Kobe Goossens

Kobe Goossens, in fondo al tunnel un roseo orizzonte

Spalla, gomito, ginocchio, mano e infine caviglia. Toccateli e poi ripetete in loop. Probabilmente avrete l’impressione di star eseguendo i passi di una qualche strana danza tribale, un balletto ritmato e molto particolare che però non è dato sapere se, a certe latitudini e in qualche angolo sperduto della Terra, esista davvero. Quel che è certo invece è che a Kobe Goossens quell’elenco non rievocherà mai la sequenza di un ballo ma momenti di tutt’altro tipo.

Per lui infatti, corridore in forza alla Lotto-Soudal, quelli non sono altro che i punti dove il suo corpo, in 25 anni di vita, si è spezzato, subendo colpi traumatici e infortuni più o meno gravi da cui, con ammirevole forza d’animo e senza mai voler cedere agli artigli del dolore, in un modo o nell’altro tuttavia è sempre riuscito a guarire.

Spalla, gomito, ginocchio, mano e caviglia. La carriera di Kobe Goossens fino ad oggi è stata indubbiamente segnata più dalle fratture che dalle vittorie. Quelle (molto poche a dire il vero) per il momento sono arrivate solo nel ciclocross, la disciplina che ha fatto innamorare il nativo di Lovanio delle due ruote e quella in cui, inizialmente, si è cimentato con ardimento e ambizioni di gloria.

Tutto è iniziato a sette anni quando il piccolo Kobe, trascinato dal nonno e dal padre a una gara non lontano dalla casa di Baal, rimane folgorato quasi istantaneamente dai funamboli del fango. Da lì, dopo qualche fugace scorribanda in BMX, Goossens ha sempre imbracciato la bici da cross provando a far crescere in parallelo fisico e risultati: il 7° posto a Zolder (2012), il 7° agli Europei di Ipswich (sempre nel 2012) e soprattutto il 1° in Coppa del Mondo a Koksijde nel 2013 (mettendosi alle spalle gente del calibro di Eli Iserbyt e Joris Nieuwenhuis) sono solo alcune delle performance migliori nei primi anni da juniores; un’epoca in cui a Goossens e ai ragazzi come lui, in modo fisiologico, capita di sbagliare e di sperimentare sulla propria pelle le severe leggi che governano il ciclismo: ad ogni discesa corrisponde una salita, ad ogni caduta (o frattura che sia) segue una ripresa. Neanche diciottenne però, nel 2014, l’ambizione e i sogni di Kobe iniziano improvvisamente a correre più veloci delle sue reali possibilità atletiche. Testardo e determinato, Goossens non vuole porsi limiti e per cercare la vittoria nei Mondiali di specialità a Hoogerheide decide allora di puntare sulla leggerezza perdendo peso, un processo che alla sua età, se non controllato adeguatamente, può avere effetti nefasti.

Un’epoca in cui a Goossens e ai ragazzi come lui, in modo fisiologico, capita di sbagliare e di sperimentare sulla propria pelle le severe leggi che governano il ciclismo: ad ogni discesa corrisponde una salita, ad ogni caduta (o frattura che sia) segue una ripresa.

È proprio questo ciò che succede al belga. Kobe diventa progressivamente troppo magro, perde chili ma anche tono muscolare e, quel che è peggio, avvia un rapporto conflittuale col cibo. Il suo è un vero e proprio tuffo nel buio, un buio che lo assottiglia e lo riduce pelle e ossa portandolo al confine con l’anoressia. A salvarlo, paradosso dei paradossi, è un’operazione a cui viene sottoposto nel 2015 per risolvere alcune noie al ginocchio. Lì, durante la riabilitazione e le tre settimane di forzata inattività, Kobe si dimentica dei limiti e delle ossessioni per ciò che deve ingerire, guadagnando dieci chili e abbandonando gradualmente quell’assurdo senso di colpa. Rientrato in limiti accettabili di peso e senza più i fastidi impedenti al ginocchio, Kobe si ributta fiducioso nel fango ma, tolto qualche saltuario piazzamento nei dieci, non brilla come nelle stagioni precedenti.

È a quel punto che, a fine 2017, Kobe decide di seguire l’invito del suo manager (nonché compaesano ed ex leggenda del cross) Sven Nys, il quale già da qualche tempo gli aveva suggerito e messo in testa il tarlo di passare al ciclismo su strada, una specialità in cui, in virtù delle sue caratteristiche, a suo avviso avrebbe avuto un futuro più brillante. Il cambiamento non è di poco conto: la passione per il cross arde ancora forte in Goossens ma la tangibile “mancanza di esplosività” e, in particolare, il pensiero di una carriera più florida in bici non possono più essere ignorati. Il belga dunque, da ragazzo che sa ascoltare (una delle doti che il due volte iridato di ciclocross lavorando con lui gli ha sempre riconosciuto), alla fine accetta di convertirsi all’asfalto.

Kobe diventa progressivamente troppo magro, perde chili ma anche tono muscolare e, quel che è peggio, avvia un rapporto conflittuale col cibo. Il suo è un vero e proprio tuffo nel buio, un buio che lo assottiglia e lo riduce a pelle e ossa portandolo al confine con l’anoressia.

