Ukaleq Slettemark

Ukaleq, una lepre a caccia di bersagli

Una leggenda groenlandese narra che l’anima di Navagiak, abile cacciatore ma soprattutto uomo amato e rispettato da tutti, continuò a vivere dopo la morte peregrinando da un essere vivente all’altro. Cani, corvi, salmoni, foche, addirittura fili d’erba: tantissimi videro insediarsi in loro lo spirito dell’uomo. Un giorno però, entrando nel ventre di una donna, Navagiak concluse il suo viaggio riprendendo non solo le sue originarie sembianze ma anche il suo vero nome. Al momento del parto infatti, sentendo il pargolo urlare disperato “Navagiak! Navagiak!“, la neo-madre si convinse che quello era l’appellativo giusto da affibbiargli.

rituale groenlandese

Chissà se, riprendendo il mito, anche l’anima di Ukaleq (termine che in lingua groenlandese designa la lepre artica) è trasmigrata in precedenza da un animale all’altro convincendo poi, con lamenti verbali o con qualche particolare tratto somatico, sua madre Uiloq a battezzarla in quel modo. Questo però, come ogni cosa che ha a che fare con narrazioni di carattere leggendario, non è dato saperlo. Quel che è certo invece è che l’Ukaleq in questione, sebbene porti il nome di un animale, non scorrazza vivace per la tundra ghiacciata alla ricerca di licheni o cacciando piccole prede ma fila veloce su un paio di sci, facendo sogni di gloria armata di una carabina calibro 22.

Ukaleq Slettemark

Ukaleq è Ukaleq Slettemark, giovane biatleta di belle speranze che con la lepre artica condivide solo il luogo di provenienza (la Groenlandia) e la scaltrezza dei movimenti. Per il resto, la diciannovenne di Nuuk è essenzialmente il frutto dell’amorevole e umanissima unione tra suo padre Øystein e sua madre Uiloq, un legame che, tra le altre cose, ha lasciato in eredità nella sequenza genetica della loro primogenita (e non solo) una naturale predisposizione per il biathlon.

Ukaleq, infatti, è stata concepita e partorita quando entrambi i genitori imbracciavano la carabina e competevano sul circuito di Coppa del Mondo. Di conseguenza, nei suoi primi anni di vita la piccola ha seguito (senza ovviamente averne grande cognizione) le avventure e gli spostamenti delle proprie figure genitoriali le quali, pur prive di allenatori e dei mezzi logistici delle squadre più attrezzate, sono sempre riuscite a conciliare, di stagione in stagione, le ambizioni sportive con le attenzioni e le cure che la loro bambina esigeva. Il biathlon si può dire fosse da sempre nel destino della giovane groenlandese che tuttavia, allo sport elettivo dei propri tenaci genitori, si è avvicinata con cautela appassionandosi solo col passare del tempo.

Scoperta infatti in maniera piuttosto fugace la potenzialità del fucile all’età di 10 anni, Ukaleq poi, tornando nel 2013 nella natia Groenlandia dopo sette anni in Norvegia, ha abbandonato la pratica del tiro venendo spinta dall’assenza di infrastrutture e dal sorgere di interessi (su tutti il disegno e la pittura) verso altri hobby. Tre anni dopo, tuttavia, in occasione dei Giochi Artici del 2016, ad Ukaleq (l’unica giovane presente in loco che avesse un minimo di conoscenza della materia) viene proposto di prender parte alla manifestazione competendo proprio nelle gare di biathlon. La giovane però, sparato qualche colpo su un poligono provvisorio, è titubante e lo è ancora di più dopo che il test race sotto gli occhi del Principe di Danimarca finisce con molti bersagli mancati e altrettante lacrime sparse sulla neve.

Ukaleq è stata concepita e partorita quando entrambi i genitori imbracciavano la carabina e competevano sul circuito di Coppa del Mondo.

Nonostante ciò, Ukaleq, incoraggiata dalla madre, prende comunque parte all’evento e, assecondando per la prima volta la propensione ereditaria a quella disciplina, fa man bassa di vittorie trionfando in tutte le specialità presenti nel programma di gara. La ragazza (e chi le sta al fianco) capisce che l’exploit non è frutto del caso ma figlio di un talento ancora da sgrezzare e, in particolare, di una passione rampante. Dentro di lei, innescato dal tris di successi, è proprio allora che inizia a farsi strada un impulso sincero e sempre più forte per il biathlon, un trasporto che purtroppo però si scontra con quella che è la dura realtà dei fatti.

