dorando pietri

Dorando Pietri, il “doping” alcolico e l’onore della sconfitta

Il 1948 fu una data felice per lo sport mondiale: per la prima volta dopo 12 anni tornavano le Olimpiadi. La Seconda Guerra Mondiale aveva bruciato generazioni di giovani e promettenti atleti, ma nel ‘48 il mondo guardava con speranza e sollievo al futuro, e così era anche nello sport. Il ritorno dei Giochi Olimpici aveva portato eccitazione soprattutto a Londra dove i Giochi si sarebbe svolti. In un’euforia da nuovo Rinascimento in cui ognuno cercava di raccontare a suo modo il grande evento, il 30 aprile, qualche mese prima dell’inizio della manifestazione, l’Evening News pubblicò un’intervista con un atleta italiano che si credeva morto da diversi anni e che a Londra doveva la sua fama: Dorando Pietri

L’uomo smentì la sua dipartita e mostrò qualche foto d’epoca, girando qua e là per la capitale britannica, ospite d’onore di più di una cerimonia. Raccontò di come dopo il ritiro dall’atletismo professionistico aveva aperto un pub a Birmingham, il Temperance. La notizia fece il giro del mondo e arrivò anche in Italia, provocando l’indignazione di molti. In particolare, quattro carpigiani, compaesani dell’atleta, organizzarono una spedizione per andare a Birmingham ed incontrare l’uomo che affermava di essere il famoso Pietri. Visitarono il pub, chiesero documenti e coppe, gli parlarono in dialetto senza ottenere risposta. L’imbarazzo era evidente. L’uomo mostrò qualche medaglia di recentissimo conio, continuando a non capire le domande. Alla fine venne smascherato: si chiamava Pietro Palleschi, proveniva da Calamecca nei pressi di Pistoia. I quattro lo denunciarono mentre stava per partire per Londra per essere lo starter della maratona olimpica. 

dorando pietri

Ma chi era Dorando Pietri e perché le persone volevano essere lui? Per capirlo bisogno tornare indietro ancora di 40 anni, alle Olimpiadi del 1908, le prime ad avere una cerimonia di apertura.  Quelle Olimpiadi, svoltesi sempre nella terra d’Albione, fecero parlare fin da subito a causa di Ralph Rose, il portabandiera statunitense, che si rifiutò di abbassare la bandiera del suo Paese davanti al re britannico Edoardo VII, e di un altro atleta statunitense che commentò l’episodio dicendo che la bandiera degli Stati Uniti “non si inchina davanti a nessun monarca al mondo“. 

All’epoca Pietri era un semisconosciuto maratoneta che arrivò a quelle Olimpiadi dopo aver abbandonato per uno strano malore i Giochi Olimpici intermedi, che si tennero per celebrare il decimo anniversario delle Olimpiadi moderne. La maratona di Londra iniziò alle 14.30 del 24 luglio e alla partenza c’erano 56 atleti. Pietri era quello che si notava di più per la sua minuscola corporatura (non raggiungeva nemmeno il metro e sessanta). Come scrisse in un lungo e dettagliato articolo dal titolo Come ho corso, uscito sul Corriere della Sera il 30 luglio, già dalla partenza si accorse subito della differenza tra lui e i corridori inglesi: 

E poi noi non sappiamo come partire perché nessuno ce l’ha insegnato: ci mettiamo in moto, come farebbe un qualsiasi pedone dopo una fermata, ma senza slancio. Invece tutti gli inglesi partono secondo un sistema che hanno accuratamente studiato. Prima del segnale della partenza stanno chinati carponi, colle mani a terra. Appena la pistola dello start spara, si slanciano innanzi con un grande salto: questo movimento dà subito loro un vantaggio di tre o quattro metri sui corridori italiani.

Quel 24 luglio il caldo era torrido, il termomentro registrava 26°C. Si racconta che molti astanti per sopravvivere a quell’afa si buttarono nel Tamigi. La gara iniziò e Pietri partì piano per poi accelerare e superare uno dopo l’altro gli avversari fino ad arrivare al comando del gruppo.

Quando siamo a quattro chilometri e mezzo dallo stadio Hefferon non ha più di 200 metri di vantaggio. La folla mi incita. Lo capisco dal suono delle voci, degli applausi; ma non la vedo. Quando passo Hefferon egli mi guarda a lungo con un’occhiata tanto triste e poi si sdraia a terra.

Quando superò il 40esimo chilometro era ancora in testa, lo stadio era lì ad un passo. Dopo due chilometri entrò nel White City Stadium, la folla era in piedi per lui.

​​La folla mi incita. Lo capisco dal suono delle voci, degli applausi; ma non la vedo. Quando passo Hefferon egli mi guarda a lungo con un’occhiata tanto triste e poi si sdraia a terra.