Il passaggio avviene nella formazione Under 23 della Lotto-Soudal, squadra in cui approda grazie al suo preparatore del tempo e fisioterapista Tim Aerts (nessuna parentela con quel Toon, bronzo agli ultimi Mondiali di Ostenda) che, lavorando all’interno della compagine belga, lo aveva già provvidenzialmente segnalato a Kurt Van de Wouwer, uno dei direttori sportivi.

Costui, dopo averne seguito per un po’ le gesta nel cross, decide di dargli fiducia ma non fa in tempo a vedere di cosa Kobe sia capace che a giugno, dopo appena quattro mesi della stagione 2018, si trova a rincuorarlo su un letto d’ospedale. Goossens è lì perché ha rimediato una brutta frattura alla caviglia al Tour de Savoie Mont Blanc, l’ennesimo incidente di una carriera che rischia ora di non decollare mai più. Dopo l’operazione i medici gli danno appena il 20% di possibilità di tornare a correre in bici. Kobe perde morale, il pensiero che tutto sia finito e che debba iniziare a studiare per diventare un poliziotto investigativo (quello che avrebbe fatto se non avesse corso in bici) comincia davvero ad affiorare nella sua mente ma, con il caloroso sostegno del suo direttore sportivo e di altre poche ma fondamentali figure (i familiari, il dottore Kris van der Mieren e l’onnipresente Tim), non demorde e si convince, giorno dopo giorno, che il tramutare in realtà quella bassa percentuale sia qualcosa di possibile ma legato indissolubilmente alla sua volontà.

Realizzato dunque come non ci possa essere spazio per il pessimismo se vuole ricominciare a sognare sui pedali, Kobe affronta con pazienza la lunga riabilitazione riprendendo a muovere la caviglia solo tre mesi dopo l’incidente. In successione reimpara a camminare e a coordinare i movimenti, gesti diventati inusuali per lui in seguito alle tante settimane passate con le stampelle. Non solo: oltre alle funzioni motorie, il belga apprende anche che “spesso ci si ritrova da soli ad affrontare i momenti più duri ma che, credendo in se stessi e non perdendo mai la speranza e il desiderio di realizzarsi, […] si può raggiungere qualsiasi cosa nella vita“. Con questo insegnamento a renderlo più forte e a guidarlo nel suo percorso di recupero, passati sei mesi Kobe riassapora il rotondo piacere della pedalata e ha un’altra possibilità di mostrare il proprio valore.

Grato dell’opportunità datagli, Goossens non la spreca e nel 2019 vince la classifica degli scalatori al Circuit des Ardennes, chiude settimo il Tour du Loir et Cher E Provost e conquista una tappa e la classifica generale del Tour du Jura, risultati che convincono a fine anno i dirigenti della Lotto-Soudal a fargli fare il salto tra i professionisti con la squadra World Tour. La promozione che Kobe festeggia al termine della stagione però non è solo la diretta conseguenza di un’adeguata preparazione e di ordini d’arrivo eccellenti ma è anche, se non soprattutto, il frutto di un fino lavoro di caparbietà, grinta e attitudine alla sofferenza. Tutte doti che l’hanno portato a spiccare e che anche nel 2020, pur in una stagione condensata causa Covid-19, gli permettono di farsi spazio e guadagnarsi da neoprofessionista la convocazione per la Vuelta a España.

Spesso ci si ritrova da soli ad affrontare i momenti più duri ma, credendo in se stessi e non perdendo mai la speranza e il desiderio di realizzarsi, […] si può raggiungere qualsiasi cosa nella vita

Nella gara iberica a tappe il nativo di Lovanio testa la sua resistenza, il suo recupero e le sue qualità in salita supportando i compagni e, quando la corsa glielo permette, lanciandosi nelle fughe di giornata. Nonostante questo approccio decisamente dispendioso, Kobe chiude al 24° la classifica generale risultando il miglior belga in graduatoria, un qualcosa che non sorprende chi lo conosce bene come Sven Nys, perfettamente consapevole di quanti cavalli possa sprigionare il motore del ragazzo. Per l’ex stella del ciclocross, Kobe “non diventerà immediatamente uno da top ten nei grandi giri (obiettivo che Kobe vorrebbe raggiungere in quattro anni ndr.) ma potrà vincere delle tappe“, una previsione a cui, dopo gli exploit in salita all’ultimo Giro di Romandia, Goossens potrebbe dare contorni reali lungo le strade del Giro d’Italia 2021. La Corsa Rosa con le sue cime impervie e i suoi passi mitici potrebbe lanciare Kobe e segnare finalmente una svolta definitiva nella sua travagliata carriera. Certo, non sarà semplice venir fuori da un contesto altamente competitivo in cui sono in tanti a cercare riscatto, successo e redenzione. Lui però, come dimostrato in passato, ha aggressività, mentalità e abilità atletiche che possono aiutarlo a fare la differenza in più frangenti e che, nel complesso, ben si sposano con le caratteristiche della selettiva gara a tappe italiana.

Dopo spalla, gomito, ginocchio, mano, caviglia e la resurrezione da un tunnel buio e quasi impenetrabile, la gioiosa e vivace cornice rosa della corsa del Bel Paese potrebbe dunque, come mai prima d’ora, esaltare il cuore e le gambe di Kobe, un ragazzo che con i sogni ha rinsaldato le fratture e che con la passione ora proverà a staccare tutti da ruota.

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