Lachlan Morton
Credits: EF Education Nippo

Lachlan Morton e la recherche français

Flash dei fotografi, discorsi e saluti alle autorità, cerimoniali da rispettare: è questo ciò a cui si è dovuto sottoporre Tadej Pogačar, vincitore del Tour de France per il secondo anno consecutivo e, come nel 2020, sul gradino più alto del podio non solo per vestire la prestigiosa maglia gialla ma anche quella bianca di miglior giovane e quella a pois di miglior grimpeur. La sua impresa, realizzata con la forza, la freschezza e il talento unico che gli appartengono, ha letteralmente annichilito le ambizioni della concorrenza, a partire da Jonas Vingegaard e Richard Carapaz, rispettivamente secondo e terzo alle sue spalle con ritardi che non si vedevano dall’affermazione di Vincenzo Nibali nel 2014. Il verdetto della strada è stato, come al solito, netto e inappellabile e ha premiato il corridore che nelle tre settimane di corsa più si è distinto per completezza, fame e costanza di rendimento.

Tadej Pogačar
Tadej Pogačar

A ben vedere, però, la stessa strada che ha consegnato al nativo di Komenda la seconda vittoria al Tour della carriera ha emesso anche un’altra sentenza altrettanto chiara: al fianco del giovane sloveno, c’è un altro uomo che può e deve essere considerato a tutti gli effetti un degno vincitore per quanto realizzato sugli asfalti d’Oltralpe. La sua incoronazione, in barba alle celebrazioni formali e alle ricorrenze studiate fin nei minimi dettagli, è avvenuta lontano dalle telecamere ben cinque giorni prima che il gruppo approdasse nella Ville Lumiere. Mancavano il podio, le miss, la risonanza e i fasti che hanno fatto da contorno alla premiazione di Pogačar ma questo a Lachlan Morton non interessava e, è bene dirlo, non gli sarebbe mai interessato. A lui sono bastati i primi chiarori dell’alba e gli aloni giallognoli dei lampioni, i complimenti di qualche sparuto fan e l’abbraccio di sua moglie, le due bottiglie di champagne un po’ ingurgitate e un po’ versate sui sanpietrini dei Campi Elisi e l’inquantificabile soddisfazione per aver portato a termine il Tour. Il suo (incredibile) Tour.

Come i compagni della EF Education Nippo e gli altri coraggiosi presenti al via da Brest, anche l’australiano si è misurato con le 21 tappe della Grande Boucle 2021 e, come loro, è giunto stanco e sudato a Parigi.

Lachlan Morton
Credits: EF Education Nippo

Solo che, sfogliando la startlist e gli ordini d’arrivo, il nome di Morton non è mai apparso. Possibile che ci sia stato un errore? No. Perché “Lachy” i 3414 complessivi del tracciato li ha effettivamente coperti ma lo ha fatto in costante fuga dal gruppo (sul quale è passato dall’avere qualche chilometro di vantaggio fino a giorni interi), aggiungendone altri 2096 (sempre in bicicletta) e pedalando sempre senza alcun supporto se non quello delle proprie gambe e della propria testa. Morton, in sostanza, si è divorato in solitudine 5510 km (e 65500 mt di dislivello), il corrispettivo di tutte le 21 frazioni della corsa e di tutti i trasferimenti tra le sedi d’arrivo e quelle di partenza successive. Lungo il tragitto, il corridore nativo di Port Macquaire ha sempre provveduto da sé a rifornirsi di cibo e acqua, a trovare una soluzione per ovviare a problemi meccanici e inconvenienti di vario genere (le vesciche ai piedi su tutti) e a individuare la zona migliore in cui sistemare il proprio sacco a pelo per passare la notte. Nessuna comodità quindi, nessun’assistenza, nessun giorno di riposo, nessun massaggiatore a cui dare in cura le proprie gambe affaticate e nessun hotel in cui rifocillarsi e trascorrere una benefica notte al caldo.

Il risultato è stato che Lachlan è arrivato a Parigi cinque giorni prima non solo della carovana gialla ma anche rispetto alla sua personale tabella di marcia, completando dunque in soli 18 giorni un’avventura a scopo benefico (l’obiettivo era raccogliere fondi per procedere alla donazione, tramite la no profit World Bicycle Relief, di centinaia di biciclette ai più bisognosi) a cui lui e la sua squadra hanno dato il nome di Alt Tour ma che, visto i confini entro cui è andata in scena, poteva benissimo chiamarsi Tour de la Recherche, ovvero Tour della ricerca. Una ricerca interiore e sportiva.