Per quanto Ukaleq ami il luogo in cui vive, questo è chiaramente sprovvisto delle infrastrutture base per permetterle di percorrere con profitto la strada tracciata dal suo nuovo amore. Non basta più allenarsi semplicemente andando a caccia, inerpicandosi sulle pareti di roccia e testandosi in lunghe escursioni: se vuole provare a crescere in quello sport deve trasferirsi (e mettere da parte l’idea di studiare arte) e per questo, assieme alla famiglia, salpa nuovamente alla volta della Norvegia. Qui, facendo base a Geilo, trova subito il contesto giusto per migliorarsi e affinare sia la tecnica sugli sci che quella al tiro.

Geilo Norvegia
Geilo, Norvegia

Sulla scorta di progressi piuttosto rapidi, nel 2017 per Ukaleq arriva il momento di esordire in IBU Junior Cup, competizione che la vede impegnata prima ad Hochfilzen e poi a Pokljuka. I primi squilli però arrivano la stagione successiva quando conquista le sue prime top ten ai Mondiali Youth, una manifestazione dove, un anno più tardi, si guadagna definitivamente le luci della ribalta.

Nell’individuale della rassegna 2019 a Brezno-Osrblie infatti, grazie a una gara perfetta senza errori al poligono, Ukaleq finisce sul gradino più alto del podio sorprendendo tutti a partire dagli organizzatori slovacchi, sprovvisti in quella circostanza sia della bandiera che dell’inno nazionale. È una medaglia storica: mai la Groenlandia aveva ottenuto un riconoscimento internazionale di tal valore a livello sportivo.

Il risultato conseguito dalla diciassettenne di Nuuk ha l’effetto di mettere l’isola più grande del pianeta sulla mappa e di accendere l’interesse locale non solo per il biathlon (la cui subitanea popolarità porta le gare a essere trasmesse in TV) ma, più in generale, per la pratica sportiva. Ukaleq, seppur entusiasta per aver smosso le acque ed esser riuscita laddove i genitori, Kristian Kristoffersen, Johanne Mikkelsen, Martin Møller e Aqqaluartaa Olsen (gli unici groenlandesi prima di lei con alle spalle partecipazioni in gare di Coppa del Mondo o Mondiali) avevano fallito, non si fa travolgere dagli eventi e continua per la sua strada, ben conscia del tanto lavoro ancora da fare per raggiungere il suo obiettivo: “Diventare una delle migliori“.

Ukaleq finisce sul gradino più alto del podio sorprendendo tutti a partire dagli organizzatori slovacchi, sprovvisti in quella circostanza sia della bandiera che dell’inno nazionale.

Nel 2019/20 però la sua ascesa subisce per la prima volta un rallentamento a causa di un problema alle adenoidi che la costringe anzitempo ai box. Prima, tuttavia, della rinuncia forzata alle gare, Ukaleq riesce comunque a togliersi qualche bella soddisfazione come il 10° posto nella sprint di Sjusjoen alla prima tappa di IBU Cup della carriera e il 16° nella Single Mixed Junior di Pokljuka, la prima staffetta nella storia della Groenlandia in una competizione internazionale, disputata al fianco del fratellino Sondre.

Ukaleq Slettemark

Smaltita l’indisposizione e dribblando i problemi legati al Covid-19, Ukaleq si affaccia alla nuova stagione con rinnovato entusiasmo potendo contare sull’immancabile e incondizionato supporto di sua madre. È lei infatti, dopo averne curato l’azzeramento e altri aspetti tecnico-logistici a livello Junior, ad accompagnarla mano nella mano nel debutto in Coppa del Mondo ad Hochfilzen, appuntamento al quale la neo-diciottenne arriva preparata grazie ai precedenti allenamenti svolti con Halvor Jørstad e la squadra Under 23 norvegese. Il passo è di quelli importanti visto che Ukaleq finalmente si confronta con le big del movimento (fra cui alcuni dei suoi modelli come Dorothea Wierer) e riporta la bandiera della Groenlandia nella massima competizione del biathlon sette anni dopo suo padre Øystein.

