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La Super League forse non è il male

Le perplessità sono tante e giustificate, soprattutto di fronte a qualcosa che avrebbe potuto stravolgere nel bene e nel male uno status quo a cui da tempo eravamo assuefatti. Ma, superando per un momento l’istintiva reazione del “no” (qui trovate le considerazione negative), concentriamoci sul perché la Super League avrebbe potuto rappresentare un valore aggiunto per tutto il movimento calcistico. 

Da tempo tutti, giornalisti e tifosi, avevamo palesato la sofferenza di un calcio che tendeva ad allargare la forbice tra ricchi e poveri, sperando in una rivoluzione profonda del sistema in grado di creare un equilibrio più sostenibile. Tutti avevamo storto il naso davanti al Fair play finanziario che in nome della stabilità economica aveva ridotto club gloriosi a diventare squadre di seconda e terza fascia, rendendole impossibilitate a competere (e quindi a guadagnare) nei palcoscenici più importanti. Tutti avevamo storto il naso di fronte alla totale inadeguatezza della governance italiana, succube degli interessi di bottega e incapace di porre fine all’emorragia di club falliti o ridimensionati a partire da quella assurda realtà, ammazza club che è la Lega Pro (negli ultimi 15 anni sono 146 i club che non sono stati ammessi ai campionati professionistici ndr). Tutti insomma avevamo segnalato i mali di questo calcio. Ora si è presentata un’occasione di cambiamento.

super league 12 club fondatori
I 12 club fondatori

Si dice ai club che è solo questione di soldi, perché la UEFA che questione ne fa? Una questione di soldi. La FIFA voleva modificare il Mondiale per club sempre per una questione di soldi. È una questione di soldi.

Jürgen Klopp

Se la NLF americana che ha 300 milioni di tifosi nel mondo fattura a livello televisivo il doppio della Champions League che è seguita da 3 miliardi di persone qualche domanda dobbiamo porcela. Prendiamo il 2019, l’ultimo anno pre-Covid. L’insieme dei ricavi della Champions League, Europa League e Supercoppa è stato pari a 3,25 miliardi di euro. Di questi solo il 7% è stato accantonato per i pagamenti di solidarietà e solo 510 milioni di euro sono stati assegnati ai club che hanno partecipato all’Europa League. Già questo dimostra l’iniquità del modello a cui eravamo abituati, ma se poi consideriamo che la vincitrice della coppa dalle grandi orecchie si è aggiudicata appena 55 milioni di euro (senza considerare i bonus del ranking che rappresentano comunque una cifra residuale dell’intera torta), capiamo che, così come sono state pensate, le intere competizioni europee sono state un fallimento sia economico che sportivo (molte delle partite sono state di una pochezza non degna della competizione per club più importante del mondo).

Normale quindi che le squadre che hanno investito di più pretendano un ritorno economico maggiore, che permetta loro di continuare ad espandersi e crescere, investendo in infrastrutture e contenuti. Perché, che ci piaccia o no, il calcio è cambiato e se non capiamo che i club sono anche e sempre di più delle media company, vuol dire che viviamo su un altro pianeta. Il calcio romantico che molti stanno invocando è sparito non domenica 18 aprile, ma almeno 20 anni fa. Basti pensare allo spezzatino delle partite durante il fine settimana. Anche allora si alzarono levate di scudi e consumati litri di inchiostro, eppure ora questa situazione ci sembra del tutto normale per non dire giusta

Il calcio romantico che molti stanno invocando è sparito non domenica 18 aprile, ma almeno 20 anni fa.

Nel suo statuto la Super League afferma che “i pagamenti di solidarietà saranno superiori a quelli attualmente generati dal sistema europeo di concorrenza e dovrebbero superare i 10 miliardi di euro nel periodo di impegno dei club”. Ovvero, una media di oltre 460 milioni superiore del 60% all’attuale cifra garantita dalla Uefa. Se riuscisse davvero a strutturare un meccanismo di retribuzione equo e meritevole, in grado cioè di redistribuire parte dei ricavi agli altri club per evitare la desertificazione, potrebbe diventare un sistema in grado di portare ossigeno a tutto il sistema calcio (soprattutto a quello italiano). Oltretutto, per essere chiari non stiamo parlando di un sistema totalmente chiuso, ma una competizione che permetterebbe ogni anno di far partecipare oltre alle 12 squadre fondatrici (a cui probabilmente si aggiungeranno altre 3 nei prossimi giorni) anche altri 5 club in base alle loro prestazioni sportive nei campionati locali. È la miglior soluzione possibile? Sicuramente no, ma almeno è un tentativo di riformare drasticamente un sistema che ad oggi rischia il collasso.

Certo, resta il tema della modalità con cui è stata annunciata: un comunicato di notte, il giorno prima che venisse presentata la nuova formula della UEFA Champions League. Una modalità brutale, laida che ha dato a questa nuova realtà una veste meschina. Non è nata con i migliori auspici, perché i 12 presidenti non sono stati in grado di preparare il terreno, raccontare ai tifosi il progetto in tutta la sua visione. E ora che il progetto è morto ancor prima di nascere, il calcio è ancora più succube della UEFA.

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