Novak Djokovic

Non sparate sul tennista

Citando un po’ Francesco De Gregori, verrebbe da chiedersi da quali particolari si giudica un giocatore. In particolare, viene da chiedersi per cosa si giudica esattamente Djokovic? Perché da settimane è al centro del dibattito mediatico? Perché anche chi non ha mai visto una sua partita oggi possiede un’idea chiara (tendenzialmente cattiva) di Novak Djokovic?

Il numero uno dalla classifica ATP mondiale non è certo un atleta che si può liquidare in qualche formula di circostanza: per numeri, per atteggiamento, per eccezionalità. Djokovic è una figura atipica per il mondo conservatore e un po’ borghese del tennis. La storia del resto insegna come tennisti anticonformisti siano stati a più riprese massacrati da opinione pubblica e critica. L’irriverente McConnor, il trasgressivo Borg, solo per citare due casi emblematici. Anticonformista sul campo, nelle interviste, nel modo di scherzare che irride la sacralità del rettangolo di gioco e degli avversari. Uno che imita la Shaporova e che fa siparietti esilaranti con Ubaldo Scanagatta, uno che dice quello che pensa e che non è furbo mediaticamente come alcuni colleghi

Poi c’è un aspetto tecnico, con dei numeri che lo pongono in cima alla storia del tennis, il suo gioco non è mai stato amato dai puristi che di volta in volta gli hanno preferito Federer e Nadal suoi avversari storici. A Djokovic non è mai stata perdonata quella freddezza nei risultati e quell’aria da primo classe silente e pericoloso. A tutto questo, sommiamo anche la recente posizione sui vaccini. Contrario e addirittura finanziatore di una start up che si occupa di ricercare vie alternative alla cura del Covid, Djokovic è diventato il simbolo perfetto del cattivo No Vax.

Poi ci sono i fatti accaduti nell’ultima settimana. A Djokovic viene accordata la partecipazione agli Australian Open anche se non vaccinato, un permesso speciale. A questo punto Djokovic commette una piccola ingenuità: pubblicizza a mezzo social la sua partecipazione. Secondo qualcuno irridendo le rigide norme di sicurezza del Paese. Il popolo del web sceglie: bene gli australiani e le loro regole ferree, male Djokovic e la sua arroganza. Djokovic, però, non torna in patria, ma rimane contestando la procedura che evidentemente è cambiata nel giro di poche ore. Cos’è successo? È successo che la “provocazione” di Djokovic ha colpito l’orgoglio degli australiani, vessati da continue chiusure, che hanno deciso di fare del tennista serbo in il simbolo dei privilegi in un terra che si vanta della propria durezza legislativa.

Novak Djokovic

Ricordiamo che è molto difficile schierarsi con le regole sull’immigrazione australiane che sono durissime da molto prima della pandemia. L’Australia si è resa più volte colpevole del trattamento disumani di clandestini e migranti. Il “modello australiano”, disegnato nel 2001 da John Howard definito Soluzione Pacifica, ha prodotto un sistema di respingimento in mare di migliaia di richiedenti asilo, e la reclusione a tempo indeterminato di adulti e bambini in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e Amnesty International hanno denunciato più volte la situazione inaccettabile delle frontiere australiane, ottenendo però solo un inasprimento. Quindi è difficile applaudire all’unisono un Paese dalle cosi rigide norma sull’immigrazione.

Improvvisamente il campione del mondo si trasforma in una sorta di simulacro del No-vax perfetto: arrogante, spocchioso e prevaricatore. Gli viene addirittura rinfacciata, dai giornali italiani in particolare, la fondazione di una azienda che starebbe cercando una cura alternativa al vaccino finora conosciuto. Come se fosse una colpa a prescindere fare ricerca scientifica di qualunque tipo. Se così fosse nessuna teoria scientifica nuova si affaccerebbe al mondo.

