di Bill Tilden: 10 vittorie ad un singolo evento Grand Slam. Eppure la carriera di Tilden era cominciata tardi, quando il giovane aveva già più di 20 anni. All’età di 22 anni i genitori e il fratello maggiore erano morti e il tennis divenne l’unico palliativo alla sua profonda depressione.

Primo americano a vincere il torneo di Wimbledon per due anni di fila, si lamentava del fatto che fosse troppo semplice e, per questo, decise di non parteciparvi più per i successivi 3 anni. A 37 anni divenne il più vecchio tennista nella storia ad aver vinto a Wimbledon e, a causa del suo disperato bisogno di denaro, fu costretto a continuare a giocare fino a 50 anni.

Bill Tilden

Tilden era apertamente omosessuale, ma non fu la sua sessualità a causargli dei problemi. Nel 1946 sarebbe stato arrestato per aver “contribuito alla delinquenza di un minore”. Nonostante si dichiarò in più occasioni innocente, al suo rilascio fu ostracizzato dal mondo del tennis e non potè più guadagnarsi da vivere neanche dando lezioni. Nel 1949 fu arrestato una seconda volta per aver molestato un sedicenne e avrebbe trascorso altri 10 mesi in prigione. Nonostante ciò, nel 1950 Bill Tilden sarebbe stato dichiarato il più grande tennista della prima metà del secolo.

Diversi sport, diversi personaggi, diverse storie. Tutte, però, sono accomunate dallo sport che diventa una prigione per alcuni, come Jerry Smith, ma che può essere un’arena per lanciare dei messaggi rivoluzionari, come nella storia di Dutee Chand. Grandi campioni che oggi si portano a casa un’altra vittoria, anche se ancora parziale: quella per la libertà.

Quest’articolo prende spunto da un pezzo della BBC a firma di Miriam Walker-Khan.

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