Ad un tratto però qualcosa si inceppò. La lucidità iniziò a scemare e una volta nello stadio si mise a correre nella direzione sbagliata. Quando dagli spalti glielo fecero notare, iniziò a correre nella direzione giusta, ma il passo divenne sempre più lento, le gocce di sudore inondarono le orbite degli occhi, la bocca spalancata elemosinava aria e poi di colpo il buio.

Ad un tratto, ad uno svolto, do un balzo. Vedo là in fondo una massa grigia, che pareva un bastimento col ponte imbandierato. È lo stadio. E poi non ricordo più.

Gli inglesi un po’ perché si affezionarono a quello strano personaggio italiano un po’ perché, dopo lo smacco della bandiera, non avrebbero potuto sopportare che lo statunitense John Hayes, che tallonava Pietri, vincesse quella gara così importante, lo aiutarono a rialzarsi: due giudici si avvicinarono e uno da un lato e uno dell’altro lo sorressero fino al traguardo. Pietri arrivò primo, terminando la maratona in 2 ore e 54 minuti, ma uscì dallo stadio in barella. Dei 56 partenti solo 27 arrivarono al traguardo, tutti gli altri si ritirarono. Dopo la gara, Hayes reclamò contro l’illecita vittoria dell’italiano e i giudici ci misero diversi minuti prima di squalificare Pietri e assegnare l’oro all’americano. La regina consorte Alessandra, però, decise comunque di dare a Pietri una coppa d’oro in onore alla sua valorosa ed epica corsa.

Dorando Pietri premiato dalla regina Alessandra, già principessa di Galles
Dorando Pietri premiato dalla regina Alessandra, già principessa di Galles

Ma nonostante gli onori, il tracollo di Pietri lascia ancora oggi aperte diverse congetture. La celebre foto che ritrae l’arrivo dell’italiano al traguardo mostra un particolare sospetto: nella mano stringe un pezzo di sughero. Era comune per i corridori alleviare la tensione delle mani e delle dita stringendo un cuneo di sughero, ma spesso capitava che una volta che il sughero veniva scavato dal continuo stringere, fungeva da recipiente per vino, brandy e altre bevande energetiche discutibili. Non di rado si vedevano atleti che, convinti di migliorare le proprie prestazioni, durante la gara ricorrevano a bicchierini di brandy, spumante e persino alla stricnina (il veleno per topi). Per quanto assurda possa sembrare, all’epoca di Pietri le persone credevano davvero che l’alcol e i cocktail di stricnina fossero potenziatori delle prestazioni; oltre a ritenere che la disidratazione si trattasse meglio con il vino che con l’acqua. Le bevande venivano distribuite come Gatorade ai maratoneti, una pratica di certo non nuova dato che l’assunzione di alcol negli atleti è iniziata nell’antica Grecia e nella Cina imperiale

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L’arrivo al traguardo, “scortato” dai due giudici

Ogni atleta aveva le sue sostanze potenzianti. Le più comuni includevano oltre all’alcol e alla stricnina anche l’eroina e la cocaina che avevano lo scopo di mascherare il dolore, aumentare l’aggressività e ottenere una rapida sferzata di energia. Gli allenatori spesso avevano i loro cocktail segreti e i corridori non smisero di usare eroina e cocaina, come additivi per migliorare le prestazioni, fino agli anni Venti, quando le droghe divennero sostanze soggette a prescrizione medica; e gli atleti si sono ubriacati durante le gare fino agli anni Settanta. L’alcol era celebrato per i suoi effetti stimolanti e per l’alto contenuto di zucchero (energia). Lo champagne era uno dei preferiti grazie alla sua presunta effervescenza ringiovanente. E, poiché l’uso della stricnina come pesticida non era ancora stato scoperto, si credeva che basse dosi rinvigorissero gli sportivi. 

La prima edizione dei Giochi Olimpici moderni, quelli del 1896, passò alla storia anche grazie al maratoneta greco Spiridon Louis che rovesciò un bicchiere di cognac prima di tagliare il traguardo e vincere l’oro. E ancora, durante la maratona olimpica di St. Louis del 1904 Thomas Hicks sorseggiava regolarmente cocktail quasi mortali di stricnina, brandy e solfato.  Ed è certo che alcuni corridori durante la maratona di Londra del 1908 avessero fatto uso di alcol e stricnina. Lo stesso Johnny Hayes ammise di aver fatto un gargarismo energizzante di brandy durante la gara, e anche la medaglia di bronzo Joseph Forshaw trincò del brandy, affermando che dopo “si sentiva bene” e fu in grado di continuare fino all’ultima tappa.

È facile quindi pensare che anche Pietri fece uso di uno di questi strani cocktail, e che questo gli causò il collasso finale. Ma ciò non toglie nulla alla sua epica sconfitta. Anzi, se è possibile aggiunge maggior rammarico e commozione perché come scrisse Arthur Conan Doyle, presente allo stadio in veste di cronista,:

​​Tra tutti gli spettatori nessuno avrebbe desiderato che la vittoria fosse strappata all’ultimo istante a questo piccolo italiano sfortunato. Aveva vinto. Avrebbe dovuto.

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