Neymar O'Ney

O’Ney, che meraviglia!

Una farfalla, poi un serpente e quando serve diventa una tigre. L’accuratezza con cui osserva i suoi compagni e valuta gli avversari e la giocata giusta nel momento corretto gli permette di avere una visione sul campo come un falco che dall’alto osserva i movimenti della preda. I movimenti sinuosi, eleganti, leggeri, permettono al suo talento di ondeggiare sui fili d’erba come un surfista fa sulle onde. La palla rotola sul terreno di gioco e sorride. Sa che ad accarezzarla c’è il piede morbido, delicato, paziente di Neymar da Silva Santos Júnior, amato semplicemente come Neymar oppure O’Ney, un soprannome che va a toccare i cuori di tutti i brasiliani, quello del più grande re del calcio mondiale, Pelé.

Neymar O'Ney

Quando si inizia a parlare di Neymar, nel mondo, lui ha ancora uno scoiattolo in testa, pesa 50 chili bagnato e pensa più a fare i tunnel agli avversari e a umiliarli sul campo piuttosto che andare dritto verso la porta o servire un compagno messo meglio. Doppi passi, biciclette, rabone, sombreri, elastici e altri mille trick che solo lui e un manipolo di freestyler al mondo sanno fare. In Brasile lo hanno paragonato a Ronaldinho, ma il Gaucho era un giocatore diverso seppur con caratteristiche simili. Neymar è più fluido, agile, elegante e leggiadro. Dinho è più ancorato al terreno grazie a due quadricipiti che la natura non ha fornito a O’Ney. Il giocatore nato nel Gremio è più verticale, sempre terribilmente devastante, creativo e fantasioso; probabilmente negli anni al Barcellona il miglior giocatore della storia del gioco, ma differente da Neymar. Ronaldinho era un giocoliere con il pallone nei piedi, ma avevi la sensazione che quei trick fossero funzionali per aprire il campo, per permettere al suo occhio di vedere qualcosa che ancora non era successa. Neymar, invece, è un giocatore più orizzontale, si prende il campo, torna sull’avversario che ha appena dribblato, lo risalta, lo umilia di nuovo, gode a vedere la difficoltà e il sudore addosso agli avversari; è meno cinico, ciò nonostante nelle 103 gare con il Santos è andato in rete 54 volte, merito di una capacità realizzativa fuori da ogni logica. Ed è per questo che oggi, dopo un’evoluzione di stile, gioco, idee, copertura del campo, Neymar è salito al secondo posto, proprio dietro sua maestà, nella classifica dei bomber brasiliani di tutti i tempi.

Al Barcellona non è mai stato il fuoriclasse che tutti si aspettavano. Non significa che l’esperienza sia stata negativa, ma quando entri in competizione con un altro re del calcio è difficile uscirne vincitori. Leo Messi è un divoratore di campioni. O ti metti a sua disposizione,o finisci per perdere il confronto. La parantesi blaugrana, a differenza di quella di Dinho, non è stata illuminante. Sicuramente positiva per la crescita, ma non indimenticabile anche se Neymar si porta a casa un bottino davvero senza precedenti: 68 gol in 123 presenze, tre Coppe del Re, due campionati, due Supercoppe e una Champions League. Ma non è al centro del progetto. Non si sente pienamente coinvolto nelle dinamiche; lui vuole sorprendere, a Barcellona, invece, è costretto a cedere lo scettro di protagonista a Messi. Ha bisogno di una piazza che lo ammiri, che lo idolatri, che si stropicci gli occhi ogni volta che ha il pallone tra gli scarpini.

