gezi park ultras

Tutti al Gezi Park!

Tutto iniziò come una semplice protesta ambientalista. Una cinquantina di ragazzi preparò un sit-in nei pressi del parco di Gezi, una delle poche aree verdi di Istanbul, per protestare contro la proposta della sua rimozione in favore della costruzione di un complesso edilizio in stile ottomano, una riproduzione della Caserma Militare di Taksim. Ben presto, in seguito alla violenza spropositata usata dalla polizia contro i manifestanti, la protesta travalicò la sfera ambientalista per diventare una contestazione contro il governo autocratico di Erdogan. Idranti, lacrimogeni lanciati ad altezza uomo, proiettili di gomma, agenti in tenuta antisommossa pronti con il manganello a pestare chiunque (anche minorenni), questa fu la risposta del governo per intimidire e reprimere sul nascere quella pacifica manifestazione. Ma ottenne l’effetto contrario. Giorno dopo giorno migliaia di persone, per lo più ragazzi, si unirono alle proteste; le contestazioni investirono non solo Istanbul, ma tutte le principali città della Turchia, destando anche l’attenzione internazionale. Il parco di Gezi divenne il simbolo della massa silenziosa che per la prima volta si faceva sentire con forza contro l’oppressione di un governo oscurantista e dispotico. Kemalisti, ambientalisti, socialisti, comunisti, anarchici, libertariani, femministi, attivisti per i diritti LGBT, nazionalisti e islamisti anticapitalisti, tutti insieme a protestare in quei mesi d’estate del 2013. Nessuno si aspettava un coinvolgimento così numeroso. E il movimento di Gezi park riservò un’ultima ed eclatante sorpresa: per la prima volta gli ultras delle maggiori squadre di Istanbul marciavano insieme, spalla a spalla in un clima di fratellanza che fino ad allora sembrava inconcepibile. Basti pensare che appena due settimane prima delle proteste di Gezi alcuni ultras del Galatasaray avevano accoltellato un tifoso del Fenerbahçe alla fermata dell’autobus.

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UltrAslan, il principale gruppo ultras del Galatasaray, si è guadagnato la fama di essere uno dei più temibili di tutta Europa, accogliendo i tifosi avversari con striscioni come “Benvenuti all’inferno” e immagini sataniche. Vive e prospera sulla sponda occidentale del Bosforo, nel quartiere più europeo della città, Galatasaray appunto. Dall’altro lato del Bosforo, sulla sponda orientale, nel distretto di Fener ci sono gli ultras della seconda squadra turca per numero di trofei, il Fenerbahçe. I detrattori li accusano di essere dei parvenu fascisti, sottolineando come lo stesso Erdogan abbia ammesso una simpatia per i “canarini gialli”, ma tra le fila del Fenerbahçe non ci sono solo gruppi ultras di destra; gli Outside left e i Vamos bien sono tra i promotori dell’opposizione a un calcio “industrializzato” e si sono uniti alle proteste di Gezi.

Per capire il rapporto tra gli ultras delle due squadre basta ricordare che per buona parte della Süper Lig il “derby intercontinentale” è stato giocato senza i tifosi ospiti. “Perfino chi è fermamente convinto che una partita di calcio non sia degna di questo nome se non sono presenti le tifoserie di entrambe le squadre, farebbe fatica a contestare la decisione delle autorità sportive di aprire gli stadi a una sola fazione durante i derby” ha scritto un giornalista dell’Hürriyet Daily News. 

