vittorio gassman

Vittorio Gassman, prima del teatro il basket

Fuggito in seguito al Sacco di Roma, l’architetto e scultore Jacopo Sansovino arrivò a Venezia su invito del doge Andrea Gritti, il quale vedeva in lui la figura perfetta per attuare il suo progetto di rinnovamento architettonico della città lagunare. L’architetto fiorentino progettò uno degli edifici più iconici della Venezia del Cinquecento, la Scuola Grande della Misericordia. Una struttura imponente che con il tempo si arricchì delle opere d’arte degne della tradizione veneziana: Veronese, Zanchi, Lazzarini, Pellegrini e Domenico Tintoretto, figlio del celebre Jacopo, per fare alcuni nomi. L’architetto, però, non riuscì a vedere mai la sua opera completata giacché i lavori continuarono per altri duecento anni. Nel corso del tempo la “fabrica” fu un alloggio militare, un magazzino, l’Archivio di Stato e dal 1914 fino al 1976 fu la sede della società ginnica Costantino Reyer, fiore all’occhiello dello sport veneziano. Una realtà sportiva che con il passare degli anni, soprattutto grazie alla pallacanestro, divenne il simbolo dello sport lagunare al punto da caratterizzare l’identità stessa di quel luogo, che oggi è conosciuto come uno dei templi del basket europeo. Una sede unica non soltanto per la straordinarietà dei suoi spazi, ma anche perché teatro di epiche battaglie; una su tutte: la sfida decisiva del campionato 1941/42 in cui i veneziani sconfissero la Mussolini Parioli Roma.

All’epoca dei fatti il basket non era uno sport professionistico come oggi, ma infuocava gli animi, appassionava i tifosi, insomma era uno sport seguito e amato. La squadra romana era di proprietà dei fratelli Vittorio e Bruno Mussolini (a quest’ultimo fu poi dedicato il nome della società in seguito alla sua tragica morte nel 1941), tra i primi ad appassionarsi alla pallacanestro: avevano prima giocato e poi, con le incombenze dei loro ruoli politici e militari, si erano dedicati all’ambizioso progetto della società capitolina. E proprio nella squadra dei fratelli Mussolini appena 16enne fece il suo esordio Vittorio Gassman

Prima dell’Accademia nazionale d’arte drammatica, prima del teatro e del cinema c’era una sola passione che animava il futuro Mattatore del palcoscenico: il basket. 189 centimetri, corpo snello e muscoloso, Gassman si fece subito notare sul parquet già durante gli anni al liceo Tasso, dove compagni e avversari lo soprannominarono “Gallinaccio” per via della sue lunghe leve dinoccolate. Non aveva grande tecnica, ma il suo gioco si basava sulla prestanza fisica e sul tiro a una mano: una soluzione balistica abbastanza innovativa a quei tempi, ben distante dal consueto e pionieristico rilascio bimane. Stile di gioco che gli permise di giocare sulla terra battuta di via Antonelli, nei Parioli – epicentro della gerarchia fascista – e di esordire nella massima serie come una delle promesse più interessanti del basket italico, arrivando a vestire anche la maglia della selezione nazionale in una tournée statunitense, prima che la guerra cancellasse ogni sua velleità sportiva. 

vittorio gassman

Se in quegli anni lo sport fosse stato veramente professionistico, difficilmente Vittorio avrebbe abbandonato la pallacanestro. Era superiore a tutti per passione e volontà

Fulvio Ragnini, ex compagno di squadra di Gassman

Ma la sua, seppur breve, carriera cestistica è da ricordare per una delle partite più importanti ed emozionanti del primo Novecento. Era il 14 giugno 1942 e la squadra romana doveva affrontare la Reyer Venezia. Chi avrebbe vinto sarebbe diventato campione. L’atmosfera era elettrica. La cornice non poteva essere migliore: il salone al primo piano della Misericordia, una campo coperto (un vero lusso all’epoca), la palestra più bella del mondo, un santuario inespugnabile. Le tribune ancora non c’erano, perciò i tifosi erano tutti ammassati a bordo campo a creare una bolgia che tra quelle mura del Cinquecento amplificava la sua eco. Tra gli astanti c’erano anche Ezio Loik e Valentino Mazzola, allora tra le fila del Venezia che in quello stesso anno passeranno al Torino, rendendolo Grande.

La partita fu tesa e nervosa al punto che la Reyer concluse la gara con solo 4 uomini in campo dei 7 a referto. Eppure nonostante l’inferiorità numerica, sospinta da un pubblico “enorme” – le cronache dell’epoca usarono proprio questo aggettivo per definire il clima della partita – vinsero la partita 33-28 e si laurearono campioni. Un’impresa che i giornali dell’epoca esaltarono senza, però, omettere le critiche al giovane Gassman che segnò solo 3 desolanti punti. Una prestazione che la Gazzetta dello Sport riassunse in un commento che sapeva di epitaffio:  

Vittorio Gassman delude, accecato ormai dalle luci della ribalta

Gassman non giocò più, ma il basket lo portò sempre con sé, a partire dalla sua gestualità, dall’uso delle mani, caratteristica centrale della sua recitazione. Portò il basket nelle case degli italiani grazie al suo indimenticabile Giove. Era il 20 febbraio del 1959 e sulla RAI il Giove-Gassman venne ripreso intento a giocare a pallacanestro tra le nuvole.

‘È il suo hobby preferito‘ dicono le dee; ‘Mandate un bel cablogramma a quegli sbruffoni degli Harlem Globetrotter: che quando vogliono la paga, Giove è pronto!‘ la risposta dell’attore.

vittorio gassman giove

E come dichiarò il professor Bosio, autore di un’accurata biografia gassmaniana:

Il suo passato da cestista gli è stato utile in vario modo: l’ha travasato in alcune sue esperienze teatrali e ha affrontato il suo mestiere come fosse una partita da vincere a tutti i costi. Sul tema aggiungerei anche un aneddoto: la precisione della mano gli permetteva sempre di lanciare una scarpa dalla platea e centrare il malcapitato attore oggetto dei suoi strali

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