A chiudere quel buco nell’ego di O’Ney ci pensano gli sceicchi, perché solo una società che non bada a spese poteva permettersi le prestazioni di un’illusionista del calcio. Dopo essere passato per una cifra di circa 88 milioni di euro dal Santos al Barcellona, atterra al PSG dopo il pagamento della clausola di 222 milioni di euro. Mentro lo scrivo mi sudano i polpastrelli. La cifra è pazzesca. È la spesa più alta – per un distacco di quasi 90 milioni – mai spesa per un calciatore. Al secondo posto c’è un altro giocatore del PSG, Kylian Mbappé. Al cospetto della Torre Eiffel, Neymar trova una pace interiore. Forse nella capitale del gusto, dell’arte, della sensibilità, O’Ney mette in ordine le frequenze per entrare completamente in asse con la città. E Parigi lo ama. O’Ney si è conquistato sul campo il rispetto della lega e dell’Europa. Dopo la parentesi blaugrana veniva definito un grande giocatore senza la capacità di restare nella mente delle persone. Resta il gesto tecnico, nei 90 minuti, poi si esaurisce. Come se venisse percepito senz’anima. In Francia, quell’anima gli piomba dall’alto. La terra degli artisti sa apprezzarne uno quando lo vede e i 53 gol in 65 presenze ne sono una reale conferma. Spesso si è parlato di un suo ritorno a Barcellona, non credo accadrà mai a meno che Messi non lasci la città catalana.

Al cospetto della Torre Eiffel, Neymar trova una pace interiore. Forse nella capitale del gusto, dell’arte, della sensibilità, O’Ney mette in ordine le frequenze per entrare completamente in asse con la città. E Parigi lo ama.

A Parigi Neymar non ha solo portato risultati, trofei, gioia, ha cambiato il modo di intendere il calcio. Se prima Zlatan Ibrahimović ed Edison Cavani avevano portato trofei con cinismo, verticalità e strapotere fisico, dal 2017 in avanti il brasiliano ha portato eleganza, magia, felicità, finendo per cambiare anche il suo modo di giocare. Se prima la fascia sinistra era il suo unico reparto, utile per accentrarsi e inventare, a Parigi, senza Messi, senza altri grandi campioni affermati – quanto meno non del suo livello – se non Di Maria e Mbappé, O’Ney sta dove si sente, gira per il campo partendo da sinistra, finendo sulla fascia opposta; si prende sulle spalle l’attacco da falso nueve e mandando a sinistra il giovane fenomeno del calcio mondiale. Neymar decide. E a seconda delle sue scelte, dei suoi movimenti, la squadra sposta le proprie idee, lo mette in condizione di essere il comandante, il leader tecnico che viene assecondato dal suo esercito.

Il doppio confronto con il Bayern Monaco ai quarti di finale di Champions League ne è un chiaro esempio. I tedeschi sono fortissimi. All’andata, in Germania, comandano il gioco, ma bastano cinque fiammate in 90 minuti per vincere il match 3 a 2. Due assist, uno a Mbappé e uno a Marquinhos che dimostrano la capacità di vedere il campo, di conoscere i compagni e gli avversari, e mettono in evidenza un altruismo che spesso non era uscito nelle passate esperienze. Al ritorno, invece, è uno show da solista: Neymar diventa il frontman di una band che fa divertire, che intrattiene, che fa emozionare. La palla è sempre attaccata ai suoi piedi, senza preferenze. Usa il destro come un mago e il mancino come se non fosse una debolezza, e non lo è. Solo un palo, una traversa e le parate di Neuer frenano la gioia di O’Ney che però porta il PSG in semifinale, vendicandosi del Bayern che appena una stagione prima aveva conquistato la Champions proprio ai danni dei francesi.

Tocchi delicati, sinuosi. Il ritmo blando aumenta divenendo una falcata imprevedibile che sposta il centro gravitazionale del gioco, del pallone, dell’attenzione da sinistra a destra alla ricerca di un varco per servire un compagno o prendersi sulle spalle il peso del destino. Neymar è cresciuto, forse ci ha messo di più di altri, ma oggi è diventato il giocatore più spettacolare del mondo. O’Ney, che meraviglia!

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