Andrea Agnelli SuperChampions

Tutti contro Agnelli

La proposta SuperChampions è uno dei temi calcistici del momento. Presentata come una potenziale rivoluzione strutturale e mediatica del calcio europeo, l’ipotetica competizione monstre (si parla di 600 partite l’anno) è riassumibile più o meno come un unico trofeo europeo (niente più distinzione Europa League-Champions) diviso per serie: A, B e C, con promozioni e retrocessioni e con un primo piano assoluto a discapito dei campionati nazionali, per i quali la proposta è persino quella di divenire dei perenni infrasettimanali, mentre il palcoscenico mediatico del weekend sarà ad esclusivo beneficio del nuovo torneo. Paventata come competizione pronta a inserirsi dal 2024, non si può certo dire che abbia incontrato grosso entusiasmo tra i patron dei club italiani ed europei.

È Aleksander Ceferin, presidente dell’UEFA, uno dei primi estimatori e decisi promotori della SuperChampions. Ma se per il numero uno dell’UEFA il ruolo istituzionale fa in un certo senso da parafango rispetto alle accuse di possibili interessi d’élite, è un’altra la figura di club che appare in decisa controtendenza rispetto alla più larga fetta di vertici societari calcistici: il presidente della Juventus, Andrea Agnelli. Quest’ultimo spinge ormai da anni per un rinnovo in toto dei confronti europei, un’attenzione che in molti hanno definito persino “pericolosa”, come ha fatto di recente il quotidiano francese L’Equipe, parlando di “decisioni prese insieme a qualche amico sul destino del calcio europeo”, e definendo esplicitamente il patron dei bianconeri come “uno di quelli che fanno più del male all’idea di universalità del calcio”.

Non c’è andato più leggero il britannico The Indipendent, che ha cavalcato la recente eliminazione della Juve con una frecciata diretta ad Agnelli, invitato a “costruire una squadra adeguata”, piuttosto che “cercare di riordinare il calcio europeo”:

Se Andrea Agnelli vuole riorganizzare il calcio europeo per impedire al suo club di perdere così tanto, forse dovrebbe iniziare dal campo e dovrebbe lavorare sulla costruzione di una squadra adeguata. La Juve è un pasticcio disfunzionale e disordinato, uscito dalla Champions in una di quelle gloriose serate di giustizia poetica che solo lo sport sa offrire

Se qualcuno si chiede il perché di tanta ostilità – al punto da arrivare a far riferimento alla “giustizia poetica” che ricorda tanto una medievale ordalia, all’interno di un pezzo dove si parla pur sempre di sport – forse va fatto qualche passo indietro. Ma senza esagerare, basta fermarsi a poco più di un anno fa, quando Agnelli si esibì in un contro coro mediaticamente pesantissimo in relazione alla storica qualificazione dell’Atalanta in Champions League; tra lodi a Gasperini, a un calcio frizzante e giovanile, all’11 bergamasco come squadra in cui “il totale è maggiore della somma delle sue singole parti“, Agnelli fu lapidario: l’Atalanta in Champions? “Ingiusto, non hanno storia“:

“Proteggere gli investimenti”. Ecco, sembra poco ma è tutto qui. Voi, di fronte a una tela di passaggi che parte da Gollini e che dura 5 minuti netti, coinvolgendo l’intero 11 e portando Gosens a prendere parte a 3 fasi di gioco, fino alla solita assistenza puntuale per Zapata, Muriel o Pasalic, che finalizzano il 63simo gol in appena 27 partite, parlereste mai di investimenti, di bilanci, di azioni, di andamenti di mercato? Io no, come forse molti altri. Ma Andrea Agnelli – formatosi tra Oxford e Bocconi, cresciuto tra conti e piani marketing di Piaggio, Auchan, Ferrari e persino Philip Morris – sembra vedere solo numeri, non necessariamente a torto dal suo punto di vista. Ecco quindi – è questa l’accusa principale mossagli dai più – che la SuperChampions potrebbe essere un modo per standardizzare i vincenti, evitare nuove favole Atalanta e far sì che i numeri diventino un gettone indispensabile: se ti mancano, le tue chance sono molto vicine allo zero, nessuna tela di passaggi o gioco frizzante che tengano.

La passione e l’entusiasmo di un’intera città

Per L’Equipe, le colpe della UEFA nell’appoggiare una direzione simile sono palesi, in primis una debolezza decisionale, l’incapacità di imporsi sulle singole figure:

La SuperChampions finirà per essere figlia della dittatura dei grandi club, della loro avidità e della debolezza dell’Uefa. Lo sport più universale del pianeta è confiscato da una casta davanti alla quale si piegano le istituzioni per timore di uscire dai giochi, e di non poter più condividerne i benefici.

Ma va poi buttato un occhio allo scenario attuale, e va detto che – casi sempre più sporadici a parte – le competizioni europee restano appannaggio di pochi club dal buon portafoglio, di regola sempre gli stessi. È ancora L’Equipe a stimare come il 90% dei 20 club più ricchi d’Europa si rivelino puntualmente quelli ogni anno qualificati alla Champions, dato che già di per sé certifica una prevaricazione delle casse societarie per molti versi inevitabile. A questa già presente situazione – speriamo correggibile – aggiungeteci un buon 50% in meno di attenzione per i campionati nazionali, relegati in secondo piano, e di rimando un -50% di introiti economici. Questo genererebbe un loop ancora peggiore, di fatto una strada senza uscita per chi parte dal basso: crescere, evolversi, sarebbe impossibile.

Ecco quindi, inevitabile, la domanda, ancora una volta evidenziata dal quotidiano francese: è davvero giusto virare verso una strada che potrebbe andrebbe persino a peggiorare la situazione calcistica attuale?

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