Lachlan è uno dei volti più anticonvenzionali del World Tour, lega professionistica che l’australiano (come dimostra il primo addio del 2014) non ha mai sentito come sua. Troppo logorante, ripetitiva e ossessivamente incentrata sui risultati la massima categoria per permettere a uno spirito libero come il suo di realizzarsi e togliersi delle soddisfazioni. Queste invece l’australiano, dopo aver capito che frequentando i soli contesti professionistici avrebbe perso la sua passione per la bicicletta, se le è tolte negli ultimi anni facendo ciò che maggiormente sentiva nelle sue corde, ovvero misurarsi con sé stesso prendendo parte a gare endurance e sfide sempre più estreme.

Lachlan è arrivato a Parigi cinque giorni prima non solo della carovana gialla ma anche rispetto alla sua personale tabella di marcia, completando in soli 18 giorni un’avventura a scopo benefico

Leadville Race Series, Everesting, Dirty Kanza, GBDuro (“L’avventura più incredibile della sua vita” realizzata viaggiando dall’estremità meridionale al punto più settentrionale della Gran Bretagna), Three Peaks Cyclocross, Badlands (gara di oltre 700 chilometri nel sud della Spagna da lui vinta in 43 ore fermandosi appena 19 minuti). È in questi contesti, assolutamente inusuali per un corridore professionista, che l’animo avventuriero di Morton (incline fin da bambino a mollare tutto per tuffarsi in esperienze fuori dal comune sulle due ruote) si è puntualmente esaltato trovando appagamento e gioia, umanità (quella che spesso nel World Tour viene sepolta sotto una marea di discorsi su watt, classifiche e piazzamenti) e stimoli.

È qui insomma che Lachy ha riscoperto e riscopre ogni volta la vera essenza del pedalare e del ciclismo, una disciplina la cui bellezza, nel suo caso, si rivela davvero solo vivendo in simbiosi con il mezzo stesso e gli scenari (naturali o urbani) che man mano ci si trova ad attraversare. L’Alt Tour, pensato e propostogli dal suo manager alla EF Jonathan Vaughters, si può leggere proprio in questa prospettiva: quella di un uomo voglioso di testarsi con un’altra prova, un altro obiettivo e altri limiti da superare per tornare interiormente ad abbeverarsi alla fonte della felicità più pura e genuina. Assieme a quest’esaltante missione però, Morton, da amante della storia delle due ruote, è andato anche alla riscoperta delle radici del suo sport, dello spirito originario con cui i pionieri del ciclismo eroico si sono lanciati nelle prime edizioni di gare poi diventate leggenda. Correre senza il supporto dell’ammiraglia, obbligato ad arrangiarsi da sé e privo di qualunque comodità moderna lo ha inevitabilmente avvicinato allo stile dei primi forzati della strada e agli eventi di inizio XX secolo, un’epoca in cui le corse, prima che competizioni in bici, per le condizioni in cui si svolgevano spesso assumevano i tratti di vere e proprie gare di sopravvivenza.

Decine di anni dopo le loro imprese su percorsi sterrati e polverosi, Lachlan (certamente aiutato dal peso molto più contenuto delle bici di oggi e dalle condizioni delle strade del 2021) ha dimostrato con una semplicità figlia di un’incredibile forza interiore che non solo è ancora possibile percorrere lunghe distanze a buone andature per più giorni, ma anche che è possibile fare tutto ciò con 20 chili di peso accessorio sul telaio e senza gli agi e l’assistenza (tecnologica e non) che dominano il ciclismo contemporaneo.

Lui però non si è imbarcato in questo Tour de France alternativo per smentire qualcuno o rinfacciare chissà cosa. I suoi unici intenti erano quelli di provare a concludere positivamente un progetto ambizioso, godersi l’avventura con i suoi alti e bassi, immergersi in paesaggi che di solito alle andature del gruppo non può apprezzare e così, proseguendo la sua complessa ma soddisfacente liaison con la fatica, fare il pieno di emozioni. Il tutto, come se non bastasse, per una buona causa. Il risultato, a giudicare dal sorriso (quello di un uomo sfigurato dallo sforzo ma tremendamente orgoglioso per quanto compiuto) mostrato la mattina del 13 luglio da Lachlan e dall’ammontare della cifra raccolta, è stato esaltante sotto tutti i punti di vista. Grazie alla recherche dell’australiano, molta più gente si cimenterà nei prossimi mesi con la bicicletta, un mezzo sul quale, c’è da giurarci, Morton continuerà a ispirare e a stupire la collettività coltivando i suoi sogni di gloria solitaria in giro per il mondo.

Sul prossimo traguardo, però, ovunque esso sia, Lachlan molto probabilmente troverà comunque qualcuno ad applaudirlo: non sarà una folla oceanica ma qualcuno che col cuore avrà apprezzato il suo sforzo e che, da lui, si sarà fatto trascinare o si trascinerà nella ricerca di una felicità semplice. Quella che ogni volta, ad esempio, regala una pedalata.

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