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Naomi Osaka e l’insostenibile leggerezza dell’essere

Tutti vorremmo essere campioni, numero 1 del mondo, vincitori di slam, ma questo non ci renderebbe comunque immuni dalle difficoltà che la vita spesso presenta. Non è stato, anzi non è così, per Naomi Osaka. Il grandioso talento giapponese, capace di sconfiggere Serena Williams nelle finali slam, dotata di un gioco spaventoso, si è ritirata dal Roland Garros 2021 per motivi che non hanno nulla a che fare con il Tennis, inteso come gioco. Sono motivazioni che hanno a che vedere con quello che il tennis rappresenta, quello che il tennis muove.

Naomi ha dichiarato che dopo la vittoria slam del 2018 ha sofferto di depressione, un lungo e doloroso percorso arrivato fino ad oggi, quando ha comunicato via social che non avrebbe più partecipato alle conferenze stampa post partita, con la motivazione di voler preservare la propria salute mentale. Queste le parole di Naomi:

Spesso ho avuto la sensazione che le persone non abbiano il minimo riguardo verso la salute mentale degli atleti e questo lo percepisco quando vedo una conferenza o vi partecipo. Restiamo spesso lì seduti a rispondere a domande che ci sono già state fatte diverse volte in passato, o a domande che alimentano i dubbi nella nostra mente, e io non ho intenzione di essere soggetta a persone che dubitano di me. Ho visto molti video di atleti che in sala stampa crollano dopo una sconfitta  […..] . Mi sembra che l’intera situazione significhi infierire su una persona che è già in difficoltà, e non ne capisco la ragione.

Il tema della salute mentale in epoca di pandemia è molto attuale, ed è stato frequentemente discusso dagli atleti che hanno vissuto nelle famose “bolle”, condizione necessaria per rispettare le norme di sicurezza anti-Covid. In questo caso, a mio parere, la discussione vira verso un tema se possibile ancora più complesso, ovvero la libera scelta di una persona, nel caso specifico di un’atleta, di sottoporsi alle domande di professionisti che, spesso, sono più interessati alla drammatizzazione degli avvenimenti piuttosto che alla realtà che si vede in campo.

Oggettivamente le procedure post-partita che riguardano la stampa, almeno per il tennis, richiedono molta energia e pazienza da parte degli atleti  e raramente si assiste ad interviste con contenuti interessanti. Il tennis è una grande macchina e come tutte le macchine ha bisogno di carburante. La stampa è la cassa di risonanza: crea i personaggi e permette alla stessa macchina di approvvigionarsi dei finanziamenti di sponsor, pubblico, utenti ed appassionati. Naomi è il primo pilota di un certo livello che mette in discussione la macchina. I giornalisti, ed era lecito aspettarselo, si sono indignati descrivendo i giocatori dissidenti quali bambini viziati che non gradiscono le critiche.

I colleghi blasonati hanno naturalmente detto che capiscono Naomi, comprendono le ragioni, le sono vicino, ma che stanno con la stampa ed i media in generale. Ashleigh Barty, la numero 1 al mondo, ha provato a dire che partecipare alle conferenze stampa sono difficili ma che rientrano nei doveri di una atleta di un certo livello. Rafael Nadal dice che la capisce ma che i giocatori hanno un debito di riconoscenza e di fama con la stampa. Altri giocatori si sono dimostrati più comprensivi, in particolare chi ha passato stagioni brutte magari a causa di un infortunio.

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Il sistema si autoconserva, cerca di mantenere se stesso, respinge le perturbazioni, respinge i “difetti”, come un Matrix qualunque. Dopo la Stampa, dopo i giocatori, sono intervenute le istituzioni tennistiche, di solito sempre divise, che in questo caso si sono riunite in un’unica voce di condanna e di minaccia verso la giapponese. Si è cercato di mettere nell’angolo un’atleta che ha semplicemente mostrato un’opinione diversa, un punto di vista differente. Il timore sollevato dalla Stampa era quello dell’emulazione, ossia del rischio che tutti i giocatori avrebbero potuto seguire l’esempio di Naomi disertando in massa le conferenze stampa; a mio avviso si tratta di un timore infondato, che dimostra come la Stampa ignori, o finga di ignorare, il grande narcisismo degli sportivi che farebbero di tutto per farsi conoscere di più. C’è chi come Novak Djokovic al perenne inseguimento dello status di “più grande di tutti i tempi” organizza tornei e tour a suo nome; c’è chi come Roger Federer gioca più negli spot pubblicitari che in campo; chi spacca sedie o fa dichiarazioni scandalose per non farsi dimenticare. Il timore della stampa è certamente infondato, anzi forse il rischio è proprio il contrario, ossia che gli atleti possano parlare anche senza le conferenze stampa, anche senza giornali, magari gestendo autonomamente i propri profili. D’altronde, come è successo quando Naomi Osaka si è ritirata dal Western & Southern Open lo scorso agosto 2020 prima della semifinale come gesto di solidarietà con il ferimento di un afroamericano da parte della polizia statunitense ed in linea con il movimento Black Lives Matters, può succedere il contrario, con i media a rincorrere l’atleta che è un passo avanti. Forse questa paura ha contribuito ad accendere i toni e a superare i limiti.

Il tennis è una grande macchina e come tutte le macchine ha bisogno di carburante. La stampa è la cassa di risonanza: crea i personaggi e permette alla stessa macchina di approvvigionarsi dei finanziamenti di sponsor, pubblico, utenti ed appassionati. Naomi è il primo pilota di un certo livello che mette in discussione la macchina.

Che Naomi sia un passo avanti lo dimostrano anche i recenti fatti di Parigi: prima ha subìto la minaccia di una multa di 15.000 euro, spiccioli per lei che nel 2020 ha guadagnato 60 milioni di dollari; poi la minaccia di una squalifica dal torneo. A questo punto Naomi ha deciso di ritirarsi, dimostrando che non è la fama, non è il blasone che le danno la motivazione, ma è l’amore per un gioco, per uno sport, per il Tennis.

Osaka ha dichiarato che le difficoltà provengono dal lontano 2018, probabilmente proprio da quella calda serata newyorkese in cui batté sonoramente la beniamina americana Serena Williams che ebbe una crisi di nervi aggredendo verbalmente il giudice di gara. Si sollevò un polverone, tutti inseguirono le lacrime della Williams, le sue dichiarazioni in conferenza stampa. Non si celebrò a dovere l’impresa di un fenomeno di 20 anni che aveva compiuto una grande impresa. Non si parlò del gesto sportivo; si parlò del dramma di una vanitosa pluricampionessa che non ha mai accettato la fine, inevitabile, della sua carriera. Da quel momento nella potente ma fragile mente di Naomi si è inserito un tarlo che ne ha messo in discussione le certezze a fronte di risultati strabilianti, a testimonianza che il campo di tennis è la metafora della vita.

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