Il risultato (96ª), quindi, passa (quasi) in secondo piano rispetto al peso della sua presenza in Austria dove comunque Ukaleq, raffrontandosi con le migliori, capisce a che punto sia e su che fronti debba ulteriormente impegnarsi. Con questa mentalità, la groenlandese fa la spola tra Coppa del Mondo e IBU Cup, assaggia l’atmosfera di un Mondiale senior a Pokljuka e, dopo un acciacco a Obertilliach, chiude l’annata a Oestersund con il 74° posto (con 1 errore) nella sprint, non senza un pizzico di rammarico per aver mancato la qualificazione all’inseguimento del giorno successivo.

Poco male. L’anno prossimo, archiviate delusioni e soddisfazioni, Ukaleq potrà mettere sugli sci l’importante dose di esperienza accumulata negli ultimi cinque mesi, un arco temporale in cui è riuscita definitivamente a consacrarsi come assoluta protagonista dello sport groenlandese.

Ukaleq Slettemark

Non saranno però questi i colori che difenderà a Tokyo in caso di qualificazione alle Olimpiadi: il CIO, infatti, non riconosce ancora l’autonomia della federazione isolana e pertanto Ukaleq, qualora strappasse il pass per le gare a cinque cerchi, dovrà vestirsi con i vessilli della Danimarca, Paese a cui la Groenlandia è ancora legata politicamente. La poliglotta nordica (sa cinque lingue e vorrebbe imparare il russo) ha già espresso tutto il suo dissenso a riguardo: pur parlando poco la lingua locale, lei si sente orgogliosamente groenlandese e fortemente legata all’isola in cui è nata, un posto in cui ama tornare d’estate per riabbracciare i parenti, riassaggiare l’atmosfera della loro vecchia casetta sul mare e cimentarsi in attività come la caccia e la pesca.

In sostanza, prova per la Groenlandia lo stesso fervore del grande cacciatore di Aluk che, secondo un racconto popolare, era talmente innamorato del luogo in cui si trovava che un giorno, tornato da una battuta di caccia in un posto lontano con il figlio, morì con il cuore che gli scoppiò per la gioia alla vista dei raggi del sole rifratti sugli iceberg all’orizzonte. È lo stesso scenario che Ukaleq difende e porta dentro di sé, un panorama che non rappresenta e non può regalare una nazione come la Danimarca, una terra che, al contrario di Groenlandia e Norvegia, lei non potrà mai chiamare “casa”.

Il CIO non riconosce ancora l’autonomia della federazione isolana e pertanto Ukaleq, qualora strappasse il pass per le gare a cinque cerchi, dovrà vestirsi con i vessilli della Danimarca, Paese a cui la Groenlandia è ancora legata politicamente.

Certi della sua posizione e in attesa che prima o poi il riconoscimento della federazione internazionale abbia luogo, Ukaleq intanto potrà smaltire il malcontento per questa situazione nell’estate che l’attende, un periodo nel quale potrà staccare dall’agonismo e dalle questioni diplomatiche andando in kayak, campeggiando nella natura o avventurandosi in lunghe uscite a piedi o in bicicletta. Il tutto prima di riprendere la propria routine, rianalizzare gare e competizioni (la sua strategia consta nell’azzerare la mente e prendere solo tre cose buone e una cattiva da ogni prova), foderare nuovamente i propri sci con alte ambizioni e compiere un ulteriore passo avanti per risultare sempre più efficace coi propri colpi.

In questo, ancora una volta, la leggenda del suo paese potrebbe darle la giusta ispirazione. Tra i miti che hanno caratterizzato (e ancora oggi sono molto sentiti) la tradizione orale groenlandese vi è infatti anche quello di Kumagdlak che dava vita alle proprie frecce soffiandovi dentro il suo spirito vitale e in questo modo non falliva mai l’uccisione di un nemico.

Ukaleq non ha né frecce né nemici da respingere ma, come lui, ha dei bersagli da inquadrare e dei colpi da indirizzare in maniera accurata e puntuale. Per riuscirci non ha a disposizione il fiato magico né tantomeno altri poteri sovrumani: nel suo caso, gli unici assi nel caricatore sono le doti e la naturale predisposizione al biathlon trasmessele dai suoi genitori i quali, dopo averla messa al mondo, non possono che augurarsi di vederla scattare in cima ad esso con l’agilità di una lepre e la precisione di un cecchino. Come, secondo il mito, lo era l’infallibile Kumagdlak.

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