francesco guccini

Guccini, il calcio e le osterie di fuori porta

Lo ammetto. Legare Guccini al calcio è un po’ come raccontare ad un bambino delle storie dell’orrore: è folle. Lo è perché del calcio a Guccini interessa poco, se non nulla. 

Io sono uno dei pochissimi italiani che da piccolo non ha mai dato un calcio al pallone. 

Eppure non riesco a smettere di pensare come, fra i cantautori italiani, lui sia quello che più di tutti rappresenta una certa idea di calcio di un tempo. La prima ragione è legata al fatto che il Guccini è divisivo come lo è il calcio: così come non si può tifare tutte le squadre, Guccini è stato spesso considerato un autore politico, e per questa sua ragione, ça va sans dire, ha creato contrasti. 

Io tutto, io niente, io stronzo, io ubriacone, io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista
Io ricco, io senza soldi, io radicale, io diverso ed io uguale, negro, ebreo, comunista
Io frocio, io perché canto so imbarcare, io falso, io vero, io genio, io cretino
Io solo qui alle quattro del mattino, l’angoscia e un po’ di vino, voglia di bestemmiare

francesco guccini

Ho scoperto Guccini tardi, maturo al punto da capire che non era solo un cantautore di sinistra, ma era molto di più. Nelle sue canzoni, in cui si trovano riferimenti ai canti trobadorici, al folk, al rock ‘n’ roll e alla musica autoriale, c’è sempre un richiamo marcato alla sua “gente” e ai suoi luoghi. A differenza di De Andrè, che con il suo retaggio albagioso e pio, borghese e anarchico, parlava degli “altri” in senso più o meno generico, Guccini parla della sua vita. Parla di Paolo Mignani, un ex-calzolaio e suo vicino di casa, ne Il pensionato; parla di Riccardo Bertoncelli, il povero e immortale Bertoncelli, critico musicale, che per un suo articolo contro il cantante ne è diventato la nemesi, l’incarnazione di un un’industria musicale che cerca solo gloria e soldi ne L’Avvelenata; parla della sua Bologna, della via in cui viveva in Via Paolo Fabbri, 43, dell’osteria del Moretto, frequentata da studenti stranieri, in cui andava a suonare agli inizi degli anni Sessanta, e della Bologna che stava cambiando.

Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta
Ma la gente che ci andava a bere fuori o dentro è tutta morta
Qualcuno è andato per età, qualcuno perché già dottore
E insegue una maturità, si è sposato, fa carriera ed è una morte un po’ peggiore

L’Orso di Pàvana ha saputo dare valore al popolare. Le osterie di un tempo erano lo scrigno della Bologna dove si riunivano tutti: ricchi e poveri, giovani e vecchi, famosi e sconosciuti. Insieme a cantare, bere vino e far casino. Bologna, “Bohéme confortevole giocata fra casa e osterie“, era ancora un centro di relazioni autentiche, dove si era “poetici, ma senza pudore e paura.” Era il periodo del Bologna campione d’Italia, degli studi, di una rabbia giovanile che “urla più forte.” Guccini non si avvicina al calcio, ma ne rimarca le peculiarità popolari, le sfumature a tratti naïf, il suo essere ossessivo e mai pago.

Bologna campione d'Italia 1963-64
Il Bologna campione d’Italia, 1963-64

Il calcio lo annoiava già dalla prima partita che vide da bambino, un Modena-Sampdoria che finì con uno scialbo 0-0.

Un cugino di mio cugino, Maino Neri, che giocò poi nell’Inter, ai tempi in cui vestiva la maglia del Modena mi fece avere i biglietti e da bambino andai a vedere Modena-Sampdoria. Una noia, mamma mia. Una noia tale che per anni non ho più visto una gara. Ho cominciato a interessarmi nuovamente dopo i Mondiali vinti dell’82.

Ma aveva una certa simpatia per Platini, per il genio e la sregolatezza. E credo che sia abbastanza normale per un artista apprezzarne un altro. Però Guccini vedeva in Platini anche qualcosa in più. Lo scrivo ben conscio della distanza che esiste tra il cantante e il calcio, ma nei grandi campioni, come il francese, si materializzava un nuovo paradigma: sono loro i nuovi eroi. Da Pietro Rigosi, macchinista anarchico che il 20 luglio 1893 tentò di far schiantare un “treno pieno di signori“, cantato ne La Locomotiva, si è passati ai calciatori, perché alla fine “gli eroi son tutti giovani e belli.
Ma in tutto questo io vedo qualcosa di profondamente triste. “Vecchi muri proponevan nuovi eroi” scrive. Ma i nuovi eroi sono privi di profondità. Si è passati da chi rischiava la propria vita per un ideale, per un sogno di una vita migliore non solo per sé ma anche per la propria comunità “Alle futilità pettegole sui calciatori miliardari, alle loro modelle senza umanità“. Ed è forse per questo che Guccini non ha mai nutrito interesse, ben che meno passione, per il calcio, e per qualsiasi altra forma di intrattenimento che elegge esseri che si limitano ad apparire. Credo che Guccini provi molta tenerezza per questi eroi del nuovo millennio. Ma è pur sempre evidente un’idiosincrasia verso un mondo fatto di riflettori e paillettes e “glorie vuote da coglioni“, un mondo di sepolcri imbiancati.

About

Zeta è il nostro modo di stare al mondo. Un magazine di sport e cultura; storie e approfondimenti per scoprire cosa si cela dietro le quinte del nostro tempo,

Altre storie
Cesare Benedetti
L’arte dentro e fuori dal campo di calcio: la storia di Cesare Benedetti