Il “modello australiano”, disegnato nel 2001 da John Howard definito Soluzione Pacifica, ha prodotto un sistema di respingimento in mare di migliaia di richiedenti asilo, e la reclusione a tempo indeterminato di adulti e bambini in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato.

Dall’altra parte del mondo intanto il governo serbo e i genitori del tennista non stanno a guardare la demolizione di quello che per l’intera nazione è simbolo vincente. Ed è proprio in questo punto che Djokovic esce di scena come uomo e come sportivo, ed entrano come protagonisti assoluti l’opinione pubblica mondiale, il governo serbo, i genitori del tennista. Tutti sul palco tranne il diretto interessato.  Se da un lato le misure del governo australiano sembrano proprio un contentino all’opinione pubblica infastidita, dall’altra parte in Serbia si sta giocando un’altra partita. Qualcuno, tra cui il padre e la madre di Djokovic iniziano a leggere la faccenda come una discriminazione nei confronti del proprio figlio in quanto serbo, usando anche parole molto forti (“Mio figlio è come Gesù“). Il popolo serbo, secondo questa visione, avrebbe bisogno di giustificare la propria bontà di intenti essendo considerati ancora ad oggi gli unici artefici della guerra dei Balcani. 

Da un lato c’è un opinione pubblica nazionalista serba pronta al vittimismo, dall’altra c’è un accostamento costante tra le scelte di Djokovic e quelle del popolo serbo e quindi, un’accusa di nazionalismo. BBC News per esempio ha accostato “le opinioni di Djokovic ad un  ampio scetticismo sui vaccini nella società serba“. Tutto questo clamore ha finito per rinnovare l’accusa di nazionalismo al tennista serbo, nonostante abbia più volte ripetuto:

Sono grato e orgoglioso delle mie origini che ho abbracciato, accettato e amato. Ma non nazionalista, nel senso di non accettare altre culture.

djokovic no vax

Djokovic deve giustificare l’amore per la propria terra“, dice Sanja Lucic giornalista serba, “come se amare la propria patria per un serbo sia una colpa da giustificare e sia subito nazionalismo.” Ma su una posizione legittima spirano ovviamente i venti nazionalisti guidati proprio da Aleksandar Vučić, uomo di ultra destra contestato in patria per la sua elezione a Presidente della Repubblica. “Attenzione a cadere nella leva principale che usa il nazionalismo serbo, ovvero un certo vittimismo sul modo in cui vengono trattati i serbi” avverte, infatti, Damir Ivic giornalista di origini serbo-croate, “Djokovic in questo momento è preso di mira soprattutto per le sue posizioni no-vax qui non c’entra la nazionalità.

Accusare poi di nazionalismo – continua Ivic – uno che ha l’allenatore croato e lo staff italiano, che regalala un milione di euro all’ospedale di Bergamo in pandemia, che fa beneficenza in lungo e largo per il mondo è decisamente ingiusto.

E in effetti sembra fuori luogo la difesa di Djokovic portata avanti dai genitori e da Vučić, anche se da più parti giocano sulla pelle del tennista addirittura rinfacciandogli simpatie pericolose. Al Jazeera arrivò ad accostare Djokovic alla guerra dei Balcani pubblicando una foto che ritraeva il campione “vicino” a Milan Jolovic, uno degli uomini responsabili del genocidio si Srebrenica. “Djokovic per età anagrafica non può essere accostato in alcun modo alla guerra dei Balcani, in questo c’è una visione molto limitata del popolo serbo” ,riflette invece Sanja Lucic, “C’è la voglia di non perdonare la storia. Le colpe dei padri che ricadono sui figli.”

Djokovic vuole piacere a tutti, questo lo porta a fare anche delle cose poco mediate, poco furbe – commenta ancora Damir Ivic – peccato però che si approfondiscano solo alcuni aspetti della sua personalità.

Insomma sembrerebbe di trovarsi di fronte ad un campione che deve giustificarsi del suo essere serbo, del suo essere No-Vax e del suo aver realizzato primati come nessuno prima di lui. E qui torniamo a parlare di tennis, finalmente.