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Tifosi del Besiktas durante le proteste

Infine, ai piedi di piazza Taksim ci sono i tifosi del Çarşı, famoso gruppo ultras della terza squadra della capitale turca, il Beşiktaş. A differenza delle altre due squadre, il Beşiktaş è visceralmente legato al proprio quartiere di appartenenza, popolato per la maggior parte dalla classe lavoratrice. Il Çarşı, che spesso sostituisce la “a” del nome con il simbolo dell’anarchia, si dichiara “contro tutti e tutto“. E in effetti, questi ultras sono stati i primi a intonare il coro “Siamo tutti neri!” per solidarizzare con un loro giocatore vittima di insulti razzisti, e “Siamo tutti armeni!” che in un Paese come la Turchia non è uno slogan da cantare a cuor leggero. Il movimento di estrema sinistra, che oramai è una forza politica irrilevante in Turchia, trova tra le fila del Çarşı uno spazio in cui poter ancora portare avanti le proprie idee. Il Çarşı è il gruppo ultras più estremo del panorama turco; non ha paura di schierarsi, non ha paura di schierarsi contro i poteri forti. Non a caso è stato tra i primi a unirsi alle dimostrazioni di Gezi e a dare l’abbrivo alle contestazioni più impetuose. Ha portato la propria esperienza di scontri in piazza in un movimento acerbo, innocente e completamente sprovvisto di conoscenze sulle tattiche di guerriglia. Come dichiarato dai manifestanti, sono stati proprio i tifosi del Çarşı a tenerli al sicuro, a interrompere sul nascere le risse, a insegnargli come sfuggire alla polizia e a come trovare rifugio.

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Poche ore dopo la comparsa del Çarşı a Gezi park arrivarono anche i tifosi del Gala e del Fenerbahçe. Il pensiero di tutti fu che quegli ultras si erano accordati per provocare i manifestanti e rovinare tutto, ma quello che accadde ebbe dell’incredibile. Energumeni, che fino al giorno prima si insultavano e picchiavano, erano lì a braccetto in un clima di fraternità assoluta; corpulenti tifosi del Galatasary insieme a donne con la maglietta del Beşiktaş; tifosi di ogni colore con gli striscioni del Çarşı, tutti cantando:

Spalla a spalla contro il fascismo!

Di solito ogni gruppo ultras ha un’affiliazione politica, perciò non sorprende che gli ultras di sinistra fossero in prima fila a protestare o che il gruppo UltrAslan decise di non prendere parte a quello che stava accadendo. Ma la cosa incredibile è che a scendere in piazza a centinaia, a migliaia furono anche semplici tifosi di tutti e tre i club, spesso insistendo per abbracciare i loro rivali. Un clima di amicizia del tutto spontaneo. In quel momento le rivalità passate non contavano più nulla. L’odio nato dal tifo era irrilevante. Quello che aveva senso era la convinzione di essere nel giusto. Il calcio non si misura quasi mai con i parametri del giusto e sbagliato. Come potrebbe? È talmente viscerale e irrazionale che quello che si fa non ha mai senso, nel modo in cui noi lo intendiamo. Ma lì in quel contesto non c’erano ombre: il tifo si prestava ad una giusta causa.

Le proteste di Gezi durarono per tutta l’estate. Il computo finale fu di 11 morti, 8.163 tra feriti e intossicati, e oltre 4.900 arrestati, di cui 35 del Çarşi all’inizio condannati all’ergastolo per terrorismo e poi prosciolti. A settembre, subito dopo i fatti di Gezi, durante la partita Beşiktaş-Galatasary alcuni tifosi del Gala invasero il campo lanciando i seggiolini contro la polizia, mentre i tifosi del Beşiktaş, ignorando il divieto di intonare cori politici nello stadio, cantarono un coro solenne in memoria di Ali Ismail Korkmaz, un tifoso picchiato a morte dalla polizia durante una delle tante marce in sostegno del movimento di Gezi park. Ma la spinta euforica del movimento si esaurì: i tifosi non crearono una fratellanza duratura, la città voltò pagina e Recep Tayyip Erdoğan è rimasto al potere, di fatto rafforzando la sua posizione e portando la Turchia agli estremi del dispotismo. Ma il parco di Gezi è ancora lì e di tanto in tanto compaiono ancora delle scritte in ricordo di quello che è stato. I protagonisti di quegli eventi sono divisi: alcuni sono amareggiati perché quel movimento non si è trasformato in una forza politica rilevante, gli altri guardano il parco e dicono: “Abbiamo vinto.”

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