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Lara Lugli, un 8 Marzo “es-clusivo”

L’8 Marzo è appena passato e, con lui, tutti quei messaggi di solidarietà, sostegno e apprezzamento rivolti all’universo femminile; anche quest’anno sembra che, a parte i messaggi, nulla sia cambiato. In particolare, il mondo dello sport ha visto venire alla luce una vicenda che esprime chiaramente il concetto di disparità che, da troppo tempo ormai, si respira in società. Anche nello sport, le donne che si accingono a firmare un contratto con una società devono rispondere alla fatidica domanda: figli o non figli? La scelta tra carriera e maternità rimane una costante della vita delle atlete, alle quali sembra essere proibita la possibilità di vivere liberamente la propria vita di donne professioniste e di donne madri, come nel caso ad esempio di Antonella González.

Lara-Lugli
Foto: FILIPPO RUBIN / LVF CITAZIONE DEL CREDIT OBBLIGATORIA

Lo scenario della vicenda, questa volta, è il Volley Pordenone e la protagonista è la schiacciatrice Lara Lugli. È necessario premettere che ad oggi in Italia le pallavoliste non sono considerate professioniste, per cui se dovessero iniziare una gravidanza prima della conclusione del contratto, questo verrebbe concluso senza il risarcimento delle mensilità mancanti. Ed esattamente questo è quello che è successo a Lara. La pallavolista ha, però, preteso che le venisse retribuita l’ultima mensilità e, per questo, è stata citata in giudizio dalla società.

Il contratto tra la Lugli e il Pordenone era stato siglato nella stagione 2018-2019 quando, secondo la squadra, la schiacciatrice avrebbe mentito in merito alla sua volontà di diventare madre, salvo poi rimanere incinta privando la squadra della sua presenza e di numerosi punti nel corso di una stagione già avviata. Per questo la donna è stata citata per danni. In realtà, la situazione, che già di per sé suona di retrogrado e sessista, è ben più grave, dato che la giocatrice, in quell’anno, ha subito un’interruzione di gravidanza.

Per questo motivo e, soprattutto, per le sue colleghe, costrette alle stesse vincolanti normative, la Lugli ha deciso di denunciare sui social l’accaduto e di rivendicare un cambio nei regolamenti.

Ci ho pensato tanto prima di rendere nota la citazione per danni e l’ultimo capitolo della mia vicenda personale, ma ho presto capito che non era un tema sul quale si poteva passare sopra ed essere indifferenti. Non tanto per me, quanto per le tante ragazze che in queste condizioni spesso rinunciano a reagire

Come se non bastasse, la Volley Pordenone è andata avanti accusando la Lugli di non essersi presentata in gara dopo l’interruzione di gravidanza, nonostante fossero al corrente della situazione drammatica. In realtà, secondo la schiacciatrice le cose sarebbero andate diversamente, poiché da parte della società non ci sarebbe mai stato un richiamo in squadra per Lugli. Se il presidente della società, Rossato, ha confermato quanto dichiarato dalla pallavolista, si giustifica, però, con una presunta volontà di non turbare lo stato psicologico fortemente provato della donna.

Quello che però Lara Lugli non ha accettato è la decisione della squadra di citarla in giudizio per danni e, soprattutto, il fatto di avere equiparato una gravidanza ad un qualsiasi inadempimento delle clausole del contratto. Che un club decida, addirittura, di querelare una giocatrice che rivendica il semplice diritto di essere donna rappresenta, forse, uno dei punti più bassi della storia della disparità delle donne nel mondo dello sport.

La storia di Lara Lugli è emblematica di un sistema che, sempre più spesso, sembra non tenere conto del fatto che il raggiungimento della parità sostanziale tra uomini e donne, anche nello sport, è un problema di tutti, perché rappresenta il primo passo verso il raggiungimento di una società integra e inclusiva; un mondo ideale, nel quale lo sport mostrerebbe solo la bellezza della differenza, la diversità intesa come valore e non come peccato. Ma oggi sembra che lo sport sia ben lontano dal raggiungere questa utopia.

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