roberto baggio

Noi siamo Roberto Baggio

Una volta ho fatto un sogno.

L’erba del campo era umida, il cielo nuvoloso, il sole sorvegliava un rettangolo dall’alto. C’era un pallone che rotolava, rotolava di continuo. Si sentivano urla, schiamazzi, fischi. E più su, fuori dal rettangolo di gioco, sopra un teatro c’erano decine di migliaia di persone che sventolavano bandiere, agitano mani, ridevano e festeggiavano. A un certo punto un uomo vestito, diverso da tutti, richiamava l’attenzione dei presenti. Stava succedendo qualcosa che nessuno avrebbe voluto vedere. Lo si leggeva sui volti delle persone sugli spalti. I sorrisi si trasformavano in lacrime, gli abbracci in preghiere, le bandiere in striscioni.

Il tempo si fermava. Lo scroscio degli applausi diventava sempre più fragoroso, dirompente, quasi devastante non appena l’uomo con il numero dieci sulle spalle che vestiva di bianco, con una V celeste su petto alzava le mani al cielo. I cuori tremavano, le mani sudavano. Qualcosa di magico stava accadendo, ma nessuno aveva ancora capito cosa. Baggio, era questo il nome sulla sua maglietta, stava uscendo dal campo. Riceveva i saluti di chi, come lui, fino a poco prima rincorreva quel pallone che rotolava. Qualcuno lo abbracciava, gli sussurrava qualcosa all’orecchio. Gli osservatori eranov tutti in piedi per quest’uomo con un lungo codino che gli scolava dietro il collo. Sembrava che stesse lasciando qualcosa, sembrava che uscendo dal campo fosse l’ultima volta che tornava a correre dietro quella sfera. Come se stesse per fuggire, come se stesse per uscire di scena, per andare in un posto che nessuno conosceva, ma tutti sapevano dov’era.

roberto baggio

È il 16 maggio del 2004. Al minuto ’84 Roberto Baggio esce per l’ultima volta da un campo di calcio mentre viene applaudito e osannato da tutti i presenti. Da quel momento diventa un sentimento, diventa una leggenda, entra di diritto in tutti i cuori degli appassionati. Il calciatore più romantico, più affascinante, più emozionante di sempre lascia il calcio. Qualcuno ha cantato le sue gesta, qualcuno ha, invece, sottolineato la sua mancanza, la nostalgia che causa la sua assenza sul campo da gioco. Altri hanno dedicato illustrazioni, podcast, murales, magliette. Definire Roberto Baggio è un’impresa titanica, divina, oserei dire, omaggiando il suo soprannome. Marco Bucciantini, nella ristampa aggiornata del libro Roberto Baggio – Il campione di tutti, lo ha descritto così: “Quando penso a Baggio, penso al cielo. Penso al cielo stellato di Van Gogh. Straordinario, ma anche da incubo, stelle luminose e vortici dolorosi, bellezza estrema e fastidio per qualcosa di irrisolto“.

Qualcosa che non c’è più o che è mancato durante una carriera comunque straordinaria costellata da 205 gol in Serie A e 27 in Nazionale. Trofei, successi, un Pallone d’Oro eppure, come suggerisce Marco Bucciantini, quando si pensa a Baggio si pensa a qualcosa di irrisolto, qualcosa che è mancato, che poteva accadere e non è successo: si pensa al gol sfumato contro la Francia nel ’98, agli scontri e gli scetticismi di alcuni allenatori e del rigore sbagliato a Pasadena ’94. È vero, come suggerisce nel libro Pizzul: “Non sarebbe cambiato nulla“.

Ma perché Baggio è così amato nonostante tutto. Nonostante le maglie cambiate, nonostante gli errori, nonostante le chance sprecate. Secondo Stefano Borghi la motivazione è solo e soltanto una: “Baggio è l’essenza di questo sport. E quando sei il calcio non c’è etichetta, non c’è possibilità di sporcarti, di danneggiarti e chi ti vede e apre un minimo gli occhi, la mente e il cuore non può non essere innamorato del calcio“.

Il mito, l’epica, la narrazione del calcio di Baggio è un racconto umano, terribilmente umano. Tra dolori, fatiche, sacrifici, incidenti, cadute, risalite, successi, gioie, lacrime e ricordi. La carriera di Roberto Baggio è stata scandita dal cuore dei tifosi, dall’amore per il calcio, dalla voglia di essere deliziati da qualcuno in cui, umanamente, potevi riconoscerti. Baggio non è stato perfetto, non è stato un robot o un extraterrestre come siamo abituati a vedere alcuni sportivi o i recenti Messi e Cristiano Ronaldo. Baggio è amato da tutti e ricordato con grande affetto ed emozione perché Roberto Baggio è un dio umano. Divinamente elegante, tecnico, creativo sul campo da gioco, maledettamente umano negli infortuni, negli errori, nelle occasioni mancate. Noi amiamo Baggio perché tutti noi siamo Roberto Baggio. Nelle nostre vite, nelle nostre routine siamo bravi, ci impegniamo, abbiamo talento, classe, dedizione e costanza, ma poi manca qualcosa perché siamo umani. Questo è il motivo per cui Baggio è il campione di tutti.

Baggio è l’essenza di questo sport. E quando sei il calcio non c’è etichetta, non c’è possibilità di sporcarti, di danneggiarti e chi ti vede e apre un minimo gli occhi, la mente e il cuore non può non essere innamorato del calcio

Sono le 16.45 del 16 maggio 2004, quando l’arbitro Giannoccaro di Lecce ferma il match. Mancano cinque minuti al termine del campionato, ma De Biasi vuole regalare a Roberto un momento magico, che non tornerà più indietro. Fabio Caressa ha una stretta in gola dall’emozione, ma deve continuare: “Si chiude qui una delle carriere più belle della storia del calcio italiano. Esce dal campo per l’ultima volta forse il giocatore più amato del calcio italiano. Sicuramente uno dei più forti di tutti i tempi – nel frattempo Paolo Maldini, che con lui ha vinto lo scudetto al Milan otto anni prima lo abbraccia, lo abbraccia forte, come fosse un fratello – lascia il campo, Roberto Baggio. Grazie“.

Una volta ho fatto un sogno.

C’era un uomo con il codino appoggiato sulla sua casacca, aveva il numero dieci sulle spalle. Stava uscendo da un rettangolo verde, applaudito e osannato da tutti gli spettatori. Sembrava un addio, ma tutti avevano la stessa sensazione: uno così non sarebbe tornato mai più. Ho scelto di non svegliarmi, voglio tenere vivo quel momento per sempre.

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