Potevo fare il trequartista - Luciano Bianciardi
Luciano Bianciardi (Agenzia: farabola) (NomeArchivio: 17525701.JPG)

‘Potevo fare il trequartista’, scritti e risposte di un fuoriclasse

Bianciardi trequartista è un’istantanea su un fuoriclasse irripetibile.

Potevo fare il trequartista non è soltanto il titolo di questo gustosissimo volume che la casa editrice  GOG Edizioni ha sapientemente deciso di dare alle stampe, ma soprattutto una dichiarazione di intenti che raccoglie alcune pagine esilaranti di uno degli scrittori più sovversivi del Novecento italiano: Luciano Bianciardi. Con la scusa di raccogliere gli scritti e le battute a sfondo sportivo di un finissimo osservatore della sua epoca, come l’autore de La Vita Agra, l’opera in realtà ci regala una prospettiva interessante e divertente dello scrittore di origine toscana. Ma delle origini di Bianciardi sarebbe meglio parlarne dopo aver letto questo libro.

Luciano Bianciardi era un uomo arrabbiato, scontroso; nell’immaginario collettivo era il grande demolitore dell’antennone, il fustigatore della Milano del miracolo italiano. Questa immagine, vera solo in parte, probabilmente ha giocato non poco nell’archiviarlo come scrittore minore, nonostante le rivalutazioni degli ultimi quindici anni e il successo che durante gli anni Sessanta gli permisero di trasformare il proprio romanzo di maggiore successo in un dei film più belli di quelli periodo, con tanto di Tognazzi e Jannacci in forma smagliante.

luciano bianciardi

Forse, invece, aveva ragione proprio Brera, il collega venerato da Bianciardi, che dello scrittore grossetano diceva che non era cinico ma troppo fragile, troppo buono. Ecco forse questa versione di Bianciardi ci convince di più e meglio si associa al volume che ho tra le mani. Potevo fare il trequartista è anche una riflessione sul giornalismo sportivo, categoria nella quale lo scrittore incorona Gianni Brera come unica star del genere.

Cioè io credo che i giornalisti sportivi non siano una razza a sé, diversa dal resto dell’umanità. Sono uomini che scrivono, come me e come lei. Non esiste, dunque, il giornalismo sportivo, se non come astrazione.

Nella prima parte del libro troviamo raccolte le lettere scritte dai lettori del Guerin Sportivo e Il Giorno, in quello che Bianciardi definiva il suo salotto immaginario. Naturalmente le lettere indirizzate allo scrittore sono assolutamente fuori dall’ordinario: chi scrive per insultare Bianciardi perché è comunista, chi lo insulta perché è toscano, chi per partito preso. Ma le risposte sono altrettanto esilaranti. Senza scomporsi Bianciardi risponde punto per punto ad ogni richiesta di opinione e ad ogni insulto, sfoderando il suo formidabile guizzo per la battuta costruita in modo complesso, sfoggiando una penna chirurgica e funambolica di cui ovviamente i suoi amanti avranno semplicemente conferma. Le domande, certo, partono da questioni sportive ma toccano sempre poi la attualità, come quando un lettore chiede se sia giusto festeggiare i risultati di Gigi Riva e il suo mitico Cagliari quando sull’isola ci sono guai ben più pesanti come il banditismo per esempio. “Non si scandalizza un uomo – chiede il lettore – della sua sensibilità sociale quando la Regione sarda investe delle ingenti somme nel calcio distogliendole dagli stanziamenti per le scuole e gli ospedali?

Ma altrettanto arguta e antropologica è la risposta di Bianciardi che ricorda come il calcio sia proprio senso di aggregazione e citando un pastore sardo si chiede se senza il calcio i sardi ci “guadagnerebbero qualcosa“. Riva e Rivera saranno i calciatori più citati e stimati dallo scrittore che al primo dà quasi un potere taumaturgico e di simbolo di una certa italianità. Per Rivera il discorso sarà invece diverso: capitato nella sua fase discendente, Bianciardi non ci sta a definirlo con epiteti canzonatori.

Vada piano quando parla di larve. Anche Corso, anni dietro, pareva una larva, e oggi lei vede come gioca. Diamo tempo al tempo (e moglie a Rivera) e poi staremo a vedere. Io non butterei via il mandrogno, anche perché mi diverto a vederlo giocare.

Calcio come effetto delle mode e degli anni, come quando si definisce il ruolo del terzino moderno passato da “scarpone” a fine giocatore di costrizione.

Oggi la gente ha il palato più difficile, vuole il disimpegno, l’alleggerimento, il terzino di spinta, o, addirittura, di attacco, come Giacinto Facchetti.

Chissà cosa avrebbe detto oggi Bianciardi di Hakimi.

Potevo fare il trequartista - Luciano Bianciardi

A chi gli chiede: “Luciano, dimmi, se tu non fossi un toscanaccio maledetto (ma simpatico ed intelligente), vorresti essere lombardo o napoletano? Perdonami un affettuoso rilievo: per essere tu un toscanaccio con- testatore e spregiudicato, sei persino deamicisiano e garbatissimo nelle tue risposte ai lettori. È il giornale che ti proibisce di essere più polemico e cattivo?” Bianciardi risponde: “Non voglio fare il toscanaccio di professione, perché è una parte che non mi va. E neanche voglio fare l’arrabbiato fisso, io mi arrabbio quando c’è da arrabbiarsi e sono garbato quando parlo con la gente garbata.” Quello che Bianciardi non accetta di essere è una bandiera, un monumento, un’origine definita e fissa. “Perché milanesi non si nasce, si diventa“, così l’identità che viviamo è quella che arriva da molte occasioni fortunate e sfortunate, scelte e non scelte.

La carriera sportiva del resto è il simbolo nella precarietà esistenziale. Al racconto delle possibilità dell’identità si affianca in Bianciardi la sovrapposizione di politico e sportivo con vette di lirismo altissimo come nel racconto C’è il derby a San Siro niente cinque giornate – dal memorabile sottotitolo – Luciano Bianciardi dimostra come e perché il Campionato di calcio può modificare il corso della storia. La straordinaria fantasia eclettica dello scrittore si fa sentire anche quando gli viene chiesta una formazione papabile di attori del cinema italiano e tra Sordi, Gassman e Ciccio Ingrassia compare anche la grande Sophia nazionale “per il posto di centravanti terrei in serbo Sophia Loren, che ha fisico e dribbling assai idonei al ruolo.” In barba agli organizzatori della Partita del Cuore cinquant’anni dopo.

Ad arricchire il volume ci sono lettere degli amici famosi, o conoscenti sarebbe meglio dire, che a volte come dei professionisti degli assist gli passano domande su cui Bianciardi può sfoderare tutta la sua classe da trequartista di spinta: Adriano Celentano, Carmelo Bene, Vittorio Gassman; domande geniali e risposte spiazzanti più di un rigore di Messi. Spicca però quella di Gino Paoli, uomo sornione e arguto, che tra una riflessione escatologica ed una ministeriale chiede se “Con l’abolizione del fuorigioco la partita di calcio non sarebbe più imprevedibile e più spettacolare? … Non le pare?” La risposta è straordinaria, un momento di puro ludibrio per la mente e il cuore che si risolverà in una stupenda riflessione che va oltre il calcio, lo stadio, lo sport, i confini: “Il fuorigioco mi sta antipatico, come tutte le regole che limitano la libertà di movimento e di parcheggio.

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