Novak Djokovic

La sensazione che Djokovic appaia in qualche modo furtivo nella storia del tennis è forte. Quell’uomo-macchina, quella corazzata di ossa e sinapsi che si scaglia nel secondo set addosso a chiunque provi a mettere in discussione il suo essere un numero Uno. Tutta questa antipatia è molto probabilmente frutto anche del suo gioco “poco poetico” – come dice ancora Ivic – di attesa. Quando l’avversario arriva ormai spossato ma tronfio, Djokovic lo aspetta come un caimano sul finale per tirare la zampata vincente. Lo abbiamo visto quest’anno con Berrettini, che va ricordato è dieci anni più giovane di Djokovic. Eppure anche questa analisi sarebbe sbagliata e superficiale tout court. Djokovic è un atleta iper moderno e calcolatore, come del resto tutti gli atleti di successo negli ultimi anni, se pensate solo a Cristiano Ronaldo nel calcio o a Lebron James nell’NBA. Sportivi che hanno fatto della scienza applicata alla pratica sportiva un vero e proprio mantra, che gli ha permesso la longevità sportiva e la costanza nei risultati. Ma questo non deve essere considerato freddo calcolo e basta; va anche analizzato come fenomeno dello sport che condivide sempre maggiori punti in comune con il metodo scientifico. Nutrizionisti, esperti di statistica, neuroscienziati oggi fanno parte della quotidianità di molti sportivi e anche di molti club, si pensi alla rivoluzione in cucina di Klopp al Liverpool.

La sua semi-biografia, Il punto vincente, è un libro che parte dall’analisi di un periodo difficile della vita sportiva di Djokovic a partire dalle scelte alimentarti, in particolare l’eliminazione del glucosio. Con quel libro, che verrebbe da giudicare troppo in fretta dalla copertina, in realtà Djokovic ci porta dentro i suoi dubbi, dentro le sue riflessioni, dentro alla fatica di tenere livelli di concentrazione altissimi durante sfide estenuanti come quelle a cui partecipano i tennisti ai primi posti dell’ATP. Per chi ricorda il mai citato abbastanza Open di Andrè Agassi, era proprio la difficoltà di concentrazione ad aver bloccato la carriera del tennista americano. Ne Il punto vincente, invece, Djokovic dà un metodo per migliorare le capacità reattive, portando al centro del dibattito un tema quotidianamente sentito da migliaia di bambini come quello dell’intolleranza alimentare, lieve o grave.

il punto vincente

E allora da cosa giudichiamo Djokovic oggi? Lo giudichiamo da un’immagine mediatica che certo non gioca a favore del campione serbo, ma che di sportivo ha veramente poco. Semplicemente nella gogna mediatica a Djokovic è stato assegnato un ruolo preciso di antipatico che pure poco si confà alla sua immagine solare e ironica così ben nota al pubblico del tennis e non solo. Il suo amore per l’Italia (Djokovic parla anche la nostra lingua oltre ad altre nove), i suoi siparietti con i giornalisti e con gli avversari, tra cui quelli già citati con Scannagatti, Fabio Fognini e Fiorello, la generosità di cui è stato capace in patria e fuori, ci danno l’immagine di uno sportivo profondamente umano a cui non si confà l’immagine di cattivo. 

Giudichiamo Djokovic per quello che vuole raccontarci sia con le parole che coi gesti, ma soprattutto sul campo da gioco. Chi scrive non è un fan di Djokovic ed è iper vaccinato, ma viviamo tempi in cui le tifoserie calcistiche sembrano salottini di intellettuali rispetto alle tifoserie ideologiche (Pro-vax/No-vax in particolare). Il rischio è quello di perderti qualcosa di bello per la strada travolti dalle fazioni opposte. Qualcosa di bello come  vedere giocare un campione tra i più grandi della storia. Qualcosa di cui ci pentiremo di non aver goduto abbastanza. 

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