roberto baggio

Perché gli atleti falliscono sotto pressione?

Secondo una ricerca effettuata dall’Istituto di Neuroscienza Cognitiva dell’University College di Londra, il cervello di uno sportivo in situazioni di pressione ha reazioni del 10% più rapide rispetto a quello di una persona che non pratica attività sportiva. Questo perché gli sportivi sono abituati ad affrontare continuamente situazioni di stress e la loro mente è abituata a reagire tempestivamente agli imprevisti. Almeno, nella maggior parte dei casi…

Quante volte abbiamo visto calciatori sbagliare il rigore decisivo? Quante volte cestisti fallire il tiro della vittoria? Quante volte tennisti talentuosi rimanere impietriti durante i tornei più prestigiosi del mondo?

Capita spesso che molti atleti, per quanto dotati di capacità tecniche sopra la media, “soffochino” quando sono sotto pressione. L’incapacità di gestire l’ansia in un momento cruciale può portare a un catastrofico calo delle prestazioni. Quando la pressione in una partita aumenta, cresce anche l’ansia in un atleta; questa innesca la paura di perdere o di danneggiare uno status quo, consuma l’attenzione e la memoria, ostacolando le prestazioni. Quando gli atleti sono ansiosi, pensano troppo e focalizzano l’attenzione sull’esecuzione tecnica e su tutti quegli aspetti che generalmente, a furia di allenarsi, sono automatici. È quella che in psicologia viene definita Paralisi da analisi: lo sforzo mentale inibisce di fatto la performance.

A. Mark Williams e Tim Wigmore in The Best: How Elite Athletes Are Made hanno evidenziato come negli ultimi 30 secondi delle partite più serrate di NBA, i giocatori hanno il 3,1% in meno di probabilità di segnare su un tiro libero rispetto ad altri momenti della partita. Ed è più probabile, quando i giocatori effettuano tiri liberi nelle partite casalinghe, che li manchino quando il pubblico è più numeroso. Secondo i due autori, massimi esperti di psicologia sportiva, i migliori atleti riescono a incanalare positivamente l’ansia che provano soprattutto se hanno un’elevata autostima. Questi atleti percepiscono l’ansia come il segno per affrontare una nuova sfida. 

Ma i migliori sono anche quelli più abili nel superare velocemente le delusioni durante un match. Come ha dichiarato Annika Sörenstam, considerata la miglior golfista della storia:

Devi solo imparare a dissociarti: fai una rapida analisi, boom. Dimenticalo, vai avanti, non portarlo con te, impara dai tuoi errori. Abbiamo fatto tutti brutti colpi.

I migliori atleti fanno un maggior uso del dialogo interiore positivo e della capacità di rilassamento, dimenticando preoccupazioni e pensieri negativi. Alcune caratteristiche della loro personalità, come l’essere resilienti e persino il narcisismo, possono ulteriormente isolarli dalle devastazioni dell’ansia. È dimostrato che gli atleti ansioni usano i loro occhi in modo meno efficiente. I giocatori di ping pong e di tennis in preda al nervosismo e all’ansia trascorrono più tempo a fissare la palla e meno l’avversario, il che può ridurre la loro capacità di raccogliere informazioni contestuali e anticipare le mosse. Altre risposte indotte dall’ansia includono l’ipervigilanza, un campo visivo ristretto e una maniacale attenzione agli aspetti irrilevanti. 

L’allenatore dell’Inghilterra, Gareth Southgate, ha passato 22 anni a ripensare al rigore sbagliato nella semifinale persa contro la Germania a Euro ’96, cercando di capire cosa fosse andato storto. La sua conclusione fu che si era precipitato. “Tutto quello che volevo era la palla: metterla sul posto, farla finita e farla finita“, ha scritto in seguito. Uno studio ha dimostrato che quando i giocatori iniziano la rincorsa meno di un secondo dopo che l’arbitro ha fischiato, la loro percentuale di successo è di un misero 58%. 

Devi diventare forte, una roccia. Sennò non sopravvivi. È stato un anno molto duro. Qui a Los Angeles i media sono molto aggressivi e sì, forse tendono a giudicarmi prima del tempo. Anche i fan sul campo sembra che mi abbiano già giudicato, ma loro sono tifosi, fanno il loro mestiere, non ho nessun risentimento. Gioco a basket, la mia terapia. La mia fuga da ciò che mi sta succedendo. Forse mi diverto più in allenamento che in partita.

Kobe Bryant

Alcuni atleti sono dotati di vantaggi psicologici dalla nascita, ma questi non sono immutabili. Interventi volti ad aumentare la forza mentale possono migliorare le loro prestazioni. Più i giocatori si esercitano, più imparano a gestire l’ansia e ad aumentare la concentrazione. Mantenere le routine pre-partita, ad esempio, rende i giocatori più tenaci sotto pressione. Non è un caso che oramai la maggior parte degli atleti venga affiancata anche da mental coach in grado di migliorare la loro resistenza alle crisi d’ansia. Alessandro Gazzi ha commentato così la sua ultima stagione al Bari, quella della retrocessione in serie B:

D’un tratto divenni incapace di gestire la mia emotività, traballante, sospesa tra critiche interne ed esterne. Non fu facile e soprattutto non riuscivo a darmi una spiegazione. Questa incapacità di valutare gli eventi con obiettività iniziò ad aumentare sempre di più, finché mi sono ritrovato in preda a paure che aggredivano il mio fisico stressato. Sentivo le gambe tremare, come se ad ogni istante dovessero cedere. Ci furono week end nei quali, dentro di me, speravo di non scendere in campo, tanto forte era il disagio che provavo. Giocai diverse partite con un’ansia che paralizzava i miei gesti, rendendo i movimenti meno fluidi. Ero consapevole della mia rallentata reattività mentale ma non riuscivo a placare le spiacevoli sensazioni fisiche che il mio corpo mi dava.

Si dice spesso che nessun allenamento possa replicare esattamente le pressioni dei momenti più importanti delle partite. Ma sebbene questo sia in parte vero, un allenamento mentalmente più stressante può aiutare gli atleti a far fronte alla pressione sul campo. Come scrive Beilock: “Una delle cose veramente importanti è esercitarsi nelle condizioni in cui si andrà a performare. […] Spesso c’è una mancanza di attenzione nell’allenarsi in situazioni di estrema pressione. Gli studenti migliorano nel sostenere i test quando fanno prove pratiche in tempo reale: si tratta di colmare il divario tra il modo in cui ti eserciti e il tuo rendimento“. E non c’è nessuna ragione per cui lo stesso principio non si possa applicare agli